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«VASSILISSA»
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Messaggio «VASSILISSA» 
 
Mi piacerebbe presentare la fiaba popolare russa Vassilìssa («Василиса») tradotta dal russo all’italiano dal celebre traduttore Aldo Canestri.  
http://www.arcarussa.it/forum/viewt...hlight=canestri
Vassilissa (Василиса) è il nome femminile russo di origine greco. Nella tradizione russa questo nome è amato e «fiabesco» perché nel folclore russo è il nome delle eroine principali di varie fiabe popolari: «Vassilissa la Bella» («Василиса Прекрасная»), «Il Re del Mare e Vassilissa la Saggia» («Морской царь и Василиса Премудрая») e altre.


«VASSILISSA» «ВАСИЛИСА»
La Fiaba popolare russa Русская народная сказка

Molto, ma molto tempo fa, in un certo reame, vivevano in una piccola isbà (изба = casa contadina) un vecchio, sua moglie, vecchia anche lei, e la figlioletta Vassilìssa (Василиса). La famigliola viveva ammodo, la vita le sorrideva, ma la disgrazia si abbatté su di essa. S’ammalò la madre, poverina. Quando senti che la morte stava per venire, chiamò la figlioletta Vassilissa e le diede una piccola bambolina.
- Sentimi bene, piccola mia, prendi questa bambolina, tienila cara e non farla mai vedere a nessuno. Quando ti coglie una disgrazia dalle da mangiare e chiedile consiglio. La bambolina mangerà e poi ti aiuterà nella sventura, figlia mia. La madre baciò Vassilissa e mori. Il vecchio soffri e patì, ma si sposò una seconda volta. Voleva dare una nuova madre a Vassilissa e invece le diede una matrigna, e di quelle cattive. La matrigna aveva due figlie: cattive anch’esse, brutte e capricciose. La matrigna voleva loro un bene, un gran bene: le vezzeggiava, le coccolava. Vassilissa, invece, si trovò proprio male perché la matrigna la strapazzava. Le figlie e la matrigna erano sempre arrabbiate, sbraitavano, non lasciavano vivere Vassilissa, la caricavano di lavoro perché Vassilissa per il duro lavoro smagrisse, ché al sole e al vento si facesse brutta, nera. Tutta la santa giornata non si sentiva altro che dire:
- Vassilissa, cara! Fa’ il pranzo! Scopa l’isbà! Porta la legna! Mungi le mucche! Su, sveglia, muoviti! Dai, allegra, non fare quella faccia!
E Vassilissa faceva ogni cosa, accontentava tutti, sbrigava da sola tutti i lavori. Ogni giorno che passava si faceva più bella. Bella, bellissima che non c’è favola che tenga né c’è penna che a descriverlo pervenga. Ed era sempre la bambolina che aiutava Vassilissa in ogni cosa. La mattina presto Vassilissa dopo aver munto la mucca si chiudeva nel ripostiglio e faceva bere il latte alla bambolina, dicendole:
- Su, bambolina, bevi il lattuccio, senti il mio cruccio. La bambolina beveva prima il latte e, dopo aver consolato Vassilissa, faceva per lei tutti i lavori. Vassilissa se ne stava al fresco dell’ombra, raccoglieva i fiori e l’orto era ripulito delle erbacce, l’acqua era nelle secchie e nella botte, la stufa era accesa e i cavoli erano annaffiati. La bambolina poi le insegnava anche qual’era l’erbetta da usarsi perché la pelle non s’annerisse al sole. Cosi Vassilissa diventava ancora più bella. Un giorno il padre se ne parti di casa per molto tempo. La matrigna se ne stava con le figlie nell’isbà: fuori era scuro, pioveva, ululava il vento, era autunno avanzato. L’isbà era nel folto del bosco e in quel bosco ci viveva Jagà, la Maga-magà (Баба-Яга), che mangiava la gente come fossero pollastri. La matrigna distribuì alle ragazze i lavori: a una diede da fare i merletti, all’altra da far la calza e Vassilissa doveva filare. Spense poi le luci nell’isbà, lasciò solo bruciare una sverza lì dove stavano le ragazze e andò a dormire. La sverza di betulla scoppiettò e sfrigolò e poi si spense.
