«LA PRIMA LEZIONE DI PAGANESIMO» «ПЕРВЫЙ УРОК ПРО ЯЗЫЧЕСТВО»
© 2009 di Aldo C. Marturano
L’argomento Paganesimo in generale è vastissimo e complicatissimo peraltro e l’indagine, da noi già iniziata molti anni fa, ci ha richiesto ancora nuove messe a fuoco di varie questioni oltre ad una scelta più accurata dei testi dei vari autori che se ne sono occupati (quasi tutti di lingua russa e tedesca per quanto riguarda il lato russo-slavo) ed ora dobbiamo dire che ne è valsa la pena. Soprattutto abbiamo evidenziato il ruolo pesantissimo del proselitismo cattolico (molto più invasivo e fanatico di quello ortodosso) durante il Medioevo quando la Chiesa di Roma nella sua espansione economica tentò in varie riprese di fagocitare l’Ortodossia e, allo stesso tempo e in tutti i modi, di ottenebrare il Paganesimo. Con i reboanti e continui proclami dalla sede papale contro i pagani si misero insieme persino eserciti “santi” crociati per combattere le cosiddette eresie e qualsiasi altra fede tradizionale, non accettando per queste ultime che esse potessero esser messe sullo stesso piano di una religione indipendente e autonoma come quella cristiana e anzitutto non concedendo alcuna alternativa per i credi imperanti nei nuovi territori nordici che si andavano conquistando. Nel periodo storico che va dal 1000 al 1500 qualsiasi tipo di concorrenza religiosa venne considerato nocivo e fu combattuto ovunque e comunque con veemenza. Ciò naturalmente portò ad un rafforzamento degli odi reciproci e non soltanto fra le due grandi centrali cristiane (Roma e Costantinopoli) per l’accaparramento dei possibili catecumeni, ma anche fra i piccoli gruppi pagani locali, ciascuno geloso delle proprie origini e mal disposto a passare sotto un nuovo regime ideologico-politico.
Per fortuna in questi ultimi anni sono stati pubblicati lavori molto puntuali e meticolosi sull’argomento Chiesa Cattolica e lotta contro il Paganesimo e ci siamo accorti che quest’ultima fede, primordiale e in fin dei conti ecologica, sta ritornando in auge in tutta Europa a dispetto delle pretese cattoliche di reclamare per Roma l’unica fonte delle “radici cristiane europee”. In Italia già questo rigurgito pagano è cominciato alcuni anni fa quando si legalizzarono maghi e stregoni e si riconobbero i culti esoterici e i miracolosi guaritori. Oggi però nel Nord europeo germanico e protestante le antiche credenze come la Wicca stanno tornando alla ribalta e, in particolare nel mondo slavo, le vecchie feste agricole pagane ritornano rivissute un po’ con troppa fantasia in Ucraina e nel nord russo. Persino fra i popoli dell’Asia Centrale dopo il frantumarsi dell’URSS, malgrado l’ateismo di stato, le genti siberiane e centro-asiatiche mantenutesi buddiste o musulmane in superficie hanno riscoperto lo sciamanesimo buriato, ad esempio, ancora una volta sorge il desiderio di ritornare ai vecchi modi di guardare al mondo senza dover passare per forza attraverso la mediazione delle religioni tradizionali o dei poteri politici ideologizzati (come quasi-religioni).
Insomma credenze totalizzanti come il Cristianesimo o l’Islam e i loro proclami su pace e fratellanza dei popoli oggi appaiono materiali ideologici stantii e sono niente di più che affannose millanterie tratte da mitologie ormai in declino che riescono a sopravvivere solo se si affidano agli estremismi.
Certo, in Italia la questione è delicata e scabrosa.
Qui ha sede la centrale cristiana più potente e perciò richiede molto coraggio porre Paganesimo e Cristianesimo, religione del Diavolo e religione di Dio, in un confronto “paritario”, ma nuove verità storiche sono recentemente emerse in area protestante che non possono essere messe da parte e così abbiamo messo insieme questo piccolo saggio che potrà servire come testo-guida per i tanti curiosi desiderosi di saperne di più.
