Oggetto: «I COSACCHI E I SARDI»
«I COSACCHI E I SARDI»
«КАЗАКИ И САРДЫ»

Carissimi amici!
La nostra cara amica sarda «altamare» che è l’amica fedele del nostro forum modesto «ARCA RUSSA» scrive spesso i suoi post assai interessanti che sono dedicati alla vita e cultura sarda, della Sardegna assolata. Per me, l’abitante della Russia fredda e coperta spesso di abbondante neve, la Terra sarda è un Paese lontano e misterioso.
Ma grazie ai bei post della nostra amica «altamare» quella lontana Terra sarda diventa così vicina, comprensibile e gradita. Io ho scoperto grazie a «altamare» che delle tradizioni dei nostri Cosacchi russi sono simili a quelle sarde. È una cosa incredibile che può stupire. La nostra amica «altamare» ci sta dimostrando questa somiglianza. Io leggo sempre con un grande e vero interesse i suoi post. Io amo i nostri Cosacchi, le loro tradizioni e le loro canzoni cosacche ed io stesso sono un po’ cosacco. Il mio bisnonno derivava dai Cosacchi. Mo io sono nato a Mosca e sono un vero moscovita, ma come ogni russo, sempre piango sentendo le canzoni russe cantate dai Cosacchi. È la nostra anima russa.
Ho deciso di aprire questo post per continuare il discorso d’amicizia fra la Russia e l’Italia, fra le nostre culture, fra la cultura cosacca e la cultura sarda. Proprio per questo è stato fondato dieci anni fa, da Myshkin e da me, il nostro forum «ARCA RUSSA». E noi fino ad oggi cerchiamo di continuare questa tradizione della nostra amicizia italiano-russa. Se voi siete gli uomini di buona volontà, vi preghiamo di appoggiare questa nostra iniziativa. Vorrei vedere in questo post dei racconti della cultura sarda e della cultura cosacca perché i nostri popoli, italiano e russo, sono degni della grande stima e del grande rispetto.
I miei cari saluti da Mosca!
Zarevich

«I COSACCHI DI TUTTA LA MADRE RUSSIA»
Il Gran Concerto dei Cosacchi di tutta la Madre Russia al Teatro Bolshoj di Mosca (2012): I Cosacchi di Mosca, di Jaroslavl’, di Saratov, di Pjatigorsk, di Tjumen’, di Ulan-Ude, di Irkutsk, di Krasnodar, di Rostov sul Don ecc.
https://www.youtube.com/watch?v=DDAA5ZmBHms


 
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Oggetto: Re: «I COSACCHI E I SARDI»
Grazie Zarevich per questo post molto sentito per lo spirito che infondi di amicizia e d' interesse per la cultura della mia Isola tanto lontana geograficamente sempre baciata dal sole e carezzata dalle onde del mare, ho sempre avuto interesse per la tua Nazione, nata sui romanzi celebri che i tanti poeti e narratori hanno dato modo di conoscere e ancor piu' amare, una terra vastissima dalla natura straordinaria tutte le varietà di ambienti e paesaggi si possono ammirare in Russia.
Ma la mia sorpresa piu' grande e' stato nel leggere usi e costumi e tradizione dei cosacchi, la loro spiritualita' espressa nei loro canti, il loro cerchio quale elemento costitutivo della comunita' cosi' importante,il loro essere solidali con chi e' piu' debole nel bisogno, tanti i loro momenti di vita associativa quali il "shermitsii" momenti dove vivere dopo il rigido inverno all'aria aperta delle vere e proprie olimpiadi cosacche dove tutti hanno modo di esibirsi e competere nell'arte della spada, della lotta libera e nell'arte massima di ogni cosacco quella dell'andar a cavallo, e tanto tanto altro, insomma per me un autentica sorpresa perche' ho sentito quanto del loro mondo e' anche parte del mio. Non ho mai sentito altra Nazione piu' vicina spiritualmente e nelle tradizioni come la Russia con i suoi Cosacchi, cosi' fieri ed orgogliosi, uno spirito fortemente identitario, quanta passione nel recuperate la propria storia e tradizioni, vi e' un fermento davvero entusiasmante, ma non e' un chiudersi nel loro cerchio al mondo, assolutamente no, il cerchio e' basilare per capire chi si e' e che percorso si desidera intraprendere ma aprendosi al mondo, confrontando la propria cultura con le altre culture e scoprire che tanti sono i punti in comune, cosi che il cerchio sardo incontra il cerchio russo-cosacco e da questo nasce un amore ancor piu' grande colmo di rispetto ed ammirazione.
Grazie Zarevich per questo luogo di incontro dove sono ben felice di lasciare i miei pensieri e riflessioni sulle nostre culture sulla mia percezione di quanto siano affini, nonostante la lontananza e il clima, ma e' il cuore dell'Uomo e la sua Sapienza e che ci avvicinano, la profonda spiritualita' e le splendide tradizioni, il nostro essere come siamo e non si desidera esser diversamente, pur con la chandra russa e la proverbiale ostinazione sarda :)

Scrivero' qui le tante storie di uomini e di donne che hanno in comune la Russia e la Sardegna.
ho trovato una simpatica immagine in rete le nostre bandiere, forse una immagine costruita ma non e' importante, importa cio' che esprime e trasmette.

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Oggetto: Re: «I COSACCHI E I SARDI»
GRAZIA DELEDDA

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Il 2016 è un anno importante per Grazia Deledda, una delle figure più illustri della Sardegna, in quanto ricorrono l’ottantesimo anniversario della morte (1936) e il novantesimo dall’assegnazione del premio Nobel per la letteratura (1926).

Era una donna dura, taciturna e di carattere. « Aveva un riso freschissimo di suora giovane », secondo l’efficace immagine del suo amico Cesare Giulio Viola. Ma rideva raramente e parlava il minimo indispensabile. Poteva starsene ore seduta in silenzio, meditando fra sé e annuendo ogni tanto come se rispondesse a un soliloquio interiore : é un altro ricordo tramandato dai figli »

Anche in occasione Premio Nobel le sue parole furono semplici e stringate : « Io non so fare discorsi, mi contenterò di ringraziare l’Accademia Svedese, per l’altissimo onore che nel mio modesto nome, ha concesso all’Italia e di ripetere l’augurio che i vecchi pastori di Sardegna, rivolgevano ai loro amici e parenti: Salute!… Salute al Re di Svezia, salute al Re d’Italia, salute a voi tutti Signore e Signori ».


Nata a Nuoro nel 1871, Grazia Deledda deve essere ricordata al pubblico più giovane non solo per la sua opera, ma anche per il valore morale della sua esistenza, vero esempio di lotta ed emancipazione.

La Deledda era una scrittrice straniera.