- E adesso che facciamo? - dissero le figlie della matrigna. - Luoco in casa non ce n’è più e dobbiamo ancora lavorare. Toccherà andare dalla Jagà, la Maga-magà, per farci dare il fuoco.
- Io non ci vado - disse la maggiore. - Io faccio i merletti e l’uncinetto rimanda abbastanza luce.
Nemmeno io ci vado - disse l’altra figlia. - Io sto facendo la calza e i ferri rimandano luce a sufficienza.
E insieme gridarono:
Vassilissa, ci devi andare tu! Va’ da Jagà, la Maga- magà! — e la spinsero fuori della porta.
La notte era buia, il bosco fitto e c’era un vento maledetto. Vassilissa cominciò a piangere, poi tirò fuori di tasca la bambolina. Bambolina mia cara, mi mandano da Jagà, la Maga- magà, per prendere il fuoco. La Maga-magà mangia i cristiani come niente, con le ossa e tutto.
Non temere - disse la bambolina. - Quando ti sono vicina non ti può succedere niente di male!
Grazie, bambolina, del conforto che mi dai! - disse Vassilissa e si mise in cammino.
Intorno le si parò come un muro il bosco, nel cielo non splendeva nemmeno una stella, la chiara falce della luna non si faceva vedere. La ragazza camminò, tremando, stringendosi al petto la bambolina. D’improvviso vide passarle vicino un cavaliere bianco su un cavallo bianco dalla bardatura chiara. Cominciò ad albeggiare.
La ragazza continuò a camminare: inciampava ad ogni passo, batteva contro ceppi e fusti. La rugiada le aveva coperto la treccia, le gelava le mani. Un altro cavaliere le passò vicino: tutto in rosso, su un cavallo pure rosso, con la bardatura rossa.
Si levò il sole. Accarezzò Vassilissa, la scaldò e asciugò la rugiada sulla treccia. Vassilissa camminò per tutta la giornata. Verso sera sbucò in una radura. Qui Vassilissa vide un’isbà. Intorno all’isbà correva una palizzata fatta di ossa umane. Sulla palizzata vide infilati teschi di uomini, al posto delle travi del cancello vide piedi e gambe di cristiani, invece dei paletti del chiavaccio mani di uomini, al posto del lucchetto denti aguzzi.
La ragazza si spaventò a morte, si fece di stucco. Poi vide cavalcare un altro cavaliere, nero, su un cavallo pure nero, con la bardatura nera. Il cavaliere raggiunse la porta dell’isbà e scomparve come inghiottito dalla terra. Scese la notte. Allora gli occhi di tutti quei teschi sulla palizzata si accesero, la radura tutta si illuminò a giorno. Vassilissa tremò dalla paura. I piedi non volevano piu camminare, non la volevano portar via da quel terrore. D’improvviso Vassilissa senti la terra tremare sotto i piedi. Era Jagà, la Maga-magà, che arrivava volando seduta nel mortaio: col pestello spronava, con la scopa spazzava per disperdere le tracce. Si fermò sulla porta e gridò: Fi, fi, fuh! Sento odor di carne umana! Chi c’è qui?
Vassilissa le si avvicinò, le si inchinò profondamente e le disse umilmente:
Sono io, nonna: le figlie della matrigna mi hanno mandata a chiederti del fuoco.
Ah, è cosi! - disse Jagà, la Maga-magà. - La tua matrigna è mia parente. Bene, che ci vuoi fare! Rimani qui da
me, lavora un po’ per me, poi vedremo il da farsi.
Poi gridò con voce tonante: Ehi, catenacci miei solidi, disserratevi; cancello mio largo, apriti!
Si apri il cancello, Jagà, la Maga-magà, entrò nel cortile, Vassilissa le andò dietro. Presso la porta cresceva una betulla che si apprestava a sferzare la ragazza.
