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«LE RAGAZZE RUSSE»
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Messaggio «LE RAGAZZE RUSSE» 
 
Irina Shànghina Ирина Шангина
«LE RAGAZZE RUSSE» «РУССКИЕ ДЕВУШКИ»
Casa Editrice «Azbuka-klassika» Mosca 2007 (Pagine 352)
Издательство «Азбука-классика» Москва 2007
  
«LE RAGAZZE RUSSE», il nuovo libro del noto etnografo Irina Shànghina (Ирина Шангина) in cui si racconta della vita delle ragazze contadine della seconda metà dell’Ottocento e dell’inizio del Novecento in Russia. La vita delle ragazze nella famiglia, fra le loro amiche. Si racconta della loro formazione e dei loro pensieri quotidiani e alle feste. L’autrice segue il cammino della vita delle ragazze dall’adolescenza fino allo stato nubile. Però nel libro si presta attenzione particolare ai destini “irregolari” o ai destini che dal punto di vista delle tradizioni non erano formati giustamente. Per la semplice ragione che la ragazza poteva restare sola o poteva partorire un bambino fuori matrimonio o abbandonare il mondo ecc. Un capitolo intero è dedicato alle nozze in cui ha luogo la descrizione dettagliata della cerimonia o del rito nuziale. Nel libro è raccolto il ricco materiale folcloristico e etnografico. Ci sono incluse oltre 300 illustrazioni. Questo libro è un bel regalo per tutti quelli che si interessano della storia e della cultura russa.



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Descrizione: Irina Shànghina «LE RAGAZZE RUSSE»
Casa Editrice «Azbuka-klassika» Mosca 2007 (Pagine 352) 
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Zarevich
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Messaggio «LE RAGAZZE RUSSE» 
 
Oltre al libro della sig.ra Sc'angina, aggiungerei per chi conosce il francese

DE LA PAYSANNE A LA TSARINE
di Lise Gruel-Apert
IMAGO, Paris 2007
e qui di seguito un mio articolo divulgativo:
La questione femminile

Il discorso fatto dal filosofo a Vladimiro assume una sfaccettatura insolita quando al nostro eroe viene richiesto di liberarsi di tutte le donne che ha attorno (qualche centinaio di concubine, dice la CTP) perché sono la rovina dell’uomo di potere (Vladimiro è paragonato a Salomone e alla sua poligamia). Il filosofo aveva spiegato che: In principio il genere umano peccò attraverso la donna: il Diavolo ingannò Adamo per mezzo di Eva e lo cacciò fuori dal paradiso. … la prima vittoria del Diavolo fu attraverso la donna…” Il Diavolo, sotto forma di serpente, ha spinto Eva, la prima donna, a disubbidire al dio cristiano commettendo con ciò il primo e fondamentale peccato che in seguito ogni essere umano da lei generato si trova appiccicato addosso sin dalla nascita. Da quel peccato discendono tutti i guai dell’umanità a partire dal lavoro obbligatorio per vivere fino alla morte senza appello. Come fare a liberarsene? Col battesimo che dà la purezza e il diritto alla vita eterna, ma soltanto… dopo la morte!
Dunque è bene non fidarsi delle femmine e aborrire i serpenti! Noi però sappiamo che il serpente è l’animalesca rappresentazione del fallo (simboli del dio Volos) e in realtà ciò che viene messo in discussione è l’attività sessuale che, al contrario, nella tradizione pagana non è mai condannata. Per la verità anche nei Vangeli o nella Bibbia è difficile trovare proibizioni nette in tal campo e ciononostante è il Cristianesimo che da un certo momento in poi della sua storia se ne fa la maggiore ossessione (basta leggere le Vite dei santi, ad esempio!). In Occidente con lo scisma del 1054 la posizione retta dalla Chiesa Cattolica sulla questione sessuale si estremizzò fino a culminare nel celibato per tutti i suoi ecclesiastici (vescovi e preti nel passato si erano sposati), nel matrimonio dichiarato sacro e indissolubile e nella caccia alle streghe. L’Ortodossia al contrario serbò atteggiamenti più miti e addirittura nella Rus’ di Kiev tollerò ufficialmente la bigamia dei principi, se necessaria, e genericamente ammise il divorzio (salvo che per il pope), pur mantenendo una posizione ambigua nel proteggere le donne dalla violenza pubblica e privata, non fosse altro che per le loro facoltà riconosciute indispensabili per la società.