Il progetto di Grazia Deledda, aldilà di una collocazione letteraria, presenta due tipicità: il tentativo di collegare la realtà antropologica sarda sia nella specificità della lingua italiana, sia nel mondo esterno della letteratura in generale. Molti sono, infatti, i punti in comune con la grande letteratura russa, conosciuta e amata dalla Deledda. Essa provenendo da un mondo sconosciuto e chiuso fino a quel momento, la porta in primis a costruire un ponte tra la lingua sarda e la lingua italiana, intuendo l'intenso rapporto tra civiltà, cultura e lingua. L’apertura verso il mondo nazionale, porta la Deledda ad essere bilingue. Essa scrive: “Io scrivo ancora male in italiano - ma anche perché ero abituata al sardo che è per se stesso una lingua diversa dall'italiana". Ed è proprio traendo ispirazione dal proprio vissuto e dal proprio universo antropologico sardo (con grandi affinità alla cultura rurale e contadina russa), che la pone molto vicino agli scrittori dell’est, creando un rapporto tra la Sardegna e la Russia. La Deledda si accinge a realizzare il proprio progetto letterario, in lingua italiana, trovando la propria identità proprio in quel mondo distante e perciò spesso sfuggente ai critici stessi. Il rapporto tra la Deledda e gli scrittori russi è profondo e significativo, allacciandosi al mondo letterario dei suoi contemporanei: Gor'kij, Anton Čechov ma anche con i recenti Gogol', Dostoevskij e Turgenev. La Deledda, infatti, scrive:

“Ai primi del 1899 uscirà La giustizia: e poi ho combinato con la casa Cogliati di Milano per un volume di novelle che dedicherò a Leone Tolstoi: avranno una prefazione scritta in francese da un illustre scrittore russo, che farà un breve studio di comparazione fra i costumi sardi e i costumi russi, così stranamente rassomiglianti”

Divenne perfettamente bilingue solo intorno ai trent’anni e quindi forse anche per questo mi è cara: perché io oggi ho un bilinguismo pacificato, lei dovette lottare per guadagnarsi una lingua che allora era dominante che le consentisse di raccontare le storie che provenivano dal suo Mondo.
La Deledda è stata una emigrante ma non di sé stessa, ma del Mondo che si portava dietro.
E’ riuscita a gettare un ponte tra le due culture: quella italiana e quella sarda, che è un ponte sul quale camminano oggi tutti gli Scrittori sardi.
Grazia con le sorelle, con i fratelli, in famiglia parlava solo il sardo. Va a scuola: è una femmina e fa solo fino alla quarta elementare. In via eccezionale le la lasciano ripetere, cosi puo’ fare ancora un anno in più stando a scuola coi libri. Un vecchio prete le da qualche lezione di latino. Impara da sola il francese e impara, da sola, l’italiano. Capisce a tredici anni che se vuole imparare l’italiano lo deve tradurre, lo deve raggiungere traducendolo dal sardo : diversamente non lo puo’imparare mai. Il padre le regala un meraviglioso vocabolario con tante figurine. Perché le figurine? Perché per ogni parola che dal sardo viene tradotta in italiano c’è una figurina che ribadisce il significato, quindi per la memoria. Come una sordomuta, in un certo senso.

La Deledda ha molto chiaro quello che vuole fare, lo ha sempe avuto chiaro, ma era una donna che aveva anche molte contraddizioni : partiva da una condizione di incomprensione : il suo ambiente la osteggiava, non accettava che lei scrivesse e questo all’inizio l’ha amareggiata. E questa ferita rimarrà sempre aperta.




« Se tuo figlio scrive versi, correggilo e mandalo per la strada dei monti. Se lo trovi nella poesia la seconda volta, puniscilo ancora. Se va per la terza volta, lascialo in pace perché è un poeta. Senza vanità anche a me è capitato cosi ».


«Ho vissuto coi venti, coi boschi, con le montagne. Ho mille volte appoggiato la testa ai tronchi degli alberi, alle pietre, alle rocce per ascoltare la voce delle foglie; ciò che dicevano gli uccelli, ciò che raccontava l’acqua corrente;…ho ascoltato i canti e le musiche tradizionali e le fiabe e i discorsi del popolo, e così si è formata la mia arte, come una canzone o un motivo che sgorga spontaneo dalle labbra di un poeta primitivo».[Grazia Deledda, 1933]

La Deledda e i narratori russi

È noto che la giovanissima Grazia Deledda, quando ancora collaborava alle riviste di moda, si rese conto della distanza che esisteva tra la stucchevole prosa in lingua italiana di quei giornali e la sua esigenza di impiegare una lingua italiana più vicina alla realtà e alla società dalla quale proveniva.
La Sardegna, tra la fine dell'Ottocento e il primo Novecento, tenta come l'Irlanda di Oscar Wilde, di Joyce, di Yeats o la Polonia di Conrad, un dialogo alla pari con le grandi letterature europee e soprattutto con la grande letteratura russa.
Nicola Tanda nel saggio, La Sardegna di Canne al vento scrive che, in quell'opera della Deledda, le parole evocano memorie tolstojane e dostoevskiane, parole che possono essere estese a tutta l'opera narrativa deleddiana: «L'intero romanzo è una celebrazione del libero arbitrio. Della libertà di compiere il male, ma anche di realizzare il bene, soprattutto quando si ha esperienza della grande capacità che il male ha di comunicare angoscia. Il protagonista che ha commesso il male non consente col male, compie un viaggio, doloroso, mortificante, ma anche pieno di gioia nella speranza di realizzare il bene, che resta la sola ragione in grado di rendere accettabile la vita».
Negli anni a cavallo tra Ottocento e Novecento, quelli in cui la scrittrice si dedica alla ricerca di un proprio stile, concentra la sua attenzione, sull'opera e sul pensiero di Tolstoj. Ed è questo incontro che sembra aiutarla a precisare sempre meglio le sue predilezioni letterarie. In una lettera in cui comunicava il progetto di pubblicare una raccolta di novelle da dedicare a Tolstoj, Deledda scriveva: «Ai primi del 1899 uscirà La giustizia: e poi ho combinato con la casa Cogliati di Milano per un volume di novelle che dedicherò a Leone Tolstoi: avranno una prefazione scritta in francese da un illustre scrittore russo, che farà un breve studio di comparazione fra i costumi sardi e i costumi russi, così stranamente rassomiglianti». La relazione tra la Deledda e i russi è ricca e profonda, e non è legata solo a Tolstoj ma si inoltra nel mondo complesso degli altri contemporanei: Gor'kij, Anton Čechov e quelli del passato più recente, Gogol', Dostoevskij e Turgenev.
La lettura dei russi trova la Deledda predisposta già dal suo intento letterario narrativo a
trovare conferma che anche la Sardegna (così come avevano fatto i russi con la lingua e la
tradizione orale russa in meno di un secolo) potesse entrare nella circolazione letteraria
nazionale ed europea. Dalle sue lettere si ricavano i fili di un ordito che lei tesse
pazientemente in ogni luogo o occasione in cui può aprirsi uno spiraglio per introdurre le sue
opere che veramente hanno già in sé una straordinaria vocazione europea. Una voce nuova
come era stata quella degli scrittori russi, quella degli scrittori di frontiera che doveva poi
esplodere nel Novecento.