Betulla, non sferzare la ragazza! È con me! - disse Jagà, la Maga-magà.
Vicino all’isbà stava accucciato un cane che si apprestava a mordere la ragazza.
Non la toccare: è con me! - disse Jagà, la Maga-magà.
Nella slitta stava un gatto, tronfio e ronfio che si apprestava a graffiarla.
Non la toccare: è con me! - disse Jagà, la Maga-magà.
Vedi, Vassilissa, non è facile scappare da casa mia: il gatto ti graffia, il cane ti morde, la betulla ti cava gli occhi, il cancello non si apre.
Jagà, la Maga-magà, entrò nell’isbà, si sdraiò sulla panca.
Ehi, ragazza-ramazza, portami da mangiare! Saltò fuori la ragazza-ramazza, cominciò a cibare Jagà, la Maga-magà, che si mangiò di borse un calderone, di latte un secchione, in piu venti pollastri e quaranta anatroccoli rimasti, e ancora mezzo bue e pasticci due, poi del kvas, del miele, del sidro e ogni cosa a iosa.
Tutto si mangiò Jagà, la Maga-magà. E a Vassilissa diede solo un cantuccio di pane.
Ehi, Vassilissa! - disse. - Prendi quel sacco di miglio,
fanne la cernita grano per grano e separane il loglio: se non lo fai ti mangio.
E qui Jagà, la Maga-magà, si ammammolò e cominciò a russare.
Vassilissa prese il cantuccio, lo mise davanti alla bambo- lina e le disse:
- В ambolina mia cara, mangia il cantuccio, senti il mio cruccio! Jagà, la Maga-magà, mi ha dato da fare un lavoro, ma un lavoro... Minaccia di mangiarmi se non faccio ogni cosa…



Ultima modifica di Zarevich il 24 Lug 2018 17:11, modificato 3 volte in totale 





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Zarevich
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Messaggio «VASSILISSA» 
 
E la bambolina le rispose: - Non piangere, non disperarti, va’ invece a dormire: la notte porta consiglio.
Appena Vassilissa si fu addormentata la bambolina gridò:
- Uccelli volanti, tutti quanti, palombe-colombe, venite in volo a salvare Vassilissa dal duolo!
Arrivarono uccelli su uccelli. Cominciarono la cernita: beccavano e tubavano a singhiozzo, il miglio andava nei sacelli e il loglio nel gozzo. E così chicco dietro chicco ripulirono tutto il miglio dal loglio. Appena ebbero finito il lavoro un cavaliere bianco passò accanto al cancello su un cavallo bianco. E subito spuntò l’alba.
Allora Jagà, la Maga-magà, si svegliò. Chiese a Vassilissa:
- Beh, il lavoro l’hai fatto?
- Fatto tutto, nonna.
Jagà, la Maga-magà, s’irritò perché infatti non c’era niente da ridire.
- Beh - brontolò - adesso vado a far preda e tu prendi quel sacco con piselli e semi di papavero, fanne la cernita grano per grano e fa’ due mucchi, uno di piselli e l’altro di semi. Se non lo fai ti mangio. Jagà, la Maga-magà, usci in cortile, fischiò: il mortaio le rotolò ai piedi. Un cavaliere rosso galoppò oltre la casa. Il sole si levò. Jagà, la Maga-magà, si sedette nel mortaio e parti in volo. Col pestello spronava, con la scopa spazzava per disperdere le tracce. Vassilissa prese un cantuccio di pane, diede da mangiare alla bambolina e disse:
- Abbi pietà di me, bambolina mia cara! Aiutami!
La bambolina gridò con voce squillante:
- Venite topolini, topolini di campagna, di casa, di magazzino!
Accorsero topi su topi. In un’ora fecero tutto il lavoro. Verso sera la ragazza-ramazza apparecchiò la tavola e si mise ad aspettare Jagà, la Maga-magà. Un cavaliere nero galoppò oltre la casa. Venne notte. Gli occhi dei teschi si accesero, gli alberi scricchiolarono, le foglie stormirono: arrivò volando Jagà, la Maga-magà.
