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«LE LETTERE SU SCORZA DI BETULLA»
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Messaggio «LE LETTERE SU SCORZA DI BETULLA» 
 
Salve a tutti! Sono di nuovo qui e stavolta con qualcosa di nuovo.
Ho scoperto nei miei studi che l'Europa tutta durante il Medioevo a causa della deforestazione iniziata già al tempo dei Romani aveva costretto la foresta a rifugiarsi o sui monti o nelle grandi pianure nordiche e Novgorod la Grande a causa di ciò diventò il più grande fornitore di materie prime e di oggetti finiti di alta fattura per tutto il ME. Genovesi e Veneziani cercarono contatti commerciali diretti, ma la città era troppo lontana e impenetrabile la strada che lì conduceva e invece l'Hansa di Lubecca riuscì ad accordarsi con le 300 famiglie bojare che governavano per farne un centro di produzione e di esportazione. La città è la più antica repubblica europea... Ecco qui di seguito un mio articolo sull'argomento. Gradirei vs. commenti. Ciao

 UN EVENTO MEDIEVALE EPOCALE DEL SECOLO SCORSO:
La scoperta delle BERJOSTY


Articolo dedicato ad un grande archeologo e storico russo contemporaneo:
Valentin Lavrent’evic’ JANIN

Quando il prof. A. V. Arcihovskii trovò le prime berjòsty nei suoi scavi a Novgorod nell’estate (è l’unica stagione buona per il lavoro di scavo qui nel Grande Nord) del 1951 (26 luglio) probabilmente non ne rimase molto sorpreso poiché qui e là nelle zone archeologiche dove lavoravano gli altri colleghi delle università statali nell’ex URSS di tali reperti se ne trovavano ogni tanto. E’ vero che, quando lo scritto non era visibile o riconoscibile, gli archeologi li avevano presi per “galleggianti per la pesca”, ma ora il fatto eccezionale fu che con il proseguire degli scavi in pochi mesi di campagna il numero dei reperti salì a varie centinaia! Fino ad oggi (anno 2000) di berjòsty ne sono state catalogate circa un migliaio in questa zona di scavi, ma restano ca. 20.000 reperti simili da mettere ancora in ordine e da decifrare!
Che cosa sono le berjòsty (il singolare è berjòsta in russo)? E’ presto detto! Sono delle strisce oblunghe (da 25 cm fino a 40 cm e oltre) di scorza di betulla di larghezza tipica standard fra i 4 e gli 8 cm sulla cui faccia interna mediante uno stiletto appuntito d’osso o di metallo o di legno (pisàlo in russo) si incidono agevolmente le lettere. Le strisce, per essere così scritte, devono essere preparate immergendole o bollendole in acqua calda per dare loro una maggiore elasticità. A questo punto la striscia inverte la sua proprietà di avvolgersi su se stessa e lo scritto sulla berjòsta arrotolata risulterà ora sulla faccia esterna. Subito dopo l’incisione i solchi infatti imbruniscono e la scrittura è subito leggibile e, se poi le condizioni lo permettono, ecco che queste lettere sui generis riescono a conservarsi per secoli per essere scoperte poi dagli archeologi. Niente di eccezionale, a quanto pare e niente di nuovo come reperto, visto che se ne trovano non solo in Europa, ma anche in Nordamerica e abbastanza spesso persino nel nord dell’Asia. Si può aggiungere che tale tipo di supporto grafico è peculiare del nord ed è ben conosciuto dall’antichità fino ad oggi in tutto l’emisfero boreale dove cresce e vive la Betulla. Presente con varie decine di specie nelle foreste, quest’albero offre con la sua corteccia bianca e liscia che facilmente si stacca dal tronco un ottimo foglio per scrivere. Questa però è una nota di poco valore e quel che è invece importante per lo storico è il fatto che le berjòsty siano state trovate in così gran numero in città tutte vicine comprese nel grande territorio più settentrionale che una volta era parte dello stato della Rus’ di Kiev.
Ad esempio nella città di Rusa (riva sud del lago Ilmen, il lago immediatamente a sud di Novgorod) le berjòsty ritrovate sono 32, a Pskov (non lontano da Novgorod, ad occidente) 8, nell’area di Smolensk negli scavi della vicina Gnjozdovo se ne sono trovate una decina, una risulta a Vitebsk nella città natale di Marc Chagall in Bielorussia e un’altra nella lontana Mosca. Fa perciò meraviglia che mai negli scavi fatti fino ad ora ne siano state trovate tante come a Novgorod!
Ci sorge spontanea la domanda: Qual è la ragione per spiegare  tutti questi scritti in così gran numero? La risposta non è semplice. Le berjòsty prodotte in un intervallo di tempo così ristretto (!) non possono che suggerirci una cosa: a Novgorod l’alfabetizzazione dei cittadini era molto diffusa (al contrario di quanto si credeva anni fa). Ciò vuol forse dire che le scuole delle chiese dei “cantoni” novgorodesi esistevano e funzionavano a pieno ritmo e che siano state alla portata di tutti, senza distinzione di classe o strato sociale? Malgrado ogni sforzo immaginativo, non esiste prova che l’istruzione venisse impartita in scuole organizzate né a Kiev e neppure nella colta Novgorod ed è anzi più probabile che solo le classi più abbienti si potessero permettere di far venire i monaci in casa per insegnare ai propri rampolli a leggere, a scrivere e a far di conto.
Che la scrittura subito dopo la sua antichissima invenzione dovesse diventare il mezzo di comunicazione di massa più diffuso fra gli uomini, nessuno se lo sarebbe aspettato in periodo medievale. Anzi! Dalle stesse fonti rappresentate dalle Vite dei Santi Russi (i primi santi russi furono di solito di famiglia principesca o nobile, con encomiabili eccezioni come il grande san Teodosio delle Grotte) si può dedurre che la Chiesa, com’è naturale, avesse il monopolio esclusivo dell’alfabetizzazione, sebbene l’istruzione passata dai Monasteri a colui che era destinato alla carriera ecclesiastica fosse tutt’altra di quella impartita ai “laici”. L’insegnamento della scrittura dunque veniva conservata gelosamente come attività dei preti locali, custodi delle Sacre Scritture ossia dell’unica fonte delle conoscenze del tempo, affinché nessuno se ne appropriasse indebitamente (in altre parole per impiegarla in cerimonie pagane). Già è immaginabile nelle culture contadine europee appena evangelizzate la meraviglia che suscitava il sentire raccontare ad alta voce le stesse storie con le stesse ed eguali parole nelle nuove chiese  soltanto scorrendo con il dito lungo questi strani segni misteriosi. Ciò era in contrasto con le esercitazioni mentali che invece occorreva fare per ricordare a memoria i fatti e gli eventi della propria famiglia e del proprio clan senza troppe variazioni di testo con le vecchie tecniche mnemoniche cantilenate del nord e così, quando il Cristianesimo penetrò e si affermò come religione dello stato nelle Terre Russe, tutti i bambini – con preferenza nelle città dei figli delle famiglie più abbienti – cominciarono a frequentare le chiese dove si insegnava, se non a scrivere, almeno a leggere e a cantare gli inni al nuovo dio cristiano. Le Cronache russe a questo proposito, parlando di Vladimiro il Santo quando introdusse il Cristianesimo a Kiev e a Novgorod, ci informano che mandò a studiare tutti i figli dei nobili affinché imparassero a leggere e a scrivere. Questa “imposizione dall’alto” fece tale impressione nelle famiglie che le madri piangevano e davano i loro figli per ormai morti, temendo che la scrittura fosse magia, più che conoscenza.