Occorre avvertire che la parola russo che s’incontrerà molto spesso, non ha molta attinenza con una nazionalità ben definita, ma indica esclusivamente durante il Medioevo un abitante slavo (o assimilato) delle Terre Russe e la sua lingua.
Aggiungiamo che la parola russa più corrente per Paganesimo è JAZYC’ESTVO traducibile con appartenenza ad un certo popolo nel senso che chi lo pratica non appartiene al “popolo cristianizzato”, ma ad un altro diverso. Un’accezione quindi semanticamente molto più ampia di PAGANUS e non così negativa. La parola russa è dell’XI sec. e si rifà alla divisione dei popoli riconoscibile attraverso le diverse lingue nella leggenda biblica della Torre di Babele e perciò è anche una tacita testimone di una situazione multietnica della Terra Russa che non sempre la centrale cristiana di Kiev (e poi quella di Mosca) seppe affrontare con successo, rassegnandosi a tentare di tener separate la cultura urbana (minima, in confronto all’urbanizzazione massiccia nel Medioevo occidentale) dalla cultura contadina e condannandosi in questo modo a dover sopportare la cosiddetta doppia-fede (dvojeverje) fino al XIX sec. d.C.
Esiste poi il problema intrinseco (italiano, ma non solo) dell’essere convinti che i concetti di dio, religione etc. elaborati in duemila anni di Cristianesimo siano dei concetti assoluti e indiscutibili e che qualsiasi altra idea sugli stessi “oggetti di discussione” è classificata in modo ostile di rango inferiore e a noi sempre aliena. Idolatra, pagano, politeista, animista, non credente etc. sono tutte parole che il Cristianesimo, specialmente nella versione cattolica, ci ha insegnato ad usare con forti negatività e quindi sviando ogni ricerca in merito.
E’ tutto vero? E’ giusto così? Chiediamocelo…
1. Discutiamo sul mito
Per cominciare cercheremo di mettere a fuoco perché nasce un mito. Più avanti tenteremo persino di definirlo per distinguerlo dalla favola o dal racconto ludico per bambini e più oltre, interessati alla Mitologia Slava, tenteremo di ricostruire gli aspetti peculiari dei miti slavi, sebbene, occorre dirlo subito, se ne sa poco a causa delle scarsissime notizie pervenuteci. Purtroppo da questo lato la situazione documentaria molto lamentevole, seppur simile a quella degli altri Paganesimi del nord d’Europa, è dovuta al ruolo pertinace della Chiesa Cristiana intenta ad obliterare le religioni “della campagna” ovunque esse si annidassero. Nel Medioevo il significato di paganus indicava con sprezzo il contadino imbelle e solo successivamente passò ad indicare il non-cristiano. In questo processo ideologico-linguistico la Chiesa ebbe un ruolo molto pesante e ciononostante, proprio in base alle indicazioni che trapelano dalle proibizioni o dalle ridicolizzazioni messe insieme dai ministri del culto e pensatori cristiani contro i pagani, si riesce a raccogliere qualche elemento su cui investigare… purché si respinga la voglia di far rivivere i riti e gli dèi pagani in vesti romantiche e in contesti assolutamente non storici!
Sarebbe pure il momento di farsi un’idea di che cosa sia una religione, ma qui non è la sede per discuterne a fondo (si è scritto tantissimo e si è dibattuto altrettanto) e noi semplificheremo dicendo che, dal punto di vista scientifico, una religione non è altro che un sistema mitologico che tenta di offrire (ognuna meglio di altre) spiegazioni “scientifiche” sul significato del nostro essere vivi nel mondo e di come possiamo rapportarci con l’eventuale creatore.