- Beh, Vassilissa, sentiamo: il lavoro l’hai fatto?
- Fatto tutto, nonna.
Jagà, la Maga-magà, si irritò, ma non c’era niente da ridire. - Beh, se è cosi va’ a dormire e anch’io adesso mi metto a letto.
Vassilissa andò a coricarsi dietro la stufa e senti che Jagà dava ordini alla ragazza-ramazza:
- Accendi il fuoco nella stufa, fai viva la fiamma, quando mi sveglio metto ad arrostire Vassilissa.
Jagà, la Maga-magà, si sdraiò sulla panca, il gozzo sulla palanca, col mortaio si copri e russò cosi forte che il bosco tremava.
Vassilissa si mise a piangere, tirò fuori la bambolina, le mise davanti il cantuccio. Bambolina mia cara, mangia il cantuccio, senti il mio cruccio: Jagà, la Maga-magà, vuol arrostirmi e mangiarmi. La bambolina, allora le insegnò come doveva fare per scansare il pericolo. Vassilissa si gettò ai piedi della ragazza-ramazza:
- Aiutami, ragazza-ramazza! Non dar legna alla fiamma, dalle acqua che la spenga. Per ricompensa prendi questo faz¬zoletto di seta. La ragazza-ramazza le rispose:
E sia, cara, ti aiuterò! Accenderò la stufa tirando per le lunghe. Gratterò i talloni a Jagà, la Maga-magà, perché dorma piu sodo, e tu, Vassilissa, scappa!
- I cavalieri non mi prenderanno? Non mi faranno tornare indietro?
- No - disse la ragazza-ramazza - il cavaliere bianco è il chiaro giorno, il cavaliere rosso è il sole d’oro e il nero è la notte buia. Essi non ti toccheranno.
Vassilissa spiccò la corsa. Vicino alla porta il gatto tronfio e ronfio si apprestava a graffiarla. Vassilissa gli gettò una focaccia. Il gatto la lasciò passare. Vassilissa era già in cortile. Saltò fuori il cane e si apprestò a morderla. La ragazza gli gettò del pane. Il cane la lasciò andare. Vassilissa corse fuori del cortile. La betulla voleva sferzarla sugli occhi. La ragazza la cinse con un bel nastrino e la betulla la lasciò passare. Il cancello voleva chiudersi. Vassilissa gli unse con l’olio i cardini: il cancello si spalancò ancor di più. La ragazza corse nel bosco nero. Arrivò galoppando il cavaliere nero: nel bosco si fece buio pesto. Come trovare la casa senza lume? Come tornare a casa senza fuoco? La matrigna l’avrebbe strapazzata a morte. Allora la bambolina insegnò a Vassilissa come doveva fare. La ragazza prese un teschio dallo steccato e lo mise in cima a un bastone. Vassilissa corse attraverso il nero bosco: gli occhi del teschio mandavano luce e come di giorno ci si vedeva. Intanto Jagà, la Maga-magà, si svegliò, si stirò, si stiracchiò per bene, vide che Vassilissa non c’era piu, si precipitò fuori. Gatto tronfio e ronfio, la ragazza che scappava l’hai graffiata?
Il gatto le rispose: - Io, Jagà, è da dieci anni che ti servo e non mi hai mai dato una crosticina di pane! Perciò l’ho lasciata passare.
Jagà, la Maga-magà, corse in cortile.
- Cane mio fedele, hai morso la ragazza mentitora?
Il cane le rispose:
- Ti ho servito per tanti anni e tu nemmeno un ossicino mi hai buttato per pasto: lei, invece, mi ha dato del pane e io l’ho fatta passare.
Jagà, la Maga-magà, gridò con voce tonante:
Betulla, mia betulla, le hai cavato gli occhi?
E la betulla le rispose:
Sono dieci anni che cresco qui da te: nemmeno una volta
mi hai legato i rametti con la corda per tenerli su, la ragazza invece, mi ha cinto con un bel nastro, e io l’ho fatta passare.
Jagà, la Maga-magà, corse verso il cancello.