D’altro canto è incontrovertibile che molte berjòsty siano di provenienza “popolare” e quindi dobbiamo ipotizzare che anche le classi più “basse” (almeno quelle novgorodesi) dovessero essere largamente alfabetizzate e questo ci dà un quadro di alta civiltà, eccezionale per il primo stato russo della storia. Dalle analisi fatte con le strumentazioni e i metodi d’indagine più moderni la maggioranza di questi scritti è databile al XIII sec. d.C. ossia agli anni del grande successo internazionale di Novgorod-la-Grande. Conseguentemente dobbiamo vederle come un segno di questo fiorire della città, salvo poi a constatare che per questo particolare supporto per lo scritto, proprio intorno al XIV, la berjòsta comincia a scomparire man mano sostituita dalla carta importata dall’occidente europeo con le comunicazioni private che cambiano.
A parte quanto detto sopra, l’importanza della scoperta delle berjòsty è una novità che finora è stata trascurata dalla storiografia occidentale. E’ vero che Novgorod-la-grande è un capoluogo di provincia nel grande nord russo a qualche centinaia di km da San Pietroburgo, di poca importanza economica e politica nell’odierna Federazione Russa, sebbene considerata la più brillante città-museo russa protetta dall’UNESCO. E’ vero che non è da confondersi con la molto più grande Novgorod-di-sotto ossia Nizhnii Novgorod sul Volga, ma è anche vero che nel Medioevo il Grande Nord Russo rappresentò la più importante risorsa di materie prime e tecnologica per tutto il continente europeo e che il centro culturale e economico di questo immenso territorio era proprio Novgorod-la-grande. Purtroppo nella storiografia occidentale, la limitatissima conoscenza di questa regione d’Europa (anche da parte dei contemporanei del lontano Medioevo) ha permesso che si diffondesse la concezione che da questo oscuro e lontano nord venissero solo materie prime di secondaria importanza. Questo modo di vedere però è ormai in disuso da quando gli scavi fatti a Novgorod hanno dato le prove lampanti che l’artigianato locale era di altissima qualità e che veniva esportato in tutto il mondo mediterraneo, se non anche più lontano. I traffici di questa città infatti giungevano fino in Cina attraverso le strade fluviali oltre il Caspio e con le carovane che lungo le vie meridionali asiatiche giungevano nell’India o attraverso quelle settentrionali toccavano la Mongolia. Novgorod tuttavia era collegata preferibilmente con tutto il nord d’Europa e con i mercati lungo il Reno e quando nacque l’Hansa, pur non diventando mai una città anseatica, fu la base di produzione più importante del Mare del Nord e del Baltico (un Kontoor).
Novgorod conserva oggi ancora bene il tracciato medievale del XV sec. insieme con i suoi vecchi monumenti, le tante chiese, ma… è solo la “brutta copia” di quella che fu una splendente città a pianta circolare divisa dal fiume Volhov in due metà separate, chiamate rispettivamente: quella sulla riva destra, Riva del Mercato, e quella sulla sinistra, Riva di Santa Sofia. La Riva del Mercato era così chiamata perché aveva appunto una Piazza del Mercato ed era in maggioranza abitata da artigiani e operai indipendenti, mentre quella opposta era abitata dall’élite e cioè dai bojari latifondisti e dal potentissimo Arcivescovo novgorodese. Le due “metà” erano unite dal cosiddetto Ponte Grande o Ponte Vecchio e ciascuna era circondata da una cinta di mura esterna con torri e bastioni per la difesa, al principio fatte di legno ma poi anche di mattoni. La Riva di Santa Sofia poi aveva al suo interno un’altra cinta di mura con fossato che racchiudeva la Cattedrale appunto dedicata a Santa Sofia e l’Arcivescovado con la sua sala detta delle Cento Colonne dove si riuniva quasi in segreto il governo ristretto della città (i Gospodà o i rappresentanti più potenti e autorevoli delle 300 famiglie bojàre più o meno imparentate fra di loro). Qui al tempo della fondazione della città si trovava il grande Deposito di Merci chiamato Detìnez.
I cuori della città erano dunque la Cattedrale da una parte e la Piazza del Mercato dall’altra e Novgorod al momento del suo massimo splendore forse raggiunse i 60-70 mila abitanti e tutte queste persone… si scrivevano! Brevi note, contratti, lamentele, soltanto saluti, addirittura anche i ragazzi che avevano appena imparato a scrivere hanno lasciato le loro berjòsty! E, meraviglia delle meraviglie, il primo documento scritto in lingua carelo-finnica è proprio il breve testo di una berjòsta (ricordiamo la parte finnica della popolazione novgorodese era detta “ciuda” sebbene comprendesse varie etnie affini)!
L’interesse storico per questi documenti è dunque enorme…
Non possiamo qui tracciare la storia di Novgorod, ma abbiamo il dovere di metter in chiaro alcuni punti sul suo ruolo paneuropeo. La città aveva un regime assolutamente repubblicano e cioè si governava (al di là della partecipazione suppletiva a tale governo di un principe mandato da Kiev) attraverso la sua assemblea popolare chiamata Vece. Questa assemblea suprema si formava attraverso i deputati scelti nelle assemblee dei “cantoni” della città partecipate, queste, da tutti i residenti e si riuniva davanti alla Chiesa di san Nicola sulla Riva del Mercato. Chi voleva poteva assistere  applaudendo o gridando dall’esterno, a seconda dell’andamento della discussione. Questa organizzazione permise a Novgorod che i suoi traffici non dipendessero dai bisogni e dalle politiche della Rus’ di Kiev e dei suoi principi e perciò possiamo dire che le corti europee, sorte con l’affermazione politica dei Germani e degli Arabi, compravano di qui tutti quei prodotti forestali provenienti dal suo ricchissimo hinterland che non erano ormai più disponibili in qualità e quantità in altri luoghi d’Europa. Di qui partivano tonnellate e tonnellate di cera per illuminare il buio della notte nelle ricche case borghesi o nelle grandi cattedrali gotiche, il miele che addolciva tutte le tavole dei nobili, l’avorio delle zanne di tricheco, i preziosissimi schiavi giovani di cui persino il Palazzo del Laterano del Papa di Roma ne aveva in gran numero e, last but not least, le pellicce costosissime di zibellino, vaio, marmotta etc. con le quali i re, i cardinali, i nobili adornavano gli orli dei loro mantelli o dei loro abiti fatti di lino di Novgorod. E non solo! Le sue ricchezze e il suo artigianato erano famosi per la loro squisita fattura. Non è, a nostro avviso, azzardato dire che gran parte dello sviluppo civile europeo durante il Medioevo dipese proprio dalle potenzialità di questa repubblica nordica e russa e dalle sue decisione commerciali e politiche. Novgorod diventò talmente importante che persino il Papato si sforzò di tentarne la conquista. Infatti i Cavalieri Teutonici di stanza a Marienburg (oggi in Polonia) e i loro analoghi Livonici di stanza a Riga in Lettonia, quando si accorsero di essere capitati proprio nelle vicinanze delle forniture novgorodesi, tentarono in tutti i modi di conquistarla coinvolgendo i re danesi, svedesi e quelli della Polonia-Lituania contro la città. Anche i tataro-mongoli di Cinghiz Khan cercarono di sottometterla, ma fallirono e la città, malgrado tutti gli sforzi dei regni vicini ostili, restò una repubblica indipendente fino al 1478.
Le berjosty ci suggeriscono dunque un quadro della vita d’ogni giorno molto particolare.