I russi per Grazia Deledda sono solo un esempio, ma sono un esempio determinante. Essi
vengono percepiti ovunque la scrittrice dia corpo e animazione a dei personaggi, che sono
tragicamente turbati da una realtà oggettiva nella quale si realizzano il bene e il male, il
delitto e il castigo, nella quale il travaglio generazionale tra padri e figli diventa materia
narrativa, e il conflitto tra il vecchio e il nuovo, tra la tradizione e il progresso produce degli
eroi che appaiono ancora oggi vivi e inquietanti. I russi sono solo un esempio un modello
inimitabile. La sostanza, gli arredi, il contenuto antropologico, il paesaggio e la storia, la
psicologia, i linguaggi degli eroi nei suoi romanzi sono un affare della propria casa ed essi
non si possono né imitare, né mutuare.

Altre voci di critici
Attilio Momigliano in più scritti sostiene la tesi che Deledda sia "un grande poeta del travaglio morale" da paragonare a Dostoevskij.
Francesco Flora afferma che "La vera ispirazione della Deledda è come un fondo di ricordi dell'infanzia e dell'adolescenza, e nella trama di quei ricordi quasi figure che vanno e si mutano sul fermo paesaggio, si compongono i sempre nuovi racconti. Anzi, poiché i primi affetti di lei si formano essenzialmente con la sostanza di quel paesaggio che ella disegnava sulla vita della nativa Sardegna, è lecito dire, anche per questa via, che l'arte della Deledda è essenzialmente un'arte di paesaggio."
Testimonianze di scrittori stranieri
Su di lei scrisse prima Maksim Gorkij e più tardi D. H. Lawrence.
Maksim Gorkij raccomanda la lettura delle opere di Grazia Deledda a L. A. Nikiforova, una scrittrice esordiente. In una lettera del 2 giugno del 1910 le scrive: «Mi permetto di indicarLe due scrittrici che non hanno rivali né nel passato, né nel presente: Selma Lagerlof e Grazia Deledda. Che penne e che voci forti! In loro c'è qualcosa che può essere d'ammaestramento anche al nostro mužik».

D. H. Lawrence, nel 1928, dopo che la Deledda aveva già vinto il Premio Nobel, scrive nell'Introduzione alla traduzione inglese del romanzo La Madre: «Ci vorrebbe uno scrittore veramente grande per farci superare la repulsione per le emozioni appena passate. Persino le Novelle di D'Annunzio sono al presente difficilmente leggibili: Matilde Serao lo è ancor meno. Ma noi possiamo ancora leggere Grazia Deledda, con interesse genuino». Parlando della popolazione sarda protagonista dei suoi romanzi la paragona ad Hardy, e in questa comparazione singolare sottolinea che la Sardegna è proprio come per Thomas Hardy l'isolato Wessex. Solo che subito dopo aggiunge che a differenza di Hardy, «Grazia Deledda ha una isola tutta per sé, la propria isola di Sardegna, che lei ama profondamente: soprattutto la parte della Sardegna che sta più a Nord, quella montuosa». E ancora scrive: «È la Sardegna antica, quella che viene finalmente alla ribalta, che è il vero tema dei libri di Grazia Deledda. Essa sente il fascino della sua isola e della sua gente, più che essere attratta dai problemi della psiche umana. E pertanto questo libro, La Madre, è forse uno dei meno tipici fra i suoi romanzi, uno dei più continentali».

Poetica

I suoi temi principali
i suoi temi principali furono l'etica patriarcale del mondo sardo e le sue atmosfere fatte di affetti intensi e selvaggi

Il fato
L'esistenza umana è in preda a forze superiori, "canne al vento" sono le vite degli uomini e la sorte è concepita come "malvagia sfinge".
Il peccato e la colpa
La narrativa della Deledda si basa su forti vicende d'amore, di dolore e di morte sulle quali aleggia il senso del peccato, della colpa, e la coscienza di una inevitabile fatalità. «La coscienza del peccato che si accompagna al tormento della colpa e alla necessità dell'espiazione e del castigo, la pulsione primordiale delle passioni e l'imponderabile portata dei suoi effetti, l'ineluttabilità dell'ingiustizia e la fatalità del suo contrario, segnano l'esperienza del vivere di una umanità primitiva, malfatata e dolente, 'gettata' in un mondo unico, incontaminato, di ancestrale e paradisiaca bellezza, spazio del mistero e dell'esistenza assoluta».

Il bene e il male
«Nelle sue pagine si racconta della miserevole condizione dell'uomo e della sua insondabile natura che agisce - lacerata tra bene e male, pulsioni interne e cogenze esterne, predestinazione e libero arbitrio - entro la limitata scacchiera della vita; una vita che è relazione e progetto, affanno e dolore, ma anche provvidenza e mistero. La Deledda sa che la natura umana è altresì - in linea con la grande letteratura europea - manifestazione dell'universo psichico abitato da pulsioni e rimozioni, compensazioni e censure. Spesso, infatti, il paesaggio dell'anima è inteso come luogo di un'esperienza interiore dalla quale riaffiorano ansie e inquietudini profonde, impulsi proibiti che recano angoscia: da una parte intervengono i divieti sociali, gli impedimenti, le costrizioni e le resistenze della comunità di appartenenza, dall'altra, come in una sorta di doppio, maturano nell'intimo altri pensieri, altre immagini, altri ricordi che agiscono sugli esistenti. La coscienza dell'Io narrante, che media tra bisogni istintuali dei personaggi e contro-tendenze oppressive e censorie della realtà esterna, sembrerebbe rivestire il ruolo del demiurgo onnisciente, arbitro e osservatore neutrale delle complesse dinamiche di relazione intercorrenti tra identità etiche trasfigurate in figure che recitano il loro dramma in un cupo teatro dell'anima».

Sentimento religioso
«In realtà il sentimento di adesione o repulsione autorale rispetto a questo o a quel personaggio, trova nella religiosità professata e vissuta, una delle discriminanti di fondo. Di fronte al dolore, all'ingiustizia, alle forze del male e all'angoscia generata dall'avvertito senso della finitudine, l'uomo può soccombere e giungere allo scacco e al naufragio, ma può altresì decidere di fare il salto, scegliendo il rischio della fede e il mistero di Dio. Altri tormenti vive chi, nel libero arbitrio, ha scelto la via del male, lontano dal timor di Dio e dal senso del limite, e deve sopportare il peso della colpa e l'angoscia del naufrago sospeso sull'abisso del nulla».