In ambito pagano si capisce che un’idea contro la sessualità è un’innovazione concettuale da rifiutare perché nelle tradizioni antiche slave il sesso è innanzitutto un atto sacro tanto da meritare nell’XI sec. il graffito di un coito nell’intonaco della Porto d’Oro di Kiev (ritrovato negli scavi del restauro del 2000) oltre a ritrovarlo in molte cerimonie nei rapporti con il divino mentre la misoginia è per principio praticamente assente.
 E siccome si parla tanto della donna nelle società a predominanza maschile come un soggetto concentrato soltanto sul sesso, dobbiamo dire che presso i Balti, gli Ugro-finni e gli Slavi la posizione elevata della donna era quasi scontata e che, se un matriarcato come sistema sociale sia mai esistito prima in Europa, almeno nel nord non era del tutto scomparso nei X-XIII sec. Non a caso nelle mitologie nordiche gli esseri femminili divini sono legione e vivono nella foresta. Data però la diversità delle genti sopradette, saremmo curiosi di sapere quale tipo di potere realmente avesse la “donna” nel passato in ognuna di esse. Purtroppo le tradizioni raccolte nei secoli scorsi, sebbene distinguibili per la lingua usata dai referenti, non permettono distinzioni del genere giusto perché quelle etnie sono state per secoli a reciproco, intimo e prolungato contatto e gli interscambi culturali logicamente sono stati numerosi. Diciamo ciò perché, permettendoci una dovuta digressione, nella società nordica (e slava) la donna sa comandare e a volte comanda ancora oggi. Nel secolo scorso le circostanze sopra descritte hanno dato slancio alla fantasia di qualche autore russo nel trovare agganci fra i Russi del X sec. d.C. e le Amazzoni della leggenda greca e del racconto di Erodoto del IV sec. a.C. In realtà lo storico greco colloca le tribù di donne più o meno nel nord dell’Anticaucaso dove abitavano i Sarmati (i loro eredi sono propriamente gli Osseti o Alani). Tacito nel I sec. d. C. ne conferma l’esistenza e il cividalese Paolo Diacono pure che aggiunge che i Longobardi le incontrarono in Anatolia. Le notizie di autori arabi del X-XII sec. parlano dell’esistenza nel nord di un’Isola delle Femmine: così al-Bakri riferisce la cosa e lo stesso fa Al-Idrisi… Quest’ultimo (marocchino di Ceuta, a servizio di Ruggero di Sicilia) rigoroso nelle sue ricerche basate su rapporti di mercanti e sul sentito-dire degno di fede, nel suo famoso mappamondo l’isola è collocata nel Golfo di Riga! Non solo, ma accanto c’è pure un’Isola dei Maschi. Dobbiamo però leggere i lavori della defunta archeologa Marija Gimbutas, per renderci conto che la misoginia posta a fondamento della società maschilista cristiana è un problema legato al dominio della donna ed è perciò un segno smaccato di una lotta al matriarcato senza quartiere! Ci sono molti indizi a riguardo… Se poi seguiamo il discorso dell’archeologa lituana, il risultato è che l’esistenza di un matriarcato anteriore alla formazione dei popoli balto-slavi è corroborato dagli scavi. Qui le numerose statuette di divinità femminili reperite nel terreno indicano che una “società al femminile” è davvero esistita. E non basta! Nelle steppe meridionali della Pianura Russa numerose di statue femminili (in russo chiamate kamennye baby) se ne trovano altrettante sia negli scavi sia ancora in piedi qui e là e venerate fino a qualche secolo fa dai nomadi turcofoni islamizzati. Piuttosto: come mai il matriarcato cedette al patriarcato e chi ne causò la caduta? E inoltre, che cosa è una società matriarcale e un’altra patriarcale?
La risposta della Gimbutas per la prima domanda è: Dagli Indoeuropei balto-slavi che giunsero nel 2500 a.C. sulle rive della Dvinà e conquistarono gli autoctoni (ugro-finnici) imponendo loro una società maschilista! In questa ricostruzione plausibilissima gli Indoeuropei, nomadi pastori con la loro organizzazione patriarcale tipica, provenendo dalle steppe del sud si irraggiarono in tutte le direzioni e, in particolare, fin nel cuore della Pianura Russa. S’imposero a tutti i popoli che qui incontrarono e, se qualche scontro ci fu, col tempo i contatti interetnici migliorarono.