Ci si alza con le prime luci dell’alba e ci si mette a lavorare, le donne con i servizi soliti di casa o con la tessitura e il ricamo e gli uomini con legno argento pelli etc. per tirar fuori oggetti e suppellettili di squisita fattura che talvolta richiedono settimane di lavoro. Il bojaro invece, dopo aver fatto un giro nell’usad’ba per controllare a che punto sono le ordinazioni che ha passato ai suoi artigiani, va presto pregare e a consigliarsi col suo pop nella chiesa da lui costruita e che serve non solo come luogo di preghiera, ma anche come futura tomba e come cassaforte per le cose preziose. Successivamente incontrerà alla Riva del Mercato i suoi clienti stranieri per accordarsi su prezzi e consegne oppure, attaccati i cavallini alla slitta, si farà portare nei suoi terreni fuori città per controllare come stanno andando le raccolte e le coltivazioni. Ad una certa ora del giorno ci sarà una refezione nell’usad’ba, tutti insieme, e poi una siesta pomeridiana. Il lavoro però deve riprendere al più presto anche perché d’inverno il giorno alle latitudini di Novgorod è molto corto e il bojaro non gradisce che si consumino candele per illuminare il lavoro perché la cera pulita e filtrata si vende a prezzi altissimi in Europa ed è inutile consumarla in casa, salvo che non ci sia una festa o una cerimonia particolare!
Purtroppo la città costruita immediatamente all’uscita del Volhov dal lago Ilmen (è l’unico emissario) doveva subire i capricci del clima e quando il lago ghiacciava per molto tempo ecco che a primavera tutto il ghiaccio sciogliendosi causava delle inondazioni devastanti. Tuttavia dobbiamo entrare nella mentalità della gente del tempo che ancora serbava le credenze e le superstizioni del vecchio paganesimo slavo e per capire che le inondazioni erano considerate come una mattana causata dalle ire del Signore del Lago contro i novgorodesi che certamente avevano trasgredito in qualche modo alle regole di reverenza che si dovevano agli dèi più potenti. Dunque le inondazioni (periodiche o quasi) una volta scatenatesi, si attendeva che fluissero via e, malgrado le devastazioni e le vittime, si tornava alle vecchie case. Tuttavia non si liberava tutto dal fango argilloso poiché si credeva che gli oggetti ormai inghiottiti dal fango erano ritornati alla dea Madre Umida Terra che dapprima li aveva donato agli uomini ed ora se li era ripresi. Si procedeva quindi, ove necessario, ad una nuova ricopertura delle strade con tronchi di legno nel modo speciale che solo gli Slavi sapevano fare e la vita riprendeva. Altra mattana era il fuoco e anche qui entrava la visione religioso-magica del mondo, quando il fuoco distruggeva mezza città. Certo! La città godeva di tutti i servizi più moderni del tempo come ospedali ed altro, ma per gli incendi era stato perfino istituito un servizio di prevenzione per ogni cantone. E tuttavia quando le fiamme avvolgevano le case nessuno andava spegnerle perché il Fuoco era ancora sentito come il dio pagano sacro e potente e purificante e nessuno avrebbe mai osato offenderlo versandogli acqua addosso.
Ecco questi forse sono i motivi perché le berjòsty si sono conservate nel fango senza essere mai state recuperate per servire ancora come archivio personale o famigliare!
Certamente presso i complessi industriali (le usad’by) dei bojari (gli oligarchi al potere) novgorodesi si nota una concentrazione degli scritti su corteccia di betulla più che presso le officine artigianali “dei liberi”. Quasi sempre esse definiscono un impegno scritto da parte di una figura della borghesia al potere quasi che, per paura di essere fraintesi, sia indispensabile fissare tutto sullo scritto. Questo risponde al tipico atteggiamento “capitalistico” novgorodese nei confronti della ricchezza e del suo uso immediato e pratico verso chi ricco non è e cioè: Non c’è bisogno di saper far tutto, ma basta solo avere il denaro per “noleggiare” chi sa fare quello che noi non sappiamo fare. Questo è l’uso utilitaristico dello scritto che riusciamo subito a riconoscere.
Se poi ci chiediamo come mai ci fosse questo fitto scambio di “SMS ante litteram” in quel lontano periodo, una risposta esauriente non c’è poiché il tenore degli scritti è vario non essendo questi dei documenti ufficiali, ma scritture prevalentemente private. In generale le lettere provengono da tutti gli strati della società novgorodese e, come abbiamo già detto, parlano di tantissime cose e vicende, dalle più banali alle più importanti per la vita privata e pubblica dei cittadini di quel tempo in quell’angolo lontano e importante d’Europa. Perciò per la storia di Novgorod medievale oggi è l’inverso: Con una certa ampiezza possiamo da queste lettere capire il perché e il come di questa città, della sua esistenza e del suo fiorire… entrando in casa della sua gente fin nei loro cuori!
E’ logico anche, sebbene libri mastri o registri non ne siano stati ancora trovati, che in una città che aveva un giro d’affari enorme durante tutto l’anno sorgesse la necessità di tenere i conti, di fare gli elenchi delle cose da vendere e da comprare, dei pagamenti, dei contatti da prendere e da mantenere etc. Il lavoro era infatti organizzato attraverso le commesse che i bojari passavano agli artigiani. Costoro però erano parte dell’usad’ba bojara e cioè del complesso abitativo e produttivo di ogni famiglia bojara. Qui gli artigiani con famiglia e aiutanti abitavano e venivano mantenuti vita natural durante legati al loro “padrone” proprio dal lavoro che svolgevano. Altri, ma numerosi, artigiani però erano liberi sia perché il loro lavoro era troppo difficile o sporco o ingombrante, sia perché erano riusciti ad emanciparsi dalla dipendenza da una famiglia bojara per vari motivi e dunque avevano piccole case-officina proprie in varie vie della città. Questa situazione implicava dunque una specie di segregazione per i lavoranti artigiani dei bojari dal resto della vita della città che però probabilmente aveva un’interruzione quando giungeva la bella stagione e si poteva andare coi loro padroni nelle sconfinate proprietà terriere dell’entroterra novgorodese per aiutare a raccogliere prodotti della foresta o ad altri lavori agricoli (limitatissimi a causa del clima), l’estrazione del sale dall’acqua salata o per seccare il pesce o per abbattere alberi etc.
L’importanza per lo storico nella lettura delle berjòsty però è pure un’altra e consiste nel fatto che, quando si raccontano degli eventi del passato, ci si imbatte nell’impossibilità e nell’incertezza di interpretare quegli eventi nel modo giusto se non si conoscono bene le intenzioni, l’indole, l’atteggiamento e le aspettative dei protagonisti. La storia medievale che noi raccontiamo oggi purtroppo è la storia di coloro che stavano in cima alla scala sociale e di coloro che li sostentavano con lavoro, forniture e aiuti materiali al contrario sappiamo pochissimo. Come costoro vivessero dobbiamo dedurlo invece, sempre con un ampio grado d’incertezza e in modo obliquo e indiretto, estrapolando dai documenti scritti per le élites al potere di cui disponiamo e perciò dare un giudizio netto sul patto sociale esistente fra le classi presenti nella repubblica che possa essere tratto dai contenuti delle berjòsty non è consigliabile e dobbiamo accontentarci di congetture, domandandoci tutt’al più perché mai esistesse questa forte spinta a scrivere sulle cose più disparate invece di parlarne a casa o al mercato.
Si possono considerare queste lettere come una parte della letteratura russa? Forse sì, almeno dal punto di vista filologico per la ricostruzione della lingua grande russa di cui il novgorodese è un dialetto settentrionale, ma a parte le byline (racconti popolari di imprese passate) locali, non abbiamo prove di altra grande produzione letteraria, salvo quella ecclesiastica delle Cronache novgorodesi e delle traduzioni di scritti “edificanti” (di origine greca) prodotte nei monasteri locali con grande dovizia, al contrario di altri centri russi contemporanei.
E vediamo di dare un’antologia di qualcuna fra le più curiose (già tradotte e adattate da noi).