- Cancello robusto, ti sei serrato, hai fermato la ragazza mentitora?
Il cancello le rispose:
- È da tanto che ti servo e non mi hai mai oliato i cardini, nemmeno con l’acqua: la ragazza, invece, mi ci ha dato dell’olio, e io l’ho lasciata passare.
Jagà, la Maga-magà, andò su tutte le furie. Cominciò a picchiare il cane, a tartassare il gatto, a buttar giu il cancello, a dare di scure alla betulla. Ma s’infiacchì, si stancò, si chetò stremata. E non potè così inseguire la fuggiasca.
Vassilissa arrivò correndo a casa. Vide che nell’isbà non c’era luce. Corsero fuori le figlie della matrigna: imprecando e maledicendola.
- Com’è che ci hai messo tanto? Noi qui in casa il fuoco non lo sappiamo serbare. Quanto abbiamo penato coll’acciarino, senza cavarne una scintilla, e il fuoco che ci passavano i vicini subito si spegneva. Speriamo che il tuo tenga a lungo. Portarono il teschio nell’isbà: gli occhi della testa-di-morto guardavano fissi la matrigna e le figlie bruciandole col fuoco. La matrigna e le figlie cercavano di sfuggire a quello sguardo, ma ovunque si nascondessero gli occhi erano sempre lì a fissarle e a bruciarle.
Venne l’alba: della matrigna e delle figlie non rimase che cenere, Vassilissa, invece, era lì sana e salva. La fanciulla sotterrò il teschio: sul posto crebbe un cespuglio di rose scarlatte.
Vassilissa non volle piu rimanere in quella casa, andò in città a vivere presso una vecchina. Un giorno la ragazza disse alla vecchia: - Mi annoio, nonna, a stare senza far niente. Comprami un po’ di lino, e del migliore.
La nonnina glielo comprò. Vassilissa si mise a filare. Il lavoro ferveva: il fuso trillava e cantava, il filo correva dritto e unito, sottile come un capello d’oro. Poi Vassilissa prese a tessere: fece un tessuto cosi fine che passava per la cruna dell’ago come un filo; poi lo sbiancò cosi bene che divenne piu candido della neve.
Ecco, nonna, prendi questo tessuto, vallo a vendere e i soldi tienili per te.
La vecchina guardò il tessuto e diede un gridolino per la meraviglia.
Ih, bambina, un tessuto cosi, solo il principe merita di portarlo. Ora vado alla reggia a darglielo.
Il principe vide il tessuto e si meravigliò.
Quanto vuoi per questo? - chiese.
- È un tessuto che non ha prezzo: te lo offro in dono.
Il principe ringraziò la vecchina e la congedò colmandola di
doni. Volevano fare di quel tessuto delle camicie per il principe, ma nessuno voleva incaricarsene perché il lavoro era troppo fine. Il principe fece chiamare la vecchia e le disse: - Se hai saputo tessere così bene, devi sapere fare anche delle camicie.
La vecchina rispose:
Non sono stata io a filare, non sono stata io a tessere: è Vassilissa che l’ha fatto.
Allora che faccia lei le camicie.
La vecchina tornò a casa e raccontò tutto a Vassilissa. La ragazza cucì le camicie, le ricamò con seta, le ornò con perle lucenti. La vecchina poi portò le camicie alla reggia.
Vassilissa stava presso la finestra a lavorare di ricamo quando vide arrivare un servo del principe.
- Il principe ti vuole alla reggia.
Vassilissa ci andò. Il principe vedendo Vassilissa la Bella rimase di stucco.
Non ti lascio andare via - disse. - Sarai mia moglie.
La prese per le bianche mani, la mise à sedere accanto a sé e poi ci fu il banchetto di nozze.
Ben presto tornò il padre di Vassilissa e rimase a vivere con la figlia. Vassilissa tenne con sé anche la vecchina e portò sempre con sé la bambolina, nella tasca. E così la famigliola visse e ancor oggi è in vita e a andarla a trovare ci invita.

  

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Descrizione: Vassilissa 
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