Per curiosità già da Erodoto sappiamo che dai Sarmati per “assorbire” le Amazzoni delle steppe ucraine fu adottato un metodo pacifico. Mandarono i loro giovani figli ad accamparsi nelle vicinanze delle giovani donne guerriere allo scopo di sedurle. Dopo vari episodi di incontri amichevoli l’espediente erotico finì con la vittoria dei maschi senza colpo ferire. Forse il metodo sarmatico è un po’ romanzesco, ma gli interscambi ci furono nella steppa e nel nord, sebbene siano impossibili da datare con certezza. Probabilmente sono invece facili da spiegare, se mettiamo a fuoco due tipiche costumanze che appartengono sia alle genti del nord sia ai nomadi delle steppe ucraine. Esse sono l’esogamia cioè l’obbligo di prender moglie in un villaggio diverso da quello del marito e la poligamia, una pratica necessaria per assicurarsi figli viventi contro la frequente mortalità perinatale di puerpere e bambini. Sono queste costumanze (poco ricordate nelle CTP) il primo vero motore che favorì la mescolanza “pacifica” fra schiatte differenti e certi aspetti della cultura mista “russa” riscontrabile nei documenti dopo il X sec. Ci riferiamo qui anche ai frequenti matrimoni dei nomadi coi “russi” e alla presenza del Giudaismo nell’Impero Cazaro. In quest’ultimo caso giusto a mezzo dei matrimoni misti fra turcofoni cazari e ragazze ebree (ostaggi? schiave?) i figli generati erano e venivano educati da ebrei (come spiega L.N. Gumiljov). E’ un punto importante da sottolineare quando si parla di donne russe, per l’influenza dei Cazari su Kiev e sulla nobiltà rjurikide.
Alla seconda domanda è difficile dare una risposta poiché, malgrado tutto, non sappiamo che tipo di società le parole matriarcato/patriarcato descrivano esattamente.
E torniamo alla nostra Eva. Subito dopo il primo figlio (vivente) la sua posizione migliorava fra le altri mogli ancora senza figli. Notiamo qui che presso gli Ugro-finni Ostjaki il primo figlio poteva non essere del coniuge attuale data la libertà sessuale prematrimoniale e allora s’aspettava meglio il secondo. A questo punto la nostra poteva giungere ad essere il capo delle donne (hozjàika), se la precedente matriarca era già morta. Se poi non c’era un anziano e se - com’era abitudine – gli adulti maschi s’allontanavano durante la bella stagione (dopo le messi!) per prestare la loro arte in mercati lontani o in una campagna militare di molti mesi, diventava addirittura la nuova capo-casa (bolsciahà). Essendo poi una straniera, l’“incarico” risultava di maggior prestigio nel caso di dispute e liti dacché da giudice risultava relativamente più libera dai condizionamenti locali. Se poi la sua età s’approssimava ai 40 anni (vicina alla menopausa), allora le andavano resi omaggio e ubbidienza maggiori comunque per tutto quanto aveva dato alla generazione precedente che era lì pronta a testimoniarne la dignità.
Le famiglie nel cui ambito ci stiamo movendo erano cosiddette “allargate” cioè nel loro interno convivevano più generazioni e perciò (tenendo conto della poligamia o forse meglio poliginia in cui il maschio aveva coiti con diverse donne in promiscuità) poteva capitare che in certi periodi dell’anno un’intera squadra di donne era alla direzione di interi territori.