N° 46 – Non-so l’ha scritto, Non-penso l’ha fatto vedere, e chi l’ha letto…
    In questa b. quasi certamente si accusa qualcuno di aver scritto cose incomprensibili.

N° 199 – Sono un animale selvaggio. / Saluti da Onfim a Danilo.
In questa b. scrive un bambino a nome Onfim (Eutimio?) che va ancora a scuola poiché vi ha ricopiato l’alfabeto e poi ha disegnato con tratti infantili se stesso a cavallo.

N° 3 – Tante buone parole (saluti) da Josif (Giuseppe) al fratello Fomà (Tommaso). Non dimenticare di tener d’occhio Lev (Leone) per la segala. Glielo ha già detto Rodivan Podinoghin. Per il resto tutto bene. Tu però ricordati (della segala).
     E’ un avviso abbastanza preoccupato affinché la segale sia mietuta e non vada a male, dato il clima rigido di Novgorod!

N° 64 – Saluti da Horitanija a Sofija. Che ne è stato delle mie tre misure di panno a Mihail? Dovrebbe averle consegnate! Anzi! Signora, la incarico di dirgli che deve anche consegnare il pesce sia quello fresco che quello salato. Ti bacio.
    Ecco come si vede anche le donne erano occupate con servitori troppo lenti o oziosi.

N° 439 – Da …. a Spirko. Se Matei (Matteo) non è venuto ritirare la grossa misura di cera, allora mandamela con Prus. Ho già venduto il piombo e lo stagno e i lavori di metallo. Non dovrò più recarmi a Suzdal (nel sud). Tre grosse misure di cera sono state comprate. Dovresti venire tu qui. Portami perciò 4 misure piccole di stagno e due di rame in foglia e paga tutto pronta cassa.
    Questi sono veri e propri ordini di compravendita!

N° 2 – Saluti da Pjotr (Pietro ) a Marija (Maria). Il prato l’ho rasato, ma gli uomini da Ozery mi ha portato via il fieno. Ti prego di farmi una copia scritta del contratto e di mandarmela qui. Se poi la spedisci altrove, fammi sapere dove.
Ci sono problemi!!!

N° 154 (danneggiata) – Da Nosko a Mestjata. Il tipo venuta dall’altra sponda del lago (Ilmen?) e Hodutinic’ di Suzdal l’anno scorso hanno rifatto il tetto. Prenditi 2 grivne per nostro conto.     
Estinguiamo i debiti e le pendenze!

N° 163 – Saluti da Demjan (Damiano) a D… Vendi pure il cavallo per il prezzo migliore che riesci a spuntare. Ricordati però di tener in conto che quello che perdi è sotto tua responsabilità. Intanto dì a Kuseko di non perdere le kune (il denaro). E’ inaffidabile.
    Si vede che la vendita è stata fatta fuori tempo e bisogna correre ai ripari!

N° 246 – Da Scirovit a Stojan. Da quando ti sei preso da me la croce e non mi hai mandato il corrispettivo in denaro sono già passati 9 anni. Se non mi mandi le 4 grivne e mezza che mi devo, ti farò proclamare il migliore dei novgorodesi. Perciò mandami il denaro senza rancore.
    Si coglie l’ironia?

N° 235 – Da Sudiscia a Nascir. Sciadok mi ha mandato due agenti esecutori e questi mi hanno saccheggiato la casa per il debito del fratello…     
    Ecco che anche qui si procede ad esecuzioni forzate!

N° 415 – Saluti da Fovronija a Felice e con tante lacrime. Il mio figliastro me le ha date di santa ragione e poi mi ha cacciato dalla casa di campagna. Mi raccomandi di andare in città? O vieni tu stesso qui? Sono davvero in fin di vita!
    Succede anche questo!

N° 749 – Saluti da Ivan (Giovanni) a Lentija. Quello che io detto davanti a voi è vero e ti puoi fidare. Sei mio fratello, che ti serve ancora? Quel che succederà, non deve darti timori, ci sono qua io per te. Per ilo resto della mia vita mi preoccuperò sempre del tuo stare bene.
    Ecco un esempio di vero affetto!

N° 377 – Da Mikita (Niceta) a Uljaniza (Giulietta). Vieni da me. Io ti voglio e tu anche. E anche Ignazio lo sa.
    E’ un appuntamento amoroso?

N° 10 – C’è un castello fra cielo e terra e qui arrivò un messaggero senza strada e portò con sé per voi una notizia non scritta.
    E’ un indovinello. Chi lo risolve? Comunque: il castello è l’Arca di Noè, il messaggero è la Colomba e la notizia non scritta è il ramo d’olivo!