Nel passato furono introdotti dagli etnografi europei molti termini ambigui allo scopo di distinguere le religioni dominanti sedicenti portatrici di verità e di etiche universali dalle altre sparse nel mondo coloniale. Di conseguenza un termine come animismo (ogni oggetto ha una natura viva e divina) ascritto più spesso al Paganesimo nordico e alla sua mitologia ha avuto una sua ragion d’essere esclusivamente nel porre quelle credenze su un gradino più basso per svalutarle sul ricco mercato delle idee.
Oggi ciò non ha più valore anche perché, a ben riflettere, non è forse il Cristianesimo spontaneamente ad ammettere l’esistenza degli dèi pagani definendoli Demoni o emanazioni del Diavolo esortando a disprezzarne la venerazione (riti satanici) perché diretta ad un essere, pur divino, di rango inferiore (un angelo ribelle) al Dio Creatore Cristiano? E infine perché una mitologia, per il fatto d’esser pagana, deve essere ostracizzata come “superstizione” (parola che, seppur carica di significati negativi in quasi tutte le lingue europee, significava pratica religiosa esistente al di là dei riti ammessi dallo stato imperiale romano) e un’altra mitologia, in quanto cristiana, deve essere considerata “la religione superiore” a tutte le altre?
Mito e Mitologia sono parole derivate dal greco che indicano peraltro ora un racconto orale ora una loro raccolta organica. Attenzione però! Mentre il Paganesimo greco-romano e la sua mitologia erano tenuti in ottima stima dal pensiero cristiano almeno quali predecessori del “sapere medievale” (la Santa Sofia), per i popoli nordici su questo argomento tutto resta pressoché sconosciuto. Ammettere l’esistenza di una loro propria Mitologia presso queste genti in quel periodo storico era impossibile giacché si sarebbe attribuita loro una civiltà alla quale non avevano ancora diritto. Eppure il Cristianesimo era nato e stava fiorendo a spese della civiltà greco-romana, radicata e antica con la sua Religione di Stato pagana a fondamento del potere (Giulio Cesare, ad esempio, assunse il ruolo sacrale altissimo di Pontifex Maximus nel 63 a.C.!). La Chiesa però in ascesa all’interno del potere dell’Impero impose prima d’ogni altra cosa che si lasciasse il maggior spazio al dio maggiore di tutti, quello cristiano, e in più, giacché i confini dell’Impero per molti anni ancora rimasero il Vallo di Adriano in Inghilterra e nella Mitteleuropa il bacino del Reno e dell’Elba, fece sì che delle mitologie dei popoli slavi e baltici (o delle steppe) si continuasse a parlare sempre meno.
Di fatto i romani avevano una mitologia ufficiale ben elaborata in un corpus letterario importante e sistematizzato da secoli. Il loro pantheon pre-cristiano per di più si arricchiva di nuovi dèi ogni qual volta l’Impero conquistava una regione nuova col suo popolo e, seppur raramente, i romani qualche peculiarità delle religioni dei loro sudditi e degli dèi rispettivi la annotavano. Ad esempio Plinio il Vecchio o Tacito scrivono delle credenze germano-baltiche.
Comunque sia, gli scontri fra i centri di propaganda cristiani e i focolai pagani furono frequentissimi, sebbene gli osservatori contemporanei li considerassero episodi di secondo ordine. Potremmo già partire da Gregorio Magno che nel VII sec. d.C. fu uno dei primi ad avere notizie sugli Slavi in movimento migratorio verso il sud di prima mano in una corrispondenza con Massimo, vescovo di Tessalonica (Salonicco). Questo Papa tentò di circoscrivere l’ostilità ideologica con i pagani raccomandando, tra l’altro, non tanto di combattere usi e costumi o di distruggere luoghi di culto eventuali e di eliminarli con la forza (malgrado tutto, le armi non furono mai bandite), quanto invece di integrarli negli usi e nella morale cristiana assimilando possibilmente le loro feste e i loro riti sotto la protezione dei santi venerati dalla Chiesa (a volte inventandone di nuovi all’uopo). Se si tiene conto che il Cristianesimo era una “religione cittadina” e che in quel tempo era all’acme del successo, quella soluzione suggerita allora era la migliore.