Torniamo al matrimonio esogamico cioè alla scelta della sposa al di fuori del proprio villaggio. In primo luogo già nell’etimologia della parola che indica la promessa sposa in russo, nevesta cioè sconosciuta, estranea, si traduce la sua esoticità e in secondo luogo l’obbligo di una sua completa acculturazione nella società del marito. Se ne ridicolizza la lingua, gli usi e i costumi etc. affinché accetti (salvo altre costrizioni) il nuovo ambiente, ma solo perché, così facendo, Eva assorbe bene le nuove tradizioni e da riproduttrice (come si credeva) le trasmette alla futura prole conservando intatta la ricchezza del clan. Da tempi immemorabili si fa così nella Pianura Russa e queste usanze sono ancora oggi vive: Basta visitare il Daghestan etnografico…
Il sentimento “della stirpe” (il protettore era il dio Rod) è stato sempre molto forte e nel mir (il mondo senza pericoli del villaggio) si rispecchiava nella venerazione religioso-magica del nume fondatore vissuto in un mondo lontano nel tempo e dove c’era la sacra tribù originaria a cui i suoi discendenti dicono d’appartenere. La donna perciò è il serbatoio delle virtù contenute nello sperma dell’uomo, ma è delegata da Rod tramite il proprio corpo a rigenerare questo sentimento nella prole. Notiamo che Rod è un dio maschio e poligamo perché infatti lo si immagina accompagnato dalle Ròzhanizi cioè dalle sue paredre che, a loro volta, sono le divinità protettrici del parto tanto importanti da essere commemorate nel mir due volte nell’anno.
Sicuramente nella nuova società patriarcale la nascita d’una figlia era invece “festeggiata” con una certa delusione e i genitori erano disposti a crescerla soltanto se fosse stato possibile “darla via” prima che fosse sessualmente e psicologicamente matura ossia prima di perdere la potenza generatrice. Dar via è uguale a dare in sposa! Ed ecco perché i matrimoni venivano stabiliti già intorno ai primi anni di vita della bimba… Veniva stabilito un prezzo (veno in russo, qalim in turco, venum in latino) che lo sposo futuro avrebbe dovuto pagare per averla. Sposarsi è forse un termine sbagliato perché era pittosto un rito di passaggio che un matrimonio come lo intendiamo oggi ed era molto pesante per una giovane in tenera età a 10-12 anni per cui, prima di lasciare la propria casa, restava tre giorni in gramaglie da sola in quanto in realtà “moriva” per i suoi e rinasceva nel nuovo mir del marito. Il rito era considerato concluso dopo il primo parto con neonato vivente e fisicamente perfetto, altrimenti la ragazza accusata di sterilità (mai imputata al maschio) era rimandata dai “suoi” (in russo otpravit’ vosvojasi). Naturalmente c’erano delle regole: La figlia più grande si sposava per prima e chi la prendeva sapeva che il veno sarebbe stato rimborsato, salvo che in cambio non gli fosse stata offerta una sorella minore della ripudiata, se ancora disponibile!
La consuetudine “più selvaggia” e forse più in voga fra le famiglie nobili che è stata tramandata (residuo della conquista preistorica del mondo delle donne senza il metodo sarmatico?) è il matrimonio per ratto, come quello famoso delle Sabine. Praticato dai Drevljani (tribù assoggettata da santa Olga di Kiev) delle Paludi del Pripjat’ oppure dai Vjatici e dai Radimici del Volga o dai Finno-ugri Ceremissi, le Cronache lo marchiano, ma neppure con gran forza, come primitivo e da aborrire…
Come abbiamo detto, il numero di “spose” per uomo non era limitato e chi poteva, ne aveva più di una! I legami matrimoniali in fondo erano piuttosto il modo comune per fare “alleanze” fra clan e clan, fra villaggio e villaggio, fra famiglia e famiglia forse e per perpetuare la stirpe. L’amore fra i coniugi, come lo intendiamo noi oggi, era fuori dal matrimonio e addirittura, con il Cristianesimo, fu indicato come una forza diabolica…
Per intanto la giovane deve fare il suo dovere e mettere al mondo figli. Poi le tocca educarli e portarli in buona salute fino alla maggiore età (per quei tempi era la pubertà). E qui sorgono della complicazioni. Lo spazio a disposizione (materiale e ideologico) è esiguo nelle abitazioni e i costumi permettono relazioni fra i sessi che la Chiesa invece condanna. A causa di ciò, era comune il diritto del suocero di dormire con la nuora, se il marito era via, oppure il padre con la propria figlia, se era necessario per avere prole. Insomma, abbattuto il matriarcato, Eva diventa un oggetto sessuale senza voce propria che passa da un “proprietario” o “tutore” (padre, fratello maggiore o chi per loro) ad un altro, mentre, in qualità di forza lavoro, le è assegnato l’ulteriore ruolo di serva e d’infermiera o di sollazzo per l’ospite! Forse è vero quanto la M. Weber nel 1907 in base alle sue ricerche sulla storia antico-russa (La Sposa e la Madre nell’evoluzione del Diritto) affermava: “L’asservimento della donna è massimo proprio lì dove la forma generale dell’attività di produzione economica rurale è rappresentata dalla famiglia allargata: La grande famiglia russa e la zadruga slava!”