Personaggi
«Le figure deleddiane vivono sino in fondo, senza sconti, la loro incarnazione in personaggi da tragedia. L'unica ricompensa del dolore, immedicabile, è la sua trasformazione in vissuto, l'esperienza fatta degli uomini in una vita senza pace e senza conforto. Solo chi accetta il limite dell'esistere e conosce la grazia di Dio non teme il proprio destino. Portando alla luce l'errore e la colpa, la scrittrice sembra costringere il lettore a prendere coscienza dell'esistenza del male e nel contempo a fare i conti col proprio profondo, nel quale certi impulsi, anche se repressi, sono sempre presenti. Ma questo processo di immedesimazione non conosce catarsi, nessun liberatorio distacco dalle passioni rappresentate, perché la vicenda tragica in realtà non si scioglie e gli eventi non celano alcuna spiegazione razionale, in una vita che è altresì mistero. Resta la pietas, intesa come partecipazione compassionevole verso tutto ciò che è mortale, come comprensione delle fragilità e delle debolezze umane, come sentimento misericordioso che induce comunque al perdono e alla riabilitazione di una comunità di peccatori con un proprio destino sulle spalle. Anche questo avvertito senso del limite e questo sentimento di pietà cristiana rendono la Deledda una grande donna prima ancora che una grande scrittrice».

Una Sardegna mitica
La Deledda esprime una scrittura personale che affonda le sue radici nella conoscenza della cultura e della tradizione sarda, in particolare della Barbagia. «L'isola è intesa come luogo mitico e come archetipo di tutti i luoghi, terra senza tempo e sentimento di un tempo irrimediabilmente perduto, spazio ontologico e universo antropologico in cui si consuma l'eterno dramma dell'esistere.»
« Intendo ricordare la Sardegna della mia fanciullezza, ma soprattutto la saggezza profonda ed autentica, il modo di pensare e di vivere, quasi religioso di certi vecchi pastori e contadini sardi (...) nonostante la loro assoluta mancanza di cultura, fa credere ad una abitudine atavica di pensiero e di contemplazione superiore della vita e delle cose di là della vita. Da alcuni di questi vecchi ho appreso verità e cognizioni che nessun libro mi ha rivelato più limpide e consolanti. Sono le grandi verità fondamentali che i primi abitatori della terra dovettero scavare da loro stessi, maestri e scolari a un tempo, al cospetto dei grandiosi arcani della natura e del cuore umano... »

Lingua e stile
È stata la stessa Deledda a chiarire più volte, nelle interviste e nelle lettere, la distanza tra la cultura e la civiltà locali e la cultura e la civiltà nazionali. Ma anche questo suo parlare liberamente del proprio stile e delle proprie lingue ha suscitato e suscita soprattutto oggi interpretazioni fuorvianti, e tuttavia ripropone senza posa l'intenso rapporto tra civiltà-cultura-lingua come una equazione mal risolta.
In una sua lettera scrive: "Leggo relativamente poco, ma cose buone e cerco sempre di migliorare il mio stile. Io scrivo ancora male in italiano - ma anche perché ero abituata al dialetto sardo che è per se stesso una lingua diversa dall'italiana". La lingua italiana è quindi, per lei sardofona, una lingua non sua, una lingua che deve conquistarsi. La composizione in lingua italiana, per uno scrittore che assuma la materia della narrazione dal proprio vissuto e dal proprio universo antropologico sardo, presenta numerose e sostanziali difficoltà e problemi. Né il dibattito recente sul bilinguismo è riuscito ancora a chiarire questo rapporto di doppia identità. Doppia identità per questa specie particolare di bilinguismo, e di diglossia che è stata per secoli la "condizione umana degli scrittori italiani non toscani; ma anche dei toscani, quando non componevano in vernacolo".
L' attività epistolare e autocorrettoria di Grazia Deledda è ben ponderata, cosa che non le impedì di scrivere in lingua italiana questa lettera del 1892 sull'italiano: "Io non riuscirò mai ad avere il dono della buona lingua, ed è vano ogni sforzo della mia volontà". Dall'epistolario e dal suo profilo biografico si evince un distinto senso di noia per quei manuali di "lingua" italiana che avrebbero dovuto insegnarle lo stile e che sarebbero dovuti esserle di aiuto nella formazione della sua cultura letteraria di autodidatta, di contro emerge una grande abitudine alla lettura e una grande ammirazione per i maestri narratori attraverso la lettura dei loro romanzi.
Quella della Deledda era una scrittura moderna che ben si adattava alla narrazione cinematografica, infatti dai suoi romanzi vennero tratti diversi film già nei primi anni dieci del XX secolo. Nel 1916 il regista Febo Mari aveva iniziato a girare Cenere con l'attrice Eleonora Duse, purtroppo a causa della guerra il film non fu mai concluso.
Nel più recente dibattito sul tema delle identità e culture nel terzo millennio, il filologo Nicola Tanda ha scritto: "La Deledda, agli inizi della sua carriera, aveva la coscienza di trovarsi a un bivio: o impiegare la lingua italiana come se questa lingua fosse stata sempre la sua, rinunciando alla propria identità o tentare di stabilire un ponte tra la propria lingua sarda e quella italiana, come in una traduzione. Comprendendo però che molti di quei valori di quel mondo, di cui avvertiva imminente la crisi, non sarebbero passati nella nuova riformulazione. La presa di coscienza, anche linguistica, della importanza e dell'intraducibilità di quei valori, le consente di recuperare termini e procedimenti formali del fraseggio e della colloquialità sarda che non sempre trovano in italiano l'equivalente e che perciò talora vengono introdotti e tradotti in nota. Nei dialoghi domina meglio l'ariosità e la vivacità della comunicazione orale, di cui si sforza di riprodurre l'intonazione, di ricalcare l'andamento ritmico. Accetta e usa ciò che è etnolinguisticamente marcato, imprecazioni, ironie antifrastiche, risposte in rima, il repertorio di tradizioni e di usi, già raccolto come materiale etnografico per la Rivista di tradizioni popolari, che ora impiega non più come reperto documentario o decorativo ma come materiale estetico orientato alla produzione di senso. Un'operazione tendenzialmente espressionistica che la prosa italiana, malata di accademismo con predilezione per la forma aulica, si apprestava a compiere, per ricavarne nuova linfa, tentando sortite in direzione del plurilinguismo o verso la lingua sarda.

tratto dalla rete :
http://italianinbelfast.weebly.com/...zia_deledda.pdf

 
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Oggetto: Re: «I COSACCHI E I SARDI»
PADRE GIOVANNI GUAITA- PADRE IOANN