N° 43 – Da Boris a Nastasija. Quando riceverai questa lettera, mandami subito qualcuno con il cavallo perché io qui ho molto da fare. E mandami la biancheria intima perché io ho dimenticato di portarla con me.
    Un marito un po’ svagato!|

N° 538 – Richiesta della moglie del pope al pope stesso. Quello che ti è successo e arrivato fino a Onani. E adesso Kirjak  lo va dicendo a tutti in giro. Preoccupati dunque!
    Quale sacrilegio avrà mai compiuto questo prete?

Berjòsta: sopra come appare svolta e sotto il negativo della scritta

© 2007 di Aldo C. Marturano

Bibliografia selezionata:

S. Franklin – Writing, Society and Culture in Early Rus, c. 950-1300, Cambridge 2002
C. Goehrke – Russischer Alltag, die Vormoderne, Zürich 2003
V. L. Janin – Srednevekovyi Novgorod, Moskvà 2004
A.C. Marturano – E’ caduta la Repubblica, Melegnano 2005
J. S. Rjabzev – Hrestomatija po Istorii Russkoi Kul’tury, XI-XVV vv., Moskvà 1998
 
Un’usad’ba novgorodese di piccole dimensioni

  



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Messaggio «LE LETTERE SU SCORZA DI BETULLA» 
 
Bentornato, Marturano.
Grazie per questo articolo, molto interessante, come al solito.
Un altro - poco noto ai più - degli innumerevoli usi del legno e della corteccia di betulla, l'albero simbolo della Russia.
Curiose veramente le testimonianze fornite dai reperti citati e tradotti, a volte assimilabili a cartoline, altre invece a brevi telefonate o sms, se visti in un'ottica contemporanea.
  



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Messaggio «LE LETTERE SU SCORZA DI BETULLA» 
 
In questi anni c'è una ricerca di rivivere il Medioevo come un tempo dorato e ideale e soprattutto si è premuto da parte del "commerciale" di spingere sui Cavalieri Templari e la loro etica idealizzata. In questo campo ho partecipato a due convegni che parlavano dei Templari per "menare botte da orbi" a coloro che credono di poter far rivivere queste figuree soltanto nel loro aspetto positivo, trascurando invece altri Ordini come i Teutonici che gran peso ebbero nella storia medievale russa. Ho fatto la mia piccola ricerca e ho scoperto qualche cosa curiosa di cui vorrei farvi partecipi. E' una parte della ricerca, ma mi sembra interessante per il forum. Non è tanto lungo l'articolo...

QUALCHE CONSIDERAZIONE SUL CAVALLO E IL SUO RUOLO NELLA Cavalleria Russa medievale

© 2007 di Aldo C. Marturano

Ritorniamo ancora una volta sul concetto di Cavaliere soffermandoci ora sul suo significato primario di Combattente in sella! In russo Cavaliere si dice vsadnik ed è un neologismo moscovita apparso nel XV sec. (56) ai tempi in cui a Mosca in qualche modo cominciava a crearsi un corpo di cavalleggeri, col significato più immediato di combattenti a cavallo e con le nuove tecniche di guerra! Ad onor del vero una parola che indica il Cavaliere con le sue prerogative “cavalleresche” esiste in antico bielorusso, cioè Pogonja, ma purtroppo si riferisce ad un essere mitico il quale un giorno, con la spada in mano e su un cavallo bianco, apparirà per salvare il mondo o qualcosa di simile. Benché assunto come simbolo nazionale nello stemma della Bielorussia (51) nel 1431 (data fatidica), il pogonja perciò non entra nel nostro quadro. E allora dobbiamo forse accettare che il combattente a cavallo nel periodo che c’interessa in russo (o nelle lingue vicine) semplicemente non c’è? E’ mai possibile?
In realtà un personaggio a cavallo ovviamente colorato di una certa veste “etica” in russo è descritto con un’altra parola: ryzar’. Ma è una parola tratta dal ted. Ritter, di formazione letteraria e, quel che è più importante, certamente ha come figura di riferimento i primi Cavalieri “occidentali” con i quali la società russa venne a contatto.
Quali? Da un lato, i Crociati apparsi sul Mar Baltico e provenienti dal mondo nordico germanico (dalla zona fra il Vescovado di Amburgo-Brema e Lubecca) intorno alla fine del XII sec. d.C. (69) e, dall’altro, quelli che conquistarono Costantinopoli del 1204 perlopiù di provenienza franco-italiana. Ecco i Milites Christi (manovrati dal Papato) che le Terre Russe conobbero!
L’impressione ricevuta è pure la più immediata: Qualunque sia la loro morale, questi Milites sono arrivati qui proprio allo scopo di annientare la Rus’ di Kiev, assalendola sia dal Bosforo sia dal Baltico! Un’impressione realistica alla fin fine, giacché il Papa di Roma aveva in mente proprio questo, quando più tardi dichiarò le terre baltiche e russe Patrimonium Sancti Petri e che quindi, come dice un documento del Papa Gregorio IX del 1234 (75), in futuro nell’azione di “difesa del Cristianesimo” quel che è stato conquistato delle terre dei pagani e degli eretici che rimanga pure proprietà dell’Ordine (ossia della Chiesa di Roma) conquistatore! E’ dunque un piano ben architettato…
In particolare vediamo accompagnare gli arditi preti quali braccio armato della Chiesa evangelizzante sul Baltico numerosi Ordini monastico-cavallereschi fondati per lo scopo. Ci saranno degli insuccessi, ma poi nel seguito altri Ordini non in armi seguiranno come gli insistenti e onnipresenti Francescani che furono sguinzagliati per la campagna russa a “convertire” il popolo (Baltici, Russi e Bielorussi) al Cristianesimo di Roma (67). Né il Papa si fece scrupolo di attirare i principi russi e lituani nella sua sfera d’influenza con l’offerta di favolose corone di re e di indulgenze speciali (30)… purché abiurassero la fede ortodossa!
Più o meno della stessa condotta negativa si macchiarono i Crociati franchi a sud delle Terre Russe saccheggiando Costantinopoli e mettendo al rogo gli “eretici”, senza contare i maltrattamenti inflitti al Patriarca costantinopolitano allo scopo di “riportare alla vera fede (romana)” tutti gli ortodossi…
Dunque nessun ideale positivo arriva da Occidente né per l’élite “russa” né tanto meno per la società contadina, fanaticamente assalita dai frati e sconvolta dalle armi (68).
                                                               Nord
  Fig. 1 Le Terre Russe           Est