E tuttavia dai contenuti delle byline e dalla letteratura ecclesiastica del XIV-XV sec., Eva viveva (per quanto possibile) separata dall’uomo e aveva nell’izbà (la casa contadina) il suo angolo riservato. Qui, dietro una tenda o parete separatrice, serbava il proprio patrimonio, intoccabile dal marito e da chiunque altro. Un po’ poco…
Per di più la donna in casa non è lasciata da sola perché l’ambiente è troppo geloso del proprio potere e le assegna un ospite permanente, da lei temuto e rispettato: il Domovòi! E’ lo spirito di casa molto permaloso. La controlla e, a suo modo, la protegge da… sotto il fondo della pec’ka (la stufa), dove, oltre ai ceppi di legno, è stato ricavato uno spazio per lui! Perché dalla pec’ka? Ma perché qui è il regno della donna di casa! Infatti, se la guardassimo con gli occhi dello smierd (contadino russo) del XIII-XIV sec. mentre è indaffarata presso questa cucina-calorifero, ecco che la si scopre amante (o sorella?) del dio Svarog! Tutti sanno che lei ha dentro di sé il calore ardente che sprizza dagli occhi innamorati o pieni di odio, a seconda del caso, e che infiamma l’uomo mostrando il corpo nudo e la vulva (che il Cristianesimo indicherà come porta dell’inferno) e da dove le viene questo calore? Da Svarog? Questo dio celeste (con suo figlio Svarozhic’) è la personificazione del Sole che ha concesso l’uso della brace ardente alla donna! Se Eva perde tutto il tempo qui è chiaro che ciò è dovuto alle sue relazioni divine e misteriose con queste divinità!
Oggi è difficile immaginare quanto tempo, quale fatica e quanta segretezza si richiedeva ad una donna secoli fa per preparare da mangiare manipolando ingredienti e erbe e si credeva (non conoscendo bene fisica e chimica) che la trasformazione in cibo o bevanda fosse un’operazione magica e tutta femminile. Insomma occorreva fidarsi di Eva se ci si voleva cibare dei suoi manicaretti o bere i suoi infusi, i suoi decotti e le sue inebrianti bevande. Certo! Se lei volesse, potrebbe uccidere senza farsene accorgere dandoci da bere o da mangiare perché sa preparare anche i veleni rimestando nella sua pentola e con l’aiuto del fuoco (notare il legame cibare-sedurre-uccidere!). Tuttavia sa anche curare e guarire pur operando nella sua cucina…
Un’altra credenza legata a Svarog era che le donne vivessero più a lungo degli uomini proprio per il fatto di aver continuamente a che fare col fuoco che, come tutti sanno, purifica e allontana le forze maligne portatrici di malattie. E se, a questi suoi poteri, si aggiunge quello del generare esseri viventi, si era davvero costretti ad accettare l’idea che da lei dipendesse la vita e la morte di tutti coloro che le stavano attorno. Di qui riverenza e timore per quelle dee  che l’accompagnano quando passa il fiume per recarsi dalla casa natìa a quella dello suo sposo. Gli Slavi le chiamano Bereghinija (probabilmente è la stessa Birghit o Brigida della mitologia irlandese e scandinava o Berchta, fra i Germani, e forse anche le latine Parchae), Rusalka, Vila. Se si trattava di scongiurare la moria del bestiame o le pestilenze o per rinnovare la fertilità del suolo, le varie cerimonie propiziatorie erano affidate a collettivi femminili.
