Ci sono voluti diversi anni di rodaggio, ma finalmente sta decollando il mercato russo del carbon trading: una piattaforma, ispirata al principio “chi inquina paga”, che consente lo scambio di diritti a emettere carbonio. In sostanza, le industrie che inquinano maggiormente devono acquistare crediti e i soldi versati vanno a finanziare progetti per la riduzione del danno ambientale.
Quando nel 2005 Kevin James il manager di Climate Change Capital (società di investimento e consulenza sul business dei cambiamenti climatici) si trasferì a Mosca era convinto di trovarsi di fronte a un mercato dalle potenzialità enormi, data la necessità di ristrutturare l’industria pesante di epoca sovietica, per adeguarla a quanto previsto dal Protocollo di Kyoto, al quale la Russia aveva aderito nell’anno precedente.
Invece l’azienda ha deciso di abbandonare il Paese nel 2009 dopo contrasti con i ministeri: «Abbiamo cercato di condurre in porto tre o quattro progetti ecologici in Russia, ma c’era una palude politica a livello nazionale che ha reso impossibile la realizzazione», afferma James.
Evidentemente i tempi non erano maturi, visto che oggi il mercato del carbonio sta prendendo piede. All’inizio di quest’anno il governo ha dato il via libera a 15 progetti per ridurre le emissioni in settori che vanno dalle cartiere all’utilizzo di sostanze chimiche nella produzione di energia. I 30 milioni di tonnellate di crediti di carbonio che i progetti produrranno dovrebbero far aumentare il prezzo dei crediti, incentivando così i grandi inquinatori a rivedere le proprie politiche.
Tuttavia non è detto che il carbon trading raggiunga l’obiettivo sperato: «Kyoto scade nel 2012, quindi c’è poco tempo per altri progetti in questa direzione», ha ricordato un banchiere che ha preferito rimanere anonimo. La vera sfida si apre ora, con la necessità di pensare a strumenti rafforzati per fare della Russia un Paese all’avanguardia nella lotta all’inquinamento globale, capace anche di far leva sulle nuove soluzioni offerte dai progressi della tecnologia.
Quando nel 2005 Kevin James il manager di Climate Change Capital (società di investimento e consulenza sul business dei cambiamenti climatici) si trasferì a Mosca era convinto di trovarsi di fronte a un mercato dalle potenzialità enormi, data la necessità di ristrutturare l’industria pesante di epoca sovietica, per adeguarla a quanto previsto dal Protocollo di Kyoto, al quale la Russia aveva aderito nell’anno precedente.
Invece l’azienda ha deciso di abbandonare il Paese nel 2009 dopo contrasti con i ministeri: «Abbiamo cercato di condurre in porto tre o quattro progetti ecologici in Russia, ma c’era una palude politica a livello nazionale che ha reso impossibile la realizzazione», afferma James.
Evidentemente i tempi non erano maturi, visto che oggi il mercato del carbonio sta prendendo piede. All’inizio di quest’anno il governo ha dato il via libera a 15 progetti per ridurre le emissioni in settori che vanno dalle cartiere all’utilizzo di sostanze chimiche nella produzione di energia. I 30 milioni di tonnellate di crediti di carbonio che i progetti produrranno dovrebbero far aumentare il prezzo dei crediti, incentivando così i grandi inquinatori a rivedere le proprie politiche.
Tuttavia non è detto che il carbon trading raggiunga l’obiettivo sperato: «Kyoto scade nel 2012, quindi c’è poco tempo per altri progetti in questa direzione», ha ricordato un banchiere che ha preferito rimanere anonimo. La vera sfida si apre ora, con la necessità di pensare a strumenti rafforzati per fare della Russia un Paese all’avanguardia nella lotta all’inquinamento globale, capace anche di far leva sulle nuove soluzioni offerte dai progressi della tecnologia.
L'articolo di Russia OGGI