Per il momento diciamo che, se c’immaginiamo ancora lo spavento che incussero Pizarro o Cortés nelle Americhe del ‘500 agli indios andini o a quelli messicani presentandosi come strani animali mezzi uomini e mezzi bestie alti oltre due metri con ben quattro zampe e due braccia, tutti coperti di metallo lucente, qui nelle Terre Russe l’impressione al vedere i Crociati più o meno addobbati allo stesso modo dovette essere, benché forse meno fantastica, molto più incisiva nella coscienza individuale a causa della religione comune. Già questa avrebbe indicato i Cavalieri quali amici e non venuti per uccidere in nome dello stesso Cristo!
Inoltre i Milites Christi che l’Occidente mandava in giro nella pletora delle sensazioni spaventose delle loro azioni cruente ebbero un grande impatto psicologico anche per la presenza  dei loro cavalli… poiché su quegli animali il popolo “russo” aveva tutta una serie di pregiudizi superstiziosi ben consolidati e marcatamente funesti. Non solo! I Crociati – sapendo bene tutto ciò – acquistavano i cavalli proprio in base alla loro maggior mole (75). Così, armati di celata, piumaggi a colori sgargianti usavano “caricare” il loro aspetto mostruoso ostentando persino un’armatura metallica per la cavalcatura. La fama di spietatezza che diffondevano con la loro massiccia propaganda, in verità dovuta più che altro alle regole di tipo templare del loro ordine, combinata con quella di quei mostri a quattro zampe lasciavano paventare un brutto destino per le genti “russe” marchiate come “pagani eretici” e “non-uomini” e perciò degni di essere calpestati dagli zoccoli dei massicci animali (70).
Abbiamo travalicato il significato delle fonti? Forse, anche perché altri “cavalieri” avevano già minacciato le Terre Russe molto prima dei suddetti Crociati e dunque l’uomo in sella non era una novità! Stavolta venivano da Oriente ed erano i nomadi della steppa ucraina. Non è però un caso che giusto nella steppa nascesse il Cavaliere in assoluto come combattente a cavallo con sella, staffa ed armatura ed è ad imitazione di questo armato che l’Europa romana antica imparerà il vero uso del cavallo in guerra (57)! Perciò chiamare i nomadi cavalieri nel senso che qui vogliamo trattare è limitativo e faremmo meglio a parlare di cavallerizzi, ma a questo punto fa lo stesso poiché di fronte a loro alla fine del X sec. l’impatto emotivo che deve aver avuto il fantaccino russo-slavo dovette essere non molto diverso rispetto a quello del contadino di fronte ai Crociati.
Il cavallo ha fatto sempre paura nei caroselli improvvisati durante le razzie dei nomadi nei villaggi di confine russi, là dove comincia la steppa sulla riva sinistra del Dnepr. Lo si sapeva dalla tradizione, da quando erano passati gli Unni sotto Kiev, che la forza del nomade dipendeva giusto dal fatto di disporre di Equus caballus! Più che gli archi e le frecce, che anche i russi avevano e sapevano usare, erano le bestie ad impressionare di più! D’altronde la tattica del nomade non era tanto tesa a scontrarsi o ad uccidere quanto invece a razziare e perciò il villaggio assalito era “atterrito” piuttosto che distrutto e i cavalli erano proprio i veicoli sui quali si vedevano scomparire le cose e i figli con gli uomini in groppa veloci come il vento… L’unica difesa per Kiev contro questi assalti fu la rimessa in funzione di un antico vallo fatto di pali di legno che andava dalla riva sinistra del Dnepr lungo la riva del fiume Sula per un centinaio di chilometri fino alla fortezza di Voin in piena steppa e in tal maniera si contennero alquanto i nomadi e le loro diaboliche bestie.
In realtà, benché Equus caballus fosse abbastanza comune nel mondo mediterraneo greco-romano e nel Medioevo arrivasse in Francia e in Italia dagli allevamenti dell’Africa Settentrionale attraverso l’Andalusia e la Sicilia dopo l’invasione araba del sec. VII d.C., non era la stessa cosa per il resto d’Europa. Il Nordest conosceva e preferiva una specie più piccola di statura, il tarpàn europeo – Equus Przewalski Gmelini – o cavallino lituano oggi estinto (l’ultima giumenta della varietà europea, come c’informa lo zoologo ceco V. J. Stanek, fu macellata nel 1876). E fra Equus caballus e il tarpàn la differenza di mole è notevole! Il primo è un animale che arriverà verso la fine del Medioevo ad un’altezza al garrese di ca. 1,80 m mentre il secondo al massimo resterà a 1,60 m. E non solo! I due animali hanno carattere e abitudini abbastanza diversi.
Il tarpàn è un animale che in Europa vive ai margini della foresta e riesce a trovar da mangiare da solo vagabondando nella selva. E’ resistente ai rigidi inverni settentrionali ed ha una battuta di zoccolo a causa della durezza dell’unghia che gli permette di far presa sul fondo ghiacciato senza necessariamente essere ferrato (lo decantano per questo le saghe islandesi alla conquista del nuovo paese pieno di ghiacciai perenni e lo preferiranno i Tataro-mongoli movendosi verso Occidente sulla groppa della varietà orientale), ma non sopporta pesi troppo onerosi sulla schiena e quindi può, al massimo, trasportare un ragazzo (e per poco tempo) sulle zampe posteriori mentre si rifiuta di essere cavalcato da un adulto corpulento, figuriamoci poi con un’armatura indosso. Ha un carattere abbastanza scontroso e disposto facilmente a mordere e a scalciare.
Naturalmente a parte le numerose razze, Equus caballus invece ha un’indole un po’ diversa. Innanzi tutto è un simbionte del suo padrone e dipende da lui per cura e cibo. Il foraggio deve essere sempre ben scelto e preparato dal padrone perché quest’animale non è molto abituato a cercarsi roba selvatica da solo, se non vi è costretto, e la coltura dell’avena diventa così un elemento indispensabile e costoso del suo mantenimento. Resiste benissimo a ore di cavalcate portando sulla groppa pesi notevoli. Ama i grandi spazi e deve essere lasciato correre abbastanza spesso per non intristirlo. E’ paziente e timido (59), ma affezionato al padrone e talvolta muore addirittura con lui.
Cavallo e tarpàn hanno una memoria formidabile dei luoghi, dei suoni, delle persone e degli odori e perciò sono utilissimi, specialmente sul suolo innevato dove l’uomo non riuscirebbe a riconoscere il sentiero percorso tempo prima. Sia l’uno che l’altro animale sa individuare senza fallo la pista da seguire e s’arresta e scalpita per avvisare il padrone che la meta è stata raggiunta! Animali veramente portentosi che suscitano meraviglia in chiunque ancor oggi!  
C’è un episodio tipico nella storia russa in cui il cavallo che trasportava la sacra e famosa icona della Vergine (oggi detta di Vladimir) trafugata da Vysc’gorod da Andrea Bogoljubskii (v. oltre) si fermò e s’impuntò lungo la riva del fiume Kljazma, un affluente destro del Volga, e non volle più proseguire. Andrea addirittura fece fermare la carovana “come il cavallo aveva richiesto” e l’indomani raccontò persino che la Vergine gli era venuta in sogno e gli aveva raccomandato di costruirle proprio là una chiesa. Cosa che naturalmente fu fatta e al luogo fu dato il nome di Bogoljubovo (ossia Amor di Dio) in seguito a quello che era accaduto. Di fatto l’episodio, avendo coinvolto un animale magico e divino, legittimò agli occhi di tutti la fondazione del nuovo centro politico di Vladimir-sulla-Kljazma in concorrenza con la santa Kiev, come appunto voleva Andrea…
