È impossibile indicare una data d’origine ai balli popolari sardi, anche perché al riguardo non esistono testimonianze. Certo è che risalgono a tempi immemorabili, ed inizialmente gli si attribuiva un significato magico. Molti di essi, infatti, sono, allo stesso tempo, ritmiche cantilene malinconiche e riti orgiastici. I più antichi sono, senza dubbio, quelli “in tondo”, che vanno accoppiati sia alle launèddas, sia al fuoco collocato al centro di un gruppo di ballerini; essi vi formano attorno una catena circolare, in evidente connessione, appunto, al culto pagano del fuoco che, peraltro, ancora oggi trova modo di manifestarsi nelle ricorrenze in cui si accendono i falò, in particolare il 16 gennaio, vigilia di Sant’Antonio abate. Non a caso, questo è definito Sant’Antoni de su fogu.
Lo studioso Giovanni Lilliu vede nel ballo “una vera orgia mimico-musicale propiziatrice d’amore”, abbastanza vicina ad una danza rituale magico-erotico-sessuale. Per Padre Bresciani, invece, il ballo tondo sarebbe una reminiscenza del culto di Adone: vi si può notare, egli sostiene, il pianto delle feste Adonie e la disperazione delle donne sul corpo del giovane (che nel ballo sta al centro della catena) ucciso dal cinghiale e resuscitato per l’intervento di Proserpina. Alla base di tutto, comunque, sembra esserci il culto fallico fecondatore, che si rivela in molte usanze della Sardegna.
Per la maggior parte degli studiosi il ballo sardo è di origine greca: “Le danze greche, cristianizzate dalla Chiesa ortodossa, divennero una cerimonia speciale del culto; si mantenne vivo a lungo in tutti quei paesi che facevano parte dell’Impero bizantino”.
In linea di massima, i balli sardi possono essere suddivisi in due tipi: rituali ed erotici. Le differenze fra gli uni e gli altri sono assai evidenti. I balli rituali si basano soprattutto sul cerchio che ruota, una figura presente sia nelle danze del mondo contadino sia in quelle del mondo pastorale. Il passo è uguale per uomini e donne, per quanto non sia obbligatoria la differenza di sesso per formare la coppia.
A distinguere i balli erotici è, innanzi tutto, il fatto che si effettuino in coppia uomo-donna ed in catene di coppie. Talvolta l’uomo può ballare con due o più donne. Il passo varia sia fra ballerini di diverso sesso, sia fra le due aree culturali. Fondamentalmente, il ballerino esegue il passo più complicato ed appariscente, mentre la donna lo accompagna con un passo più facile. Il ballo erotico del mondo contadino prevede, inoltre, passi brevi ed intricati; intrecciati e strisciati da parte degli uomini, quasi scaturissero da una volontà di esibizionismo. Lo stesso ballo nel mondo pastorale si esplica con un passo saltellato e rivolgendo particolare attenzione alla coreografia. In tutti i casi, rompere la catena dei ballerini è considerata un’offesa tale che anticamente poteva essere punita con la morte.
Il ballo più diffuso nell’isola è su ballu tundu (il ballo tondo) o duru-duru, certo il più semplice, imperniato su un cerchio che si scompone ma al quale si torna inevitabilmente, dopo ogni variazione coreografica. Questo potrebbe esser considerato il ballo sardo per antonomasia (non a caso viene chiamato anche ballu sardu), sia perché sembra che, in tutta l’area mediterranea, venga praticato solo in Sardegna, sia perché in esso il profano tende ad identificare tutti i balli dell’isola.
Da molte parti si balla su passu torràu (il passo che ritorna), detto anche ballu sèriu (ballo serio), una danza imponente, caratterizzata da un passo che si ripete e si conclude con una genuflessione. Le figure, però, variano leggermente da un paese all’altro.
In tutto il Campidano di Cagliari è diffuso anche su ballu ‘e sa stella (il ballo della stella) che, come si rileva dalla stessa definizione, vede i ballerini disposti a forma di stella.