Quattro secoli dopo il Cristianesimo invece appare in regresso mentre i pagani non sono assolutamente scomparsi. Anzi! Lustrati dalla benedizione con acqua santa cristiana, perseverano imperterriti nelle loro religioni e nei loro riti, talvolta nella clandestinità o (specie in ambito russo) nella cosiddetta doppia-fede. Nuovi espedienti furono perciò implementati da Roma (e da Costantinopoli) per aggirare il problema delle conversioni troppo forzate e per smorzare in qualche modo l’odio reciproco crescente visto che la nuova fede comportava sempre l’assoggettamento ai poteri secolari sponsorizzati dalla stessa Chiesa.
Le manovre cristiane, al di là della spiritualità che non interessa toccare qui, in realtà più che una lotta per l’affermazione di una spiritualità religiosa erano di natura prettamente economica: un piano di investimenti a lungo termine per l’ampliamento del consenso popolare alla raccolta di prebende e alle imposizioni delle corvées! Per di più mentre la Mitologia Cristiana aveva il sapore di novità straniera (la sua origine mediorientale), quella pagana nordica per noi è notevole poiché appare essere molto antica e di chiaro stampo nazionale ossia una rielaborazione di materiale addirittura attinto dal fondo preistorico e prezioso comune indoeuropeo!
Alfine eventuali raffronti della Mitologia Classica con quanto è “spremibile” dalle “cancellazioni” effettuate dalla Chiesa dovrebbero poterci servire ad una ricostruzione accettabile del Paganesimo slavo-russo, sebbene con una cronologia incerta e quindi torniamo al mito. Racconto orale? Sì, ma non basta! I miti fanno parte della vita umana (e perché dovrebbe essere altrimenti?) e per capire a che (e se) servono è molto importante. Immaginando un viaggio a ritroso nel tempo e tenendo conto di quanto sappiamo del mondo medievale slavo iniziamo il nostro discorso dalla nascita, dal momento in cui un nuovo piccolo uomo entra nell’universo “terreno”, luogo sconosciuto e alle prime apparenze ostile e irto di pericoli. Qui, dove avviene il primo impatto fisico con oggetti ed altri esseri viventi e dove vive l’unica vera e riconoscibile genitrice e fonte di vita e di cibo, il nuovo venuto probabilmente passerà il resto della vita. Sua madre, conoscendo già da lungo tempo (grazie all’età sua e all’esperienza) lo spazio in cui si muove, è in grado invece di districarsi fra gli ostacoli colà esistenti e, a parte il fatto di essersi dapprima assicurata che il neonato all’apparenza è sano e che vivrà, sente dentro di sé il compito assegnatole dalla natura (prima a lei e poi al padre o ai padri) di trasmettere le conoscenze da lei accumulate fino a quel momento affinché il bimbo possa acquisire sufficienti gradi di libertà per continuare a vivere dove si trova. La famiglia (il raggruppamento umano dominante nel Medioevo slavo formata da numerosi membri conviventi) è ormai da qualche secolo paternalistica e con la nascita se ne è parte per definizione. Tuttavia il neonato per diventarne membro rimarrà legato alla madre strettamente per un certo periodo di tempo di “tirocinio alla vita” prima dell’ingresso nel mondo degli adulti.
Abbiamo parlato di comunità e del bisogno di farne parte, ma perché? A che serve un tale gruppo organizzato di più persone e perché esso è così importante per il nuovo piccolo uomo? Non abbiamo la competenza necessaria per una definizione scientifica in termini antropologici e culturali né per discutere i principi generali con cui in etnografia si classificano le comunità umane esistenti e quindi lasciamo il lettore alla ricerca più specializzata su questo aspetto della questione. Quel che ci preme dire qui è che la necessità di uomini e donne adulti di stare insieme in modo stabile sorse moltissimi millenni fa. Probabilmente occorreva alla donna-madre difendersi dagli assalti di animali predatori sui propri piccoli come pure serviva per dividersi meglio il lavoro di ricerca e di produzione del cibo (attività fondate e dirette dalla donna) con il maschio. Per la riproduzione della specie inoltre una comunità faceva sì che uomo e donna potessero incontrarsi ed accoppiarsi senza difficoltà. Sottolineiamo queste necessità e notiamo che sono sempre connesse fra di loro, se si pensa che per la riproduzione occorre essere giunti non solo all’età giusta, ma essere in buone condizioni fisiche e psicologiche (cioè sazi e contenti) e avere un luogo protetto dove compierla. E qui s’inserisce anche la questione del territorio perché una comunità occupa un “suo” spazio riservato col quale è ben relazionata. Un vero e proprio universo nuovo!