D’altronde il legame donna-forze-divine-celesti è arcinoto e non fu mai trascurato, specialmente quando ci s’imbatteva in quei “misteri femminili” tuttora irrisolti e cioè la consonanza del ciclo mestruale femminile con le fasi della Luna o il fatto che, sebbene s’accoppiasse, non andava automaticamente incinta come gli altri animali. Era Eva a decidere se far nascere un bimbo oppure no come era sempre Eva a misurare il tempo coi suoi mesi lunari, addirittura prevedendo il futuro nelle notti di plenilunio…
Sicuramente sbagliò il Cristianesimo che demonizzò la presenza femminile parlando di riti orgiastici nella foresta e, sebbene i poteri e le conoscenze occulte della donna fossero apprezzati in Europa, la Chiesa riuscì a generare in Occidente una psicosi collettiva che trasformò Eva in strega malefica. Nel XV sec., secondo il proclama di Innocenzo VIII, Eva aveva organizzato una cospirazione mortale contro il Sacro Impero Romano sotto il comando del Diavolo in persona e autorizzò la caccia alle streghe tanto famigerata in Occidente. Moltissime donne, giovani e vecchie, furono giustiziate senza pietà (la Gimbutas dà una cifra di 8 milioni di donne assassinate dall’Inquisizione!).
Al contrario nelle Terre Russe il rispetto per la donna restò forte e il sesso più libero e un’analoga caccia non poté aver luogo. Anzi la ved’ma o la znaharka (uniche due parole traducibili bene come strega e fattucchiera) erano e rimasero delle preziose medichesse per le loro conoscenze di farmacognosia, per l’assistenza al parto e per tantissimi altri trattamenti. Vedere una donna alla ricerca di erbe nella foresta o lungo i fossi in certe ore impossibili del giorno o della sera con la luna, non suscitò qui alcun sospetto di stregoneria e acquistare la nomea di “znaharka” era ancora un grande onore e persino difficile da conseguire in tempi recenti. Le più vecchie addirittura sembravano quasi delle persone immortali (non dimentichiamo le basse aspettative di vita del tempo!), se non soccombevano oltre i 50-60 anni, e, mentre degli uomini si diceva che con quell’età rubavano la vita agli altri e quasi li si costringeva a ritirarsi nella foresta da soli, delle donne si accettava di buon grado la loro presenza fino alla morte e loro cure o i loro consigli erano considerati tanto più importanti quanto più vecchia era chi li dava. Si pensava che, se una morte o una non guarigione seguiva ad un trattamento prescritto da una di queste, la responsabilità ricadeva su colui che non aveva rispettato puntigliosamente tutti gli obblighi imposti e che, per di più, aveva offeso la znaharka! Medichessa sì, ma anche un personaggio sacro e da rispettare…
Resta dunque una stranezza il fatto che Vladimiro nel mettere insieme gli dèi pagani protettori della sua druzhina alla conquista di Kiev, pose accanto agli altri dèi solo una dea: Mokoscià/Mokosc’. E’ possibile che, se paragoniamo il nome della dea con le genti ugro-finniche dette Mokscià, essa si possa identificare come la protettrice dei guerrieri vladimiriani appartenenti a quell’etnia. Una dea a protezione di un gruppo di guerrieri maschi non può far meraviglia come eredità di un passato matriarcale “armato”. E difatti dalle meticolose ricerche di A.S. Mandzak sappiamo che erano proprio le donne a benedire gli uomini che partivano per una campagna militare e a proteggerli con i loro amuleti e i loro scongiuri. E’ chiaro anche che, passata in regime patriarcale e ritrovata nel folclore, Mokoscià è ora la dea casalinga che presiede alla fertilità e alla tessitura.