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Desidero scrivere in questo luogo di condivisione che così amichevolmente mi ha accolto la storia di un persona che mi ha colpita particolarmente, la storia di un uomo che ha amato cosi tanto la Russia da apprenderne la lingua per poter leggere i suoi celebri scrittori nella madre lingua, da amare cosi tanto la Russia da intraprendere il viaggio verso quelle terre lontane geograficamente ma cosi vicini al suo cuore, da amare cosi profondamente da immergersi nello studio dell'Ortodossia per addentrarsi ancor piu' profondamente nello spirito e sentire Russo, cosi profondamente da divenir padre della Fede Ortodossa, una storia che tanto ho ammirato per la forza dirompente per la passione che emerge in ogni passo con forza e determinazione, un percorso d'Amore e di Accoglienza nel cuore di questa straordinaria persona e della Terra Russa che ha accolto nel suo grembo piu' sentito e profondo, il piu' autentico e prezioso del Popolo Russo.
Giovanni Guaita- Padre Ioann ed e' un Sardo, partito dalla provincia piu' meridionale della Sardegna, la provincia del Sud Sardegna di Carbonia-Iglesias, condivido qui articoli dove lui stesso racconta la sua storia di uomo di fede, la sua storia mi affascina e mi incanta per il messaggio di Amore che racconta per il valore spirituale che trasmette, sono queste le storie che fan bella la Terra e l'Umanita' intera, gli Uomini che ricercano l'Unita' e la Pace fan belle la Russia e la Sardegna.

Grazie Padre Ioann per la testimonianza della Vostra intensa esperienza di vita e ardente Spiritualita' del vostro percorso.

Padre Giovanni Guaita: amo tanto la Russia, la cultura russa!
Il prete italiano celebra le messe in una chiesa ortodossa russa a Mosca
08/12/15

Mosca, 12 Agosto (New Day – Italia, Ekaterina Rudnik) – Padre Ioann (Giovanni Guaita) ha fatto una lunga strada per vivere e svolgere il servizio sacerdotale in Russia. È nato e cresciuto sull'isola di Sardegna nella famiglia di un ministro della Repubblica Italiana. Si è laureato presso la facoltà di lettere di un'università svizzera. Poi si è convertito all'Ortodossia, è stato ordinato e ha iniziato a svolgere il servizio ecclesiastico in una chiesa ortodossa a Mosca.

Secondo il racconto del sacerdote, è cresciuto in una famiglia cattolica profondamente religiosa. La madre è un matematico, il padre è un medico, ma per qualche anno si era dedicato alla politica, ricoprendo anche la carica di ministro. Una notevole influenza su Ioann ha avuto la letteratura, all'età di sette anni ha letto il libro «La Russia degli zar», il quale ha lasciato su di lui un'impressione incancellabile. La prima specializzazione del futuro sacerdote all'università è stata la lingua e letteratura russa, la scelta dovuta all'influenza delle opere dello scrittore russo Fëdor Dostoevskij, lette negli anni di gioventù.

Per la prima volta Guaita è arrivato in Russia nel 1985, per fare uno stage di due mesi a Leningrado (San Pietroburgo). Un paio d'anni dopo l'italiano ha trovato un lavoro come interprete in una delle case editrici di Mosca, specializzata in pubblicazione della letteratura russa in tutte le lingue del mondo, e dal 1989 risiede stabilmente in Russia.

Ioann ricorda gli anni trascorsi in Russia e gli enormi cambiamenti avvenuti nel paese: «Io non solo ho visto tutto con i miei occhi, ma ho condiviso ciò che stava accadendo con i miei amici russi. All'inizio l'euforia sulla scia della glasnost' e perestroika di Gorbačëv (Mikhail Gorbačëv è l'ultimo segretario generale del Partito Comunista dell'Unione Sovietica e l'unico presidente dell'URSS). Poi la delusione. Poi l'interesse verso El'cin (il primo presidente della Russia post-sovietica dopo il crollo dell'URSS), sembrava che fosse il riformatore più coerente».

Alla spiritualità ortodossa il futuro sacerdote si è interessato dopo aver conosciuto il teologo ortodosso di fama internazionale padre Aleksandr Men'. «All'inizio ero interessato all'ortodossia come una parte della cultura russa. E poi è diventata una parte integrante della mia vita, l'ho studiata all'Accademia teologica della Chiesa ortodossa russa di San Pietroburgo. A un certo punto ho capito, che se voglio servire Dio e la gente, vivendo in Russia, lo devo fare in seno alla Chiesa ortodossa» – ha detto il padre Ioann.

È significativo che padre Ioann non si è mai lamentato della sua scelta, però lui non nega che in Russia, come in ogni altra parte del mondo, ci siano delle difficoltà: «Amo tanto la Russia, la cultura russa! Tuttavia, più che vivo qui, più mi rendo conto che io sono un italiano. E alcuni problemi per uno straniero, soprattutto quello dell'Occidente, qui ci sono».

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Durante il servizio

Secondo il sacerdote, i russi per ragioni storiche trattano diversamente qualsiasi autorità. A volte è commovente, perché i russi hanno più l'umiltà e sottomissione degli occidentali. A volte però non è un atteggiamento molto ragionato. E quando non sai chiaramente quali sono i tuoi doveri e diritti è un problema. Tuttavia, dice il padre Ioann, se fosse vissuto, per esempio, in Germania, ci sarebbero problemi anche lì. Solo di un altro genere.


Ioann preferisce trascorrere il suo tempo libero con gli amici, oppure andare a teatro o al cinema. Tra i registi preferisce quelli russi. Il suo cineasta preferito è Andrej Tarkovskij, le cui opere l'italiano ha studiato per tanto tempo. All'ultima festa in occasione della Giornata della Vittoria la chiesa, dove celebra le messe il padre Ioann, ha organizzato la retrospettiva dei film sulla Seconda guerra mondiale, tra cui «Ivanovo detstvo» («L'infanzia di Ivan») di Tarkovskij. Tra le preferenze letterarie del sacerdote ci sono i classici: prima di tutti Puškin e Dostoevskij, poi Achmatova, Lermontov, Tjutčev.

Secondo lui, i russi sono gli europei dell'Est. La sua teoria: la differenza tra l'Europa Occidentale e quella Orientale sta nella religione. Secondo padre Ioann, l'Ortodossia, il cirillico e l'alfabeto greco sono una rappresentazione dell'Europa orientale. L'italiano ritiene che gli europei dell'Est, e russi in particolare, incontrano il Dio con il proprio cuore, e non con la mente: spesso vengono per attendere la messa senza sapere alcunché, ma sentendo qualcosa dentro di sé, mentre per l'uomo occidentale la ragione è primaria. L'europeo dell'Est o l'ortodosso prima di tutto prova qualcosa nel suo cuore, e poi lo assorbe la sua mente, mentre per l'uomo occidentale è l'esatto contrario.