Dalle esperienze e dalle osservazioni fatte finora sul campo dagli antropologi in quasi tutto il mondo nelle società cosiddette pre-moderne (anche moderne!) e in consonanza con l’ambiente il primo passo per accedere al mondo degli adulti è l’iniziazione ossia il processo che il nuovo membro (di solito giovane) percorrerà con gli appropriati riti (altro termine da chiarire meglio). Logicamente è da pensare che l’aspirante-membro abbia imparato a governare tutte le funzioni del proprio corpo (pubertà) prima di essere iniziato e quindi c’è da aspettarsi una verifica anche in quel senso. Si procede prima di tutto ad incutere nel novizio il rispetto per l’autorità costituita ossia per le gerarchie d’età (e di sesso) esistenti nella comunità. Tale obbedienza alle regole occorre inculcarla immediatamente, se si vuole rendere credibile la procedura di trasmissione della cultura adulta tradizionale e paternalistica. Inoltre l’iniziazione è accompagnata, per il tramite di persone vicine al novizio, dall’apprendimento di come si costruiscono e come si adoperano certi arnesi o, ad esempio, come lavorare il legno o spaccare le pietre o come seminare o come usare le armi e tante altre cose giacché gli arnesi e le attività lavorative sono elementi tradizionali esclusivi della comunità (magici) e l’insegnamento di queste cose fa parte dei riti iniziatici.
Non essendoci ancora l’uso dello scrivere, è inutile cercare dei “libri di testo” a questo stadio e la verbalità è il mezzo di comunicazione eletto, specialmente se le notizie da trasmettere si riferiscono a circostanze e ad effetti non riproducibili nell’immediato, ma prevedibili invece nel futuro. L’istruzione perciò parte dalla parola per cui la facoltà più importante richiesta al novizio per apprendere il mito (e per capirlo) è la dominanza della lingua parlata nella comunità.
E qui entriamo nel campo di quella che possiamo chiamare la Civiltà del Parlare che sembra distinguere l’uomo dagli altri animali ossia dell’uso del linguaggio articolato per rapportarsi l’un con l’altro!
Avete mai notato che all’udire persino un semplice suono, emesso o no da bocca umana, immediatamente nella mente (addirittura prima di saper parlare o comprendere una lingua) si generano degli “oggetti mentali”? Noi li abbiamo riordinati in tre tipi: 1. Sensazioni (paura, meraviglia, apprensione, allegria, soddisfazione etc.) o memorie olfattive o tattili, 2. Immagini di oggetti a noi noti da esperienze passate (nel nostro archivio mentale personale) con le loro relazioni con altri oggetti e infine 3. Immagini di persone o di figure che assomiglino a uomini (mostri o qualcosa di simile), composte dai tanti pezzi estratti dalle immagini mentali pre-archiviate. Proprio a causa dell’archivio mentale diverso fra le persone esiste il pericolo che l’immagine creata nella mente di chi ascolta sia diversa da quella trasmessa da chi parla per cui onde evitare fraintendimenti la lingua fornisce la possibilità di ricorrere a descrizioni gradualmente più dettagliate, all’aggiunta un po’ alla volta di particolari più intimi etc. etc. finché i due “oggetti mentali” (del parlante e dell’ascoltante) alla fine coincidono.