Né è la sola pecca dell’Olimpo Vladimiriano quanto a divinità femminili. Mancano dee importanti quali la Luna chiamata in russo in regime matriarcale Lunà, parola femminile, e in regime patriarcale cambiata in Mesjaz, parola maschile (cfr. il latino Luna/Lucina e Mensis), o la maggiore di tutte, Madre Umida Terra, che resta, quest’ultima, in definitiva il simbolo più alto del paganesimo matriarcale. Essa sarà assimilata alla Vergine Maria di cui nel nord, si venererà addirittura la Santa Vagina e, anche qui, giungerà il detto dei Padri della Chiesa in cui la Madonna alla fine del mondo, vincerà il serpente-diavolo per sempre! Una bella rivincita per la Madre Umida Terra e le sue adoratrici, ma troppo lontana nel tempo quando accadrà…
E siamo così nel tempo del Cristianesimo in cui tocca adesso alla Chiesa ottenebrare con la sua misoginia ogni credenza pagana che risalga al matriarcato. L’intervento sistematico è spinto contro l’istituzione dove il rango della donna domina maggiormente: nella famiglia, indicata come luogo di promiscuità per compiere ogni genere di “sporcizia sessuale”! Ed ecco Jaroslav promulgare il suo famoso Codice (Ustav) in cui è vietato ogni tipo di relazione intima fra individui che non siano uniti da legami matrimoniali o di stretta parentela (compresa la matrigna). Si vieta di fare all’amore con ebrei o con musulmani e, naturalmente, è proibito lo stupro e il rapimento (umycianie)…
Siccome alla luce di nuovi studi la famiglia allargata così diffuso nella Pianura Russa esisteva nel resto d’Europa sin dai tempi antichi e non era solo tipica o esclusiva della società slava, l’introduzione del progetto di famiglia nucleare sponsorizzato dalle parole di Cristo su matrimonio e divorzio è logico che creasse grossi problemi di rivalità e inimicizia nel mir. Innanzitutto dicendo che la coppia di sposi era sacra e eterna e che a capo della quale era posto esclusivamente il maschio, si condannava la poligamia, ma allo stesso tempo si distruggeva il sistema di assistenza reciproca vigente. Inoltre la coppia, abbandonando la casa paterna, metteva in crisi non solo la compattezza delle relazioni personali, ma pure la solidale economia del mir perché costringeva a dividere il terreno da coltivare creando fonti di litigi possibili legate all’eredità e alla proprietà privata. S’innalzò pure l’età per il matrimonio perché il maschio, soltanto quando era sicuro di poter ricevere dai suoi un pezzo di terra adeguato, si metteva alla ricerca di una moglie! In questo modo la fertilità di coppia si abbassava e diminuiva il numero di figli…
Insomma erano concetti orribili e sacrileghi per il mondo pagano che non conosceva l’individuo, se non come parte della grande famiglia e legato ai destini di questa.
Possiamo dire che l’Ortodossia l’ebbe vinta con le nuove costumanze? In realtà nelle CTP e in altre fonti ecclesiastiche, la posizione femminile a noi meglio nota è solitamente quella dell’élite ed appare tutt’altro che passiva o sottomessa alle nuove misure che si andavano introducendo. Che dire invece per il mondo femminile del mir? Di certo fu uno sconvolgimento accettare le nuove regole, ma per saperne di più dobbiamo ricorrere alle byline postulando che esse descrivano la vita di villaggio indietro nel tempo, seppure con l’esagerazione dei ruoli e il fantastico tipico dei racconti popolari russi. Tuttavia Feste delle Donne erano celebrate dagli Ingri (Ugro-finni della Nevà) e dai Mordvini (Ugro-finni dell’Alto Volga) in cui la partecipazione era vietata ai maschi. Insomma Eva restò ancora forte e il matrimonio cristiano un mascheramento alle abitudini pagane come pure l’ideale cristiano della famiglia del pope o della castità delle monache e dei monaci!
E allora vien da chiedersi, se Eva ufficialmente non è più sacerdotessa né condottiera in armi, che le è rimasto del ruolo di matriarca? Forse poco o forse molto. Infatti, se da un lato nel XIV sec. un uomo si poteva liberare della propria sposa (evitando il costoso divorzio presso i tribunali della Chiesa) mettendola in vendita sulla piazza del mercato di Novgorod come una qualsiasi merce, dall’altro la scoperta della corrispondenza sulla corteccia di betulla (berjòsty) nella stessa città (ma anche in altre città russe) dei sec. XI-XIV d.C. è molto interessante poiché nelle lettere cogliamo delle posizioni d’autorità e di responsabilità molto vivaci da parte di semplici popolane, per non parlare delle donne della “borghesia” come la ricchissima Marta Borezkaja…

  



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«LA SIGNORINA DI STEPPA»
«СТЕПНАЯ БАРЫШНЯ»
Casa Editrice Pravda Mosca 1989 (Pagine 672)
Издательство Правда Москва 1989

La prosa delle scrittrici russe del XIX secolo
Проза русских писательниц XIX века

  

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Descrizione: «LA SIGNORINA DI STEPPA» La prosa delle scrittrici russe del XIX secolo
Casa Editrice Pravda Mosca 1989 (Pagine 672) 
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