Sul suo futuro il padre Ioann riflette in chiave strettamente legata alla Russia: «Guardo alla realtà religiosa e anche a quella sociale con ottimismo. Ci sono però ancora numerosi problemi residui dell'epoca sovietica, e anche nuovi... Il mio sogno è quello di vedere la Chiesa ortodossa russa moralmente migliorata al massimo. Per ora invece si dilaga la sensazione che ora molte persone siano sempre più deluse della chiesa e le stiamo perdendo. E si vorrebbe tanto evitarlo. Questo è il mio sogno».


https://ndnews.it/it/cultura/721.html



Biografia di Jeromonaco Ioann Guaita

*Giovanni Guaita

Il 26 novembre 2012 presso l’Aula Magna del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca si è svolta una cerimonia di congratulazioni dello hieromonaco Ioann (Giovanni Guaita), collaboratore del Segretariato per i rapporti inter-cristiani del Dipartimento e direttore della cattedra di lingue straniere della Scuola di dottorato e alti studi teologici della Chiesa ortodossa russa, in occasione del suo cinquantesimo genetliaco.
Il Presidente del Dipartimento, metropolita Hilarion di Volokolamsk, ha espresso a p. Giovanni gli auguri dello staff dei collaboratori del Dipartimento e quelli suoi personali.
“Lei svolge un ministero di grande responsabilità, sia nel nostro Dipartimento per le Relazioni esterne, che presso la Scuola di dottorato della Chiesa, dove insegna l’italiano e dirige la cattedra di Lingue Straniere, che anche nella chiesa della Madre di Dio “Gioia di tutti i sofferenti”, dove esercita il suo ministero pastorale – ha detto il metropolita. – Il percorso della sua vita è stato insolito. Giunto nel nostro Paese settentrionale dalla terra d’Italia, Lei si è molto ben integrato tra noi e oggi svolge un compito importante e di responsabilità. Basti dire che, oltre agli incarichi che Le vengono affidati dal segretariato per le relazioni tra i cristiani, Lei cura personalmente la pagina del sito web del nostro Dipartimento in lingua italiana. Grazie al suo lavoro, molte persone in tutto il mondo, soprattutto in Italia e nel mondo cattolico, possono ricevere notizie sulla vita della Chiesa ortodossa russa da questa fonte”.
Il metropolita Hilarion ha auspicato a p. Giovanni che i compiti affidatigli dalla Chiesa siano per lui fonte di gioia spirituale. Riferendosi al racconto evangelico di quando il Signore vide dei pescatori sulla riva del lago di Galilea e li chiamò a seguirlo (cf. Mt 4, 18-22), ha sottolineato che gli apostoli allora non domandarono di che cosa si sarebbero occupati in avvenire, ma subito lasciarono le reti e lo seguirono, e non si pentirono della propria scelta. “Penso che nessuno di noi che abbiamo seguito la chiamata che Cristo ci ha rivolto attraverso la Chiesa, non rimpianga il fatto di aver un tempo lasciato le proprie “reti” per seguire Colui che ci ha chiamati, e oggi adempiamo i compiti che ci vengono affidati”, ha continuato il metropolita Hilarion.
Il presidente del Dipartimento ha augurato a p. Giovanni il sostegno di Dio nel suo operato, e a tutto il personale del Dipartimento “gioia spirituale e soddisfazione dall’opera comune che eseguiamo insieme, in risposta alla chiamata del Signore e Salvatore e in obbedienza alla nostra Santa Chiesa”. Tutti hanno poi cantato “ad multos annos” allo hieromonaco Giovanni.
In risposta, p. Giovanni ha ringraziato il metropolita degli auguri. “Cinquant’anni sono una tappa importante. Certamente, ancora pochi anni fa non potevo immaginare che avrei festeggiato quest’anniversario tra queste mura e in vostra compagnia. Grazie di avermi accolto, sia in questo Dipartimento, che nella nostra parrocchia. Grazie della sua fiducia”, ha detto p. Giovanni.
Il giorno prima, durante la Divina Liturgia domenicale nella chiesa della Madre di Dio “Gioia di tutti i sofferenti” del centro storico di Mosca, il metropolita Hilarion ha regalato allo hieromonaco Giovanni un completo di paramenti liturgici.
Giovanni Guaita è nato il 26 novembre 1962 sull’isola italiana di Sardegna. Ha conseguito le lauree in Lettere e Lingue delle Università di Ginevra e Cagliari, e compiuto vari soggiorni di studio a Mosca e San Pietroburgo.
Fin dal suo primo soggiorno in Russia nel 1985 si è interessato, oltre che della cultura russa, della spiritualità ortodossa. Risiede stabilmente a Mosca dal 1989, dove per molti anni ha insegnato presso varie Università statali.
Dal mese di aprile 2009, Giovanni Guaita lavora per il Dipartimento delle Relazioni esterne della Chiesa Ortodossa Russa, come collaboratore del Segretariato per i rapporti con le altre Chiese cristiane. Dirige la cattedra di Lingue straniere della Scuola di dottorato e alti studi teologici, dedicata ai santi Cirillo e Metodio.
Il 28 marzo 2010 è stato ordinato diacono dal metropolita Hilarion, e l’11 settembre sacerdote. Il 31 ottobre dello stesso anno ha pronunciato i voti monastici nella Cattedrale della Laura della Santissima Trinità di San Sergio. Ha ricevuto il nome monastico di Giovanni (Ioann) in onore di San Giovanni Battista (il nome di battesimo era in onore di San Giovanni apostolo).

Sito web Chiesa Ortodossa Russa

https://mospat.ru/it/2012/11/27/news76498/


50 ANNI DI GIOVANNI GUAITA

Il 26 novembre 2012 presso l’Aula Magna del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca si è svolta una cerimonia di congratulazioni dello hieromonaco Ioann (Giovanni Guaita), collaboratore del Segretariato per i rapporti inter-cristiani del Dipartimento e direttore della cattedra di lingue straniere della Scuola di dottorato e alti studi teologici della Chiesa ortodossa russa, in occasione del suo cinquantesimo genetliaco.

Il Presidente del Dipartimento, metropolita Hilarion di Volokolamsk, ha espresso a p. Giovanni gli auguri dello staff dei collaboratori del Dipartimento e quelli suoi personali.

“Lei svolge un ministero di grande responsabilità, sia nel nostro Dipartimento per le Relazioni esterne, che presso la Scuola di dottorato della Chiesa, dove insegna l’italiano e dirige la cattedra di Lingue Straniere, che anche nella chiesa della Madre di Dio “Gioia di tutti i sofferenti”, dove esercita il suo ministero pastorale – ha detto il metropolita. – Il percorso della sua vita è stato insolito. Giunto nel nostro Paese settentrionale dalla terra d’Italia, Lei si è molto ben integrato tra noi e oggi svolge un compito importante e di responsabilità. Basti dire che, oltre agli incarichi che Le vengono affidati dal segretariato per le relazioni tra i cristiani, Lei cura personalmente la pagina del sito web del nostro Dipartimento in lingua italiana. Grazie al suo lavoro, molte persone in tutto il mondo, soprattutto in Italia e nel mondo cattolico, possono ricevere notizie sulla vita della Chiesa ortodossa russa da questa fonte”.