Non vorremmo dare però l’impressione che Equus caballus fosse sconosciuto o che ci vogliamo dedicare troppo al guerriero nordico descrivendolo come un cavaliere mancato! Non è così. Le Cronache Russe già nei primi eventi ci parlano di cavalli usando la parola kon’. Sono forse i tarpàn visto che kon’ non indica esattamente Equus caballus che invece è detto losc’a o losc’ad’ (con parola turca, la lingua dei nomadi che li vendevano)? Quale fosse l’atteggiamento verso Equus caballus è sottolineato invece da un episodio che le Cronache raccontano del knjaz Oleg, venuto dalla natìa Ladoga intorno al X sec. lungo le vie fluviali alla conquista del sud. Costui aveva chiesto una volta ai suoi astrologhi come e quando sarebbe morto e costoro gli avevano detto che il suo cavallo l’avrebbe ucciso. A causa di questa previsione Oleg non montò più in sella. Un giorno di ritorno verso Ladoga quando gli dissero che il suo animale era ormai morto, ridendo della funesta previsione precedente, dopo anni si fece sellare un cavallo e andò ad onorare la tomba della bestia morta: omaggio dovuto ad un essere divino. Dal teschio ne uscì una vipera che lo uccise, proprio come gli era stato predetto dai veggenti! La scena è importante perché indirettamente ci conferma la sacralità del comune cavallo in tempi ancora pagani come esecutore del destino deciso dagli dèi. E ancora, ma in tempi cristiani, il già nominato Andrea Bogoljubskii (nel 1149) fa seppellire con una solenne cerimonia (cristiana stavolta) la sua cavalcatura morta in uno scontro militare! Ma allora, fosse il tarpàn o il cavallo comune, quale ruolo distingueva nella vita russa queste due specie così simili?
Equus caballus è collegato con la morte, con gli scenari da fine del mondo e, col Cristianesimo, all’Apocalisse e le testimonianze nelle Cronache che gli attribuiscono un ruolo malefico sono davvero molte (33). Ad esempio, una di esse narra di un avvenimento del 1092 in cui una pestilenza o qualche altra malattia simile aveva procurato tanti morti a Polozk e nei villaggi vicini. Nelle Cronache leggiamo: “Era stata insomma un’armata intera di demoni che aveva scorrazzato per la città a cavallo, ma invisibile ad occhio umano…” In una parola solo il diavolo cavalca e giusto per portare la morte ed ovviamente, quando nel 1223 apparvero i Tatari, fu l’ultimo sigillo che confermò le ataviche paure russe attribuite al cavallo, sebbene molti di questi guerrieri montassero dei tarpàn! Un altro esempio, d’altronde ambiguo, è il racconto delle Cronache di come, Svjatoslav, figlio di Olga e di Igor, nel 965 sbaraglia l’Impero Cazaro che dominava Kiev da anni con la una formidabile cavalleria. Questo principe variago-slavo addirittura viene detto guerriero veloce e quatto (quanto un leopardo, dice la Cronaca)! Dorme poco e con la testa poggiata alla “sella”! Se così fosse, come fece a battere i Cazari soltanto con i suoi guerrieri russi… a piedi? In realtà l’accenno al leopardo nella Cronaca e alla sella si riferisce, secondo L. Prozorov (61), ad un modo di usare i cavalli tutto “russo” quando si trasferivano i fantaccini pronti ed armati sul luogo dello scontro! Secondo il nostro autore infatti, a caccia gli antichi russi portavano con loro degli animali ammaestrati, come appunto il leopardo, legati in groppa ad un cavallo per poi sguinzagliarli al momento giusto dietro la preda e quella volta Svjatoslav aveva agito nello stesso modo, come se andasse a caccia. Una parte dei fantaccini furono dunque trasferiti via fiume sulle barche e un’altra (piccola) parte sui cavalli lungo le rive. Sul campo poi costoro smontano e, insieme agli altri ormai approdati, per il numero e per la buona tattica a piedi riescono a battere la cavalleria cazara. Evidentemente i cavalli a disposizione dei russi non erano molti né forse erano Equus caballus! Per fortuna (russa) la cavalleria cazara era costituita da mercenari e, non appena previde l’esito della battaglia a favore dei russi, abbandonò il campo! L’ambiguità però è in un’altra scena con lo stesso principe che stavolta è descritta, non dalle Cronache che coccolano troppo il nostro personaggio, ma dal segretario imperiale Leone Diacono. Svjatoslav battuto dalle truppe romane deve trattare con l’Imperatore Giovanni Zimisce, ma, mentre l’Imperatore è a cavallo, il russo è seduto in una barca! Leone Diacono addirittura nel seguito del suo scritto dice che i russi non sanno andare a cavallo e che non avranno mai una cavalleria! E siamo nel 971 d.C. qualche anno dopo l’impresa contro i Cazari! In altre parole presso i russi, quando il cavallo c’è, un suo uso militare non è chiaramente confermato né si può esser sicuri che si parli di Equus caballus e non di tarpàn!
Eppure in questi anni Kiev ha già avuto tantissimi contatti con la steppa dove i nomadi allevano cavalli addestrati per la guerra e ne vendono a mandrie proprio ai popoli tutt’intorno. E’ chiaro perciò che, finché le guerre e gli scontri avvengono nel nord dove le pianure libere da foresta non ci sono, di cavalli non ce ne sarà bisogno, ma quando le campagne militari si sposteranno nella steppa ecco che occorrerà averne. Non è ancora questa la situazione a Kiev… D’altronde anche in Occidente il cavallo era usato piuttosto come veicolo al trotto che come animale da guerra e lo pensiamo al galoppo soltanto lungo le strade militari romane per il servizio militare di posta! Nelle Terre Russe dove le strade lastricate non esistono i movimenti avvengono via correnti d’acqua in prevalenza e, benché nelle Cronache si menzionino mandrie di 3000 cavalle e 1000 stalloni di proprietà del già detto Oleg e di Igor, marito di santa Olga, non abbiamo notizia certa che nei castelli russi ci fossero stalle per cavalli… Molto probabilmente quei numeri sono un’esagerazione dei cronisti che vogliono evidenziare la ricchezza e la potenza degli antichi personaggi oppure si riferiscono a (ex) mandrie di stalloni sacri da sacrificare agli dèi pagani! Anzi, diremo di più. Osservando la pianta del castello di Ljubec’ costruito da Vladimiro Monomaco (sec. XII), pro-pronipote del nostro Svjatoslav, sulla riva sinistra del Dnepr proprio di fronte a Kiev la misura e il numero delle stalle individuate da B. A. Rybakov (46) di sicuro non sono in grado di alloggiare un numero di bestie, come quello dato sopra. E’ bene aggiungere che l’alto prezzo d’acquisto e il mantenimento della bestia restano degli elementi distintivi per chiunque voglia possederne! Avere un cavallo denuncia l’alto status sociale del possessore, mentre la sua funzione come animale da guerra è considerata un uso “improprio” degno dei nomadi selvaggi, al contrario che in Occidente. Giusto per tutti questi motivi nella Pravda Rus’ka il cavallo e lo stalliere, sono dei soggetti abbastanza importanti sui quali il testo legifera e fissa multe salate per chi fa loro danno. Anche le testimonianze affidabilissime di autori arabi del X sec. d.C. ci informano che il cavallo per il “nobile russo” era un animale da sacrificio! Era interrato o bruciato col suo padrone morto (e gli scavi archeologici lo confermano!).