Pure campidanese è sa sciampìtta (il passo incrociato): un ballerino, sorretto da altri due, effettua una serie di acrobazie agitando le gambe verso l’alto al ritmo della musica, mentre gli altri componenti del gruppo ballano sullo sfondo con passi incrociati, un po’ strisciati ed un po’ sulla punta dei piedi. Questo ballo spettacolare troverebbe origine in un duello, praticato anticamente a Quartu Sant’Elena, nel quale gli avversari, sorretti dai propri padrini, utilizzavano solo i piedi per tirarsi calci. Oggi quel tipo di scontro è ormai scomparso, ma il ballo che ne è derivato continua a ricordarlo anche con le definizioni, meno in uso, di su ballu de tirài de pei (il ballo a tirar di piedi) e a sa scelleràda (alla scellerata).
Un curioso cerimoniale funge da filo conduttore in su ballu ‘e cumbìru (il ballo dell’invito). L’uomo invita la fanciulla a ballare ma questa rifiuta. Invito e rifiuto si ripetono diverse volte finché la dama acconsente. I due si possono quindi sbizzarrire in un assolo, mentre tutto il resto del gruppo balla sullo sfondo col caratteristico passo del Campidano. Questo ballo può essere svolto con una variazione che si conclude lasciando un cavaliere privo di dama: è chiamato su ballu ‘e ogài, e cioè il ballo ad escludere. Divertente, e molto simile, è su ballu de lu ciùcciu (dell’asino), che si pratica a Stintino e vede nel ruolo dell’asino un cavaliere che, a causa delle esclusioni, finisce per ritrovarsi senza dama.
La sensazione di ballerini claudicanti dà il nome a su ballu inzòppu (zoppo), nel quale gli uomini saltellano velocemente, appunto come se zoppicassero. Una certa somiglianza si nota in su ballu de is ferrère. La traduzione letterale è il ballo dell’offerente, e si spiega in modo semplice: gli uomini ballano senza la dama con passo claudicante. Per poter fare coppia con una fanciulla debbono accostarla e darle un’offerta che, però, è destinata al suonatore. A questo tipo di esibizione si può assistere a Teti per i festeggiamenti in onore di San Sebastiano, l’ultima domenica di settembre.
Un altro ballo dell’offerente si effettua ad Ottana. È una selvaggia danza carnevalesca che si svolge attorno a s’affuènte un piatto di bronzo ed ottone al cui interno si sfrega una chiave, per ottenere un rumore ritmico. Il ballo ha un significato propiziatorio per auspicare un buon raccolto. Un cenno rapidissimo (se ne tratterà meglio fra le tradizioni del Carnevale) merita un ballo che rientra nelle tradizioni di Mamoiada. Si tratta di una processione danzata apotropaica (ossia in grado di allontanare un’influenza magica maligna) di cui sono protagoniste le maschere locali dei mamuthònes.
Il corteggiamento stava, invece, alla base di una danza in voga nel passato a Selegas. Una fanciulla sedeva al centro di un cerchio di ballerini e seguiva attraverso uno specchio le evoluzioni del suo corteggiatore. Sempre a Selegas è ancora praticato su ballu de su babbu de is òrfanas in cui un ballerino, nel ruolo di padre delle nubili, le invita, una alla volta, a sedere al centro del cerchio ed intesse le lodi di ciascuna di esse, finché gli altri ballerini si fanno avanti per un corteggiamento che, però, non sempre incontra favore.
Due danze decisamente erotiche sono sa arroxàda e su dillu (o dìllaru). Nella prima l’uomo può ballare contemporaneamente anche con tre donne, alternando il passo lento a quello turbinoso, con incroci che formano un nodo d’amore. La seconda accoppia un cavaliere a due dame e si esprime con compostezza quando è ballata da persone anziane, mentre lascia trasparire una certa scontentezza quando ne sono protagonisti i giovani. Sa arroxàda si balla ormai in tutta l’isola, ma le sue origini sono di Samugheo; su dillu, invece, è localizzato a Gavoi.
Circoscritto ad Oliena è s’àrciu, caratterizzato da una specie di salto; e saltellati sono pure su passu trincàu e ballu cabìllu, entrambi legati al mondo pastorale. Alla stessa cultura appartiene il ballo a boghe ‘e tenòres (a voce di tenori), così chiamato perché si svolge in stretta connessione col ritmo armonico del coro a tenòres, un canto che sostituisce egregiamente la musica strumentale. Questo ballo rituale è per lo più appannaggio degli uomini.
Testo tratto dal volume "Le tradizioni popolari della Sardegna" di G. Caredda, Editrice Archivio Fotografico Sardo