Il metropolita Hilarion ha auspicato a p. Giovanni che i compiti affidatigli dalla Chiesa siano per lui fonte di gioia spirituale. Riferendosi al racconto evangelico di quando il Signore vide dei pescatori sulla riva del lago di Galilea e li chiamò a seguirlo (cf. Mt 4, 18-22), ha sottolineato che gli apostoli allora non domandarono di che cosa si sarebbero occupati in avvenire, ma subito lasciarono le reti e lo seguirono, e non si pentirono della propria scelta. “Penso che nessuno di noi che abbiamo seguito la chiamata che Cristo ci ha rivolto attraverso la Chiesa, non rimpianga il fatto di aver un tempo lasciato le proprie “reti” per seguire Colui che ci ha chiamati, e oggi adempiamo i compiti che ci vengono affidati”, ha continuato il metropolita Hilarion.

Il presidente del Dipartimento ha augurato a p. Giovanni il sostegno di Dio nel suo operato, e a tutto il personale del Dipartimento “gioia spirituale e soddisfazione dall’opera comune che eseguiamo insieme, in risposta alla chiamata del Signore e Salvatore e in obbedienza alla nostra Santa Chiesa”. Tutti hanno poi cantato “ad multos annos” allo hieromonaco Giovanni.

In risposta, p. Giovanni ha ringraziato il metropolita degli auguri. “Cinquant’anni sono una tappa importante. Certamente, ancora pochi anni fa non potevo immaginare che avrei festeggiato quest’anniversario tra queste mura e in vostra compagnia. Grazie di avermi accolto, sia in questo Dipartimento, che nella nostra parrocchia. Grazie della sua fiducia”, ha detto p. Giovanni.

Il giorno prima, durante la Divina Liturgia domenicale nella chiesa della Madre di Dio “Gioia di tutti i sofferenti” del centro storico di Mosca, il metropolita Hilarion ha regalato allo hieromonaco Giovanni un completo di paramenti liturgici.

Giovanni Guaita è nato il 26 novembre 1962 sull’isola italiana di Sardegna. Ha conseguito le lauree in Lettere e Lingue delle Università di Ginevra e Cagliari, e compiuto vari soggiorni di studio a Mosca e San Pietroburgo.

Fin dal suo primo soggiorno in Russia nel 1985 si è interessato, oltre che della cultura russa, della spiritualità ortodossa. Risiede stabilmente a Mosca dal 1989, dove per molti anni ha insegnato presso varie Università statali.

Dal mese di aprile 2009, Giovanni Guaita lavora per il Dipartimento delle Relazioni esterne della Chiesa Ortodossa Russa, come collaboratore del Segretariato per i rapporti con le altre Chiese cristiane. Dirige la cattedra di Lingue straniere della Scuola di dottorato e alti studi teologici, dedicata ai santi Cirillo e Metodio.

Il 28 marzo 2010 è stato ordinato diacono dal metropolita Hilarion, e l’11 settembre sacerdote. Il 31 ottobre dello stesso anno ha pronunciato i voti monastici nella Cattedrale della Laura della Santissima Trinità di San Sergio. Ha ricevuto il nome monastico di Giovanni (Ioann) in onore di San Giovanni Battista (il nome di battesimo era in onore di San Giovanni apostolo).

https://mospat.ru/it/2012/11/27/news76498/



Jeromonaco Ioann Guaita

Laura della SS.Trinità di San Sergio

Mosca 2014

Giovanni Guaita "Qualche nota sui rapporti tra Ortodossia e Cattolicesimo.

http://www.dimarcomezzojuso.it/autore.php?id=220


Un pope sardo a Mosca: l'italiano dietro l'incontro Francesco-Kirill
E' di Iglesias il monaco della Chiesa ortodossa russa che lavora da anni per il riavvicinamento con i cattolici. Padre Ioann è uno degli uomini che ha reso possibile lo storico vertice tra il papa e il patriarca a Cuba. La lotta alla xenofobia che dilaga in Russia spinta dalla propaganda del Cremlino. Putin? Vuole "strumentalizzare l'ortodossia". Ecumenismo contro la politica di contrapposizione all'Occidente: "La Chiesa non sia corresponsabile delle scelte di chi è al potere"
DI RICCARDO AMATI
12 febbraio 2016

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UN POPE SARDO A MOSCA: L'ITALIANO DIETRO L'INCONTRO FRANCESCO-KIRILL

Otets Ioann all'esterno della chiesa dei Santi Cosma e Damiano, Mosca (foto: Dhoni Ibrahim)
Otets Ioann ha appena finito di celebrare la lunga messa ortodossa nella chiesa di Cosma e Damiano, santuario dell'intellighenzia moscovita. Qui si incontrano i figli spirituali di Aleksandr Men', prete e teologo, predicatore di un'ortodossia aperta al dialogo con chiunque, dissidente nella Russia sovietica e non proprio ben visto dalla parte più conservatrice della Chiesa russa.

Men' fu ucciso nel 1990 a colpi d'ascia da sconosciuti in un sobborgo di Mosca. Otets Ioann è stato un suo seguace, prima di farsi monaco e sacerdote. Il patriarca Kirill lo ha mandato qui anche perché è all'altezza dei suoi parrocchiani: ha una laurea umanistica, ha scritto libri e insegnato all'Università Statale di Mosca.

Una fedele ha ancora gli occhi lucidi per l'omelia sulla necessità di rispettare gli altri e di non litigare con le persone vicine. Le parole di questo prete arrivano al cuore. Il suo russo non ha accento, ma Otets Ioann, che poi vuol dire padre Giovanni, viene dalla Sardegna.

Giovanni Guaita, 53 anni, di Iglesias, è l'unico italiano nel clero della Chiesa ortodossa russa a Mosca. Per anni, come studioso del Cristianesimo orientale e collaboratore del Segretariato per i rapporti inter-cristiani del patriarcato oltre che come pastore, ha lavorato al riavvicinamento tra la sua Chiesa e il soglio pontificio. "La Russia ortodossa è Europa, la parte orientale dell'Europa: ha bisogno dell'Occidente, come l'Occidente ha bisogno della Russia", dice. "Questo vale anche per i rapporti tra Chiesa di Mosca e Chiesa di Roma”. Padre Giovanni non crede in differenze sostanziali tra l'ortodossia e il cattolicesimo: "Apparentemente le differenze sono tantissime, ma riguardano la forma, non la sostanza. Offese storiche a parte, cambiano la cultura e la liturgia ma la fede è la stessa. Le due Chiese hanno in comune tutti i sacramenti, e riconoscono la successione apostolica l’una dell’altra".

Il pope sardo ha lasciato i paramenti dietro l’iconostasi, si è legato i capelli e ora si ferma nella navata a parlare con i fedeli. Una donna ha in mano un libro: è l'edizione russa di un Don Camillo di Giovannino Guareschi. Chiede se sia mai stato censurato in Italia. Padre Giovanni le risponde di no, divertito. Considera Guareschi un grande: "Così intensamente credente e così anticlericale", spiega.