Chiaramente esiste un linguaggio mitico (aulico, poetico) e uno d’ogni giorno quasi contrapposti che però non devono far mai pensare che il mito sia favola o invenzione, a seconda del linguaggio usato. E’ anche vero che nel mito si ricorre a parole reboanti, si evocano personaggi straordinari, si parla di eroi ed eroine coinvolti in eventi straordinari e fantastici, ma si fa ciò perché serve mettere in risalto certi tratti dell’evento rispetto ad altri.
Vediamo un po’ più in concreto.
Da un libro di fisica traiamo la seguente descrizione di un’esperienza abbastanza comune: Definiamo un piano inclinato un piano che incontra un altro piano orizzontale di riferimento con una certa angolazione. Ogni volta che poniamo una sfera sulla parte più alta del piano inclinato, vedremo la sfera rotolare verso il basso. Di qui deduciamo che qualsiasi corpo posto su una superficie inclinata rispetto al piano orizzontale terrestre da una certa altezza tende a cadere sempre verso il basso per gravità.
Passiamo ora alla Mitologia Greca e leggiamo il mito di Sisifo: Sisifo, figlio di Eolo e Enarete, era un re rinomato per i suoi atti fraudolenti, tanto che riuscì persino ad ingannare la Morte. Gli dèi lo punirono per l’orgoglio di voler diventare immortale come loro e lo condannarono nell’Ade ad un supplizio eterno. Con l’aiuto delle mani e dei piedi doveva portare in cime ad una montagna un masso facendolo rotolare. A breve distanza dalla cima, il masso però ogni volta gli sfuggiva e cadeva rotolando verso il basso, per cui Sisifo doveva ricominciare tutto daccapo.
Nei due testi è stata descritta la stessa esperienza e noi l’abbiamo letta una volta in “versione scientifica” e un’altra volta in “versione mitica”. E’ chiara la differenza?
Tuttavia non occorre dare tutto per scontato nel mito e Socrate, una grande autorità del passato, dice infatti nel Gorgia, raccontando a Callicle il mito di come gli dèi si divisero il dominio sul mondo: “Ascolta un racconto molto bello, che tu considererai un mito, credo, e io invece un vero discorso.” Il filosofo intende dire che il mito normalmente racconta un evento vero accaduto nel passato e, siccome forse non si ripeterà più uguale nel futuro o nel presente, va accettato, creduto e tramandato così com’è usando della personale libera scelta. Non a caso il filosofo fu condannato a morte a causa della sua convinzione che l’intelletto umano fosse libero, ispirato dal daimon, una forza divina autonoma che penetra nella mente e che dà la possibilità di parlare in modo diverso dal tradizionale. Un tal modo di usare il mito già a quei tempi faceva paura perché poteva cambiare la visione del mondo e distruggere la tradizione in un periodo (VI-V sec. a.C.) in cui il pensiero greco stava passando con fatica alla cosiddetta scientificità del discorso libero (logos), rispetto a quello mitico (mythos).
Per concludere, linguaggio e mito sono strettamente collegati e il mito con la sua trama e i suoi personaggi è il miglior espediente materiale per fissare un contenuto orale nella mente umana, se il “ricevitore” non è ancora abituato a scrivere o non conosce o non ha tempo di assimilare il messaggio lanciato in altro modo più durevole.
Questo è il mito: Un racconto stratificato nel tempo di un’esperienza reale (o imposta in sogno, sebbene in modo diverso non libero) subita o compiuta dai membri di una definita comunità e poi fissata in una serie di parole (per principio immutabili, ma in realtà modificabili non appena il mito diventa obsoleto o cambia la lingua materiale) che il neofita ascolterà e ripeterà allo scopo di incorporarlo letteralmente negli atteggiamenti propri e nei propri modi di affrontare gli ostacoli quotidiani.