Il tarpàn al contrario è considerato un animale positivo. Lo vediamo intagliato sull’apice della trave portante del tetto a far da protezione alla casa contadina, nei motivi di ricamo e nelle impugnature degli arnesi con significato apotropaico. Tuttavia, siccome è usato dai mercanti per trascinare le barche sugli spartiacque o per aiutare il contadino nel lavoro dei campi, non può essere un animale da principe o da nobile, seppure sia molto probabile che fosse usato come animale, diciamo così, di rappresentanza da parte della nobiltà locale, magari con qualche esemplare più grosso di altri o con qualche incrocio…
Lasciamo allora qui il problema di distinguere le due specie così come l’abbiamo sceverato finora e passiamo a qualche altra considerazione. La cavalcatura di solito permetteva a chi la montava di muoversi in battaglia torreggiando fra i propri uomini in modo da esser subito visto da lontano mentre mutava di posizione! Le testimonianze occidentali sul Cavaliere sono pure in questo senso (75) dove il cavallo serviva per portarsi più vicino possibile all’avversario, ma poi si smontava e si combatteva a piedi. E tale uso durerà per molti anni, prima che si affermi una vera cavalleria da lanciare in campo di battaglia. Tale uso è ancor più logico in un Nord dove, a causa delle condizioni geografico-climatiche, è difficile pensare a dei cavalleggeri che si scontrano e si caricano in caroselli spettacolari, data la mancanza di ampi spazi aperti con suolo abbastanza duro… salvo che nelle steppe ucraine! A primavera non appena si sciolgono le nevi il suolo diventa talmente melmoso che non ci si può muovere neppure a piedi per qualche mese: E’ la terribile rasputiza! A causa di ciò le campagne militari, per di più, si conducevano d’inverno quando il ghiaccio sulle paludi e sui corsi d’acqua creava delle aree dove gli uomini si potevano almeno schierare, ma, lo ripetiamo per la cavalleria, questo è un terreno difficile e infido su cui muoversi… E lo impararono a proprie spese i nomadi Peceneghi stessi a cavallo in uno scontro con il figlio di san Vladimiro, Jaroslav il Saggio, nell’attraversare un lago ghiacciato nelle vicinanze di Kiev oppure nel 1242 i Cavalieri Livonici quando, nella più famosa Battaglia del Ghiaccio contro Alessandro Nevskii, sprofondarono nelle acque del lago di Pskov avendo rotto la crosta gelata col peso eccessivo delle loro cavalcature!
Avete pensato per un istante al mercante di cavalli di quei tempi? E non lo immaginate meravigliarsi di non riuscire a venderne ai russi in gran numero, come invece gli riusciva con i greci di Costantinopoli persino attraverso i russi stessi? Eppure l’Imperatore Costantino VII (71) informa che i Rus’ ne comprano dai nomadi Peceneghi… Per farne che cosa poi, se le strade qui non ci sono, le radure sono rare e occupate da campi coltivati e villaggi e le uniche vie di comunicazione fra un punto e l’altro sono gli innumerevoli fiumi laghi e paludi? Eppure Kiev confinava coi più grandi allevatori europei di Equus Caballus ossia gli Ungheresi o Magiari. Questa gente proprio a partire dal X sec. cominciò a esportare razze di cavalli di pregio in tutta l’Europa del nord e dell’ovest (e lo fa ancora ai giorni nostri). Originaria dell’Alto Volga, era emigrata nella valle del Danubio seguendo i Bulgari. Si era fermata abbastanza a lungo (ca. IX sec.) sotto Kiev per avere dei contatti da partners commerciali con l’élite variago-slava prima di stabilirsi definitivamente nella vicina Pannonia al di là dei Carpazi e continuare ad allevare i cavalli da sella…
Gli stessi san Giorgio e l’arcangelo Michele nella prima iconografia russa appaiono senza cavallo proprio per le inferenze negative di Equus caballus conservatesi nell’immaginazione collettiva e la prima moneta in cui è rappresentato ufficialmente un cavaliere apparirà soltanto nel Trecento (51) nei sigilli di Alessandro Nevskii, personaggio di cui parleremo brevemente più avanti.
E tutte quelle immagini tradizionali delle epopee russe, i famosi bogatyry (eroi) delle byline più popolari e più famose come Il’ja Muromez o Aljòscia Pòpovic’ dipinti su possenti cavalli, da dove saltano fuori? A nostro avviso sono delle idealizzazioni artistiche senza senso storico… Insomma occorre credere a Ibn Rusté (fonte persiana della fine del X sec.) che lo dice chiaramente una volta per tutte (62): “Ma (i Rus’) la loro arditezza non la mostrano sul cavallo, tutti i loro assalti e campagne militari li eseguono… sulle navi!”
Concludendo crediamo di poter affermare che il cavallo comune, Equus caballus, era conosciuto sin dalle origini della storia russa, ma era temuto per i suoi poteri portentosi e poco usato in guerra! Come animale divino naturalmente può collaborare solo con il principe che è sacro lui stesso e può dialogare con lui per consigliarlo! Tutto ciò però non esclude che nasca un’organizzazione militare “russa” con cavalli né un’evoluzione ulteriore verso una cavalleria istituzionalizzata come apparirà nel 1500. Noi non toccheremo questa data giacché la nostra indagine si fermerà prima dell’istituzione della cosiddetta opric’nina da parte di Giovanni IV il Terribile, in cui questa specie di armata – parzialmente in sella – costituisce, dice Musin (33), l’anti-cultura del Cavalierato russo…

  



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«LE LETTERE SU SCORZA DI BETULLA» 
  

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Zarevich
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Messaggio «LE LETTERE SU SCORZA DI BETULLA» 
 
«LE LETTERE DI CORTECCIA DI BETULLA»
La prima lettera di corteccia di betulla fu trovata a Nòvgorod il 26 luglio 1951. Questi erano i conti delle entrate di diversi villaggi risalenti al 14° o 15° secolo. Il testo è stato conservato, poiché non è stato scritto con l'inchiostro, ma graffiato sulla corteccia di betulla. Oggi sono stati scoperti più di un migliaio di tali documenti, e molti di loro sono apparsi anche prima dell'invasione dei Mongol-Tatar. I diplomi sono considerati un raro esempio per lo studio della lingua russa antico volgare e della vita quotidiana dell'antica Russia, poiché sono principalmente corrispondenza privata di cittadini comuni. Tra i reperti ci sono appunti e disegni educativi del 13° secolo, realizzati da un ragazzo di Novgorod di nome Onfim.

  




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