Il mito nel raccontarlo è inoltre accompagnato da canti, litanie e danze che non sono altro che delle tecniche mnemoniche antichissime usate affinché la trasmissione orale ottenga maggior successo. E’ persino logico che ciò avvenga poiché l’intervento del genio artistico alla fine lo trasforma in patrimonio di bellezza del gruppo. E l’efficacia di queste tecniche è tanto vera che il Cristianesimo le sfruttò tutte, queste tecniche, per diffondere la propria mitologia. Con drammi sacri, con cori ed altri tipi di insegnamenti cantati e suonati, la Chiesa tese, si noti bene il caso cristiano, a deviare e legare l’attenzione del “catecumeno” sempre più verso lo scritto affinché i miti cristiani (il Vangelo, la Bibbia) si fissassero immutabili nel tempo, ma soprattutto s’imponessero come culturalmente superiori alle mitologie non scritte del resto d’Europa.
Assodato così che il mito è la parte essenziale della tradizione culturale di una certa cultura, i tratti accertati ci sembrano ora chiari: 1. Una descrizione del mondo in cui viviamo 2. Una morale pedagogica da apprendere affinché siano evitati danni fisici al proprio corpo e a quello degli altri e 3. Suggerire che il comportamento, il personaggio e l’evento mitici sono modelli da imitare affinché l’ordine naturale non venga inutilmente disturbato.
E di qui balza subito agli occhi un’altra equazione importantissima che avvolge la lingua articolata e il mito: Il mondo esiste perché è stato creato dalla parola!
E’ un dibattito antichissimo e affollatissimo di dotti pensatori che nel mondo medioevale “scritto” cristiano addirittura s’inaugura intorno al 600 d.C. con la famosa enciclopedia di Isidoro di Siviglia e le sue fantastiche (ma, a suo dire, pedagogiche) etimologie! Tutto ciò in definitiva è notevole dato che la magia della parola è pure il contenuto “pagano” degli scongiuri, delle formule per i sortilegi e per gli incantesimi o, sul versante cristiano, delle benedizioni, degli anatemi e robe simili!
Noi però qui insistiamo sul punto che, comunque sia, la Mitologia Pagana nordica tramandatisi di generazione in generazione non scomparve del tutto, sebbene resti a volte arduo distinguerla da quella cristiana o, genericamente, da quella dei diversi popoli del Nord. Quando la ricercatrice russa contemporanea T. I. Sen’kina ammette che… “i racconti popolari della Carelia (finnica) attirano l’attenzione per la le loro strette relazioni con le byline (russe)…”, ci conforta ulteriormente registrare l’indicazione di una situazione d’avanzata ibridazione culturale fra Slavi, Balti e Finni. Chissà! I legami personali o le partecipazioni interreligiose di tanti secoli fa rendono più facile confrontare le varie mitologie presenti nell’ambiente nordico.
Purtroppo, come scrive E. Levkievskaja, la Mitologia Russa in particolare è troppo giovane (non supererebbe i 1000 anni d’età) e metterla insieme è un lavoro molto difficile quando occorra individuare un mito, caratterizzarlo e sistemarlo in uno schema dato. A nostro avviso, sarebbe oggi una perdita di tempo dacché i miti russi ormai sono cristallizzati nella grande massa dei racconti popolari o byline che circolano ancora nel mondo contadino.
D’altronde, relegare i miti slavo-russi raccolti con meticolosità soprattutto da A. Afanas’ev e V.I. Dal’ nel folclore popolare non significa affatto che essi abbiano perso la loro natura mista, ovunque questa si nasconda nei loro testi, o che, giusto per questo motivo, non continuino a vivere nell’animo e nelle azioni quotidiane della gente russa delle Terre Russe di oggi.
Dalle ricerche appassionate di V. Propp (prima di altri) si riesce ad individuare nelle byline addirittura un loro fondo storico dal quale ricostruire qualche evento passato con una certa approssimata sicurezza.
In conclusione, non sarebbe neppure sbagliato nella ricerca presente abbandonare la parola mito per sostituirla con quella slavo-russa di bylina visto che il mito non è prescindibile dalla cultura che lo ha creato, se non fosse che le byline slavo-russe in Italia e nell’Occidente sono poco conosciute e altrettanto poco studiate.
Segue bibliografia