Sono stati i libri a fare innamorare Giovanni della Russia: "Soprattutto Dostoevskij". Cresciuto in una famiglia profondamente cattolica, è di formazione uno slavista. Ha studiato in Italia e in Svizzera, ed è arrivato a Mosca nel 1985 per uno stage. Erano i tempi dell'agonia dell'Urss e di un Gorbaciov che ancora non parlava di Perestroika e di Glasnost. Un secondo stage, poi un lavoro come traduttore di una casa editrice e nel 1989 il trasferimento definitivo nella capitale sovietica. Fu colpito dal ritorno in massa dei russi alla loro fede religiosa mentre il comunismo crollava. Le chiese ortodosse celebravano ogni giorno centinaia di battesimi di adulti, ricorda. Ma fu soprattutto l'incontro con Aleksandr Men' a convincerlo a fare dell'ortodossia russa la sua vita e prendere i voti.

Padre Giovanni, lei dice che l'essenza è la stessa, ma ortodossi russi e cattolici litigano da un bel po' di secoli. Pensa davvero che si possa voltar pagina così?
“La posizione della Chiesa cattolica rispetto all’ortodossia è cambiata in modo radicale. Il Concilio vaticano II ha riconosciuto l'esistenza di vincoli stretti e la validità dei sacramenti ortodossi. L'apertura è stata ribadita in encicliche e documenti. Molte differenze dogmatiche sono da tempo considerate ostacoli superati. Resta l'infallibilità papale, che l’Ortodossia non accetta. Il primato d’onore di Roma però lo riconosce, e il modo in cui debba essere esercitato è al centro di riflessioni da parte della stessa Chiesa cattolica. Anche la Chiesa russa, seppur implicitamente, riconosce i sacramenti cattolici: un cattolico che aderisca all'Ortodossia non deve fare un'abiura formale né ripetere battesimo e cresima, e un prete cattolico può diventare sacerdote ortodosso senza dover essere riordinato. Le differenze nei riti e nella tradizione non costituiscono più una divisione: è un fatto acquisito da entrambe le Chiese”.

Questo dal punta di vista teologico. O "tecnico", se si vuole. Ma differenze sostanziali nel modo di vedere il mondo rimangono. Come la mettiamo con la xenofobia? Ultimamente è un tratto comune dei sermoni dei preti e dei discorsi dei politici, in Russia.
“La xenofobia è tuttora molto forte nel Paese e in una parte della sua Chiesa, ed è ovviamente un fatto negativo. L'Ortodossia è un'eredità nazionale della Russia, e non c'è niente di male nel patriottismo religioso che ne deriva. Il problema è l'esclusivismo, che ne è una storpiatura e diventa xenofobia. Ciò non ha niente a che vedere col sano patriottismo ortodosso: compito della Chiesa è di insegnare ad amare la propria madre, non a odiare la madre del vicino”.

Il fatto è che la Chiesa ortodossa russa è storicamente subordinata al potere, e che oggi fa da grancassa alle tirate anti-occidentali del Cremlino.
“Non è così ovvio. Nella storia della Russia, la Chiesa si è anche opposta al potere. Un esempio su tutti: la scomunica di Ivan il terribile. Nelle nostre chiese si prega per il governo del Paese, è vero. Ed è una cosa buona, alla quale ci esorta anche San Paolo. Attenzione, però: lo si deve fare pensando al bene della gente, non a quello di chi è al potere. Il motivo della preghiera può essere il ringraziamento a Dio per un buon governo, ma anche il biasimo di un cattivo governo di cui si invoca un cambiamento in meglio”.

Giusto. Ma in pratica la Chiesa, oltre a pregare per il presidente Putin, è un pilastro della sua macchina politico-ideologica. Non le pare?
“E' vero che è in atto il tentativo di una parte politica di strumentalizzare l'ortodossia usandola come una sorta di ideologia nazionale per i propri fini. La Chiesa deve resistere. La posizione presa dal patriarca Kirill durante la crisi ucraina è un esempio di come può farlo. La Chiesa non deve lasciarsi responsabilizzare delle scelte della politica, non deve rendersene corresponsabile”.

E per "parte politica" lei intende Putin e i suoi...
Padre Giovanni allarga le braccia

Per spiegare i rapporti tra potere spirituale e temporale in Russia, si chiama spesso in causa il mito della "terza Roma": Mosca, erede di Roma e Bisanzio e quindi titolare della "vera fede", ha una sorta di missione salvifica nei confronti dell'Occidente corrotto. Agisce ancora questo mito nella Chiesa e nella memoria storica dei russi? Cremlino e patriarcato insieme per salvare il mondo?
“Il mito della terza Roma semmai è un fatto storico. Non è un dogma della Chiesa russa. Agisce nella memoria storica perché, dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453, Mosca si considerò l'ultima sentinella dell'Ortodossia. Ma dal punto di vista della fede, l’unica "missione salvifica" è quella di Cristo. Piuttosto, la Russia ortodossa ha avuto una 'missione sacrificale', assorbendo i tatari e impedendo così l'invasione dell'Europa da parte dell'Orda d'oro - come scrisse Pushkin al filosofo Chaadaev che riteneva la Russia insignificante nella storia del mondo”.

Eppure gli storici della cultura, per esempio Léon Poliakov, vedono una continuità tra la retorica messianica della "santa" Russia millenaria e quella più recente del comunismo sovietico. E la continuità non sembra essersi interrotta con Putin al potere.
“Mettere in parallelo il comunismo sovietico e la tradizione ortodossa russa è assurdo e grottesco. L'Unione Sovietica con la propaganda ateistica e le persecuzioni ha quasi distrutto la Chiesa ortodossa. Il comunismo non ha avuto alcuna 'missione salvifica', neanche nella sua fase internazionalista. Paradossalmente, creando martiri nella Chiesa russa, che è riuscita a resistere e a mantenere accesa la fiamma della fede, il comunismo ha rafforzato l'antico orgoglio dell'ortodossia come baluardo del Cristianesimo”.

D'accordo, lasciamo perdere l'Unione Sovietica. Ma Putin? Il concetto di una "superiorità morale" che fa parte della storia dell'ortodossia echeggia spesso durante questo terzo mandato del presidente: recupero delle tradizioni, contrapposizione all'Occidente, retorica sulla capacità dei russi di sacrificarsi... Tentativo di strumentalizzazione, dice lei. Ma il parallelo ideologico è evidente. La sua valenza politica pure. E qual è allora la valenza religiosa, di questo parallelo? Non è un impedimento, nel rapporto tra ortodossi e cattolici, proprio mentre lo si vuol recuperare?
“Non necessariamente. I tentativi di strumentalizzare politicamente la Chiesa russa fanno affidamento sulla memoria storica, ed è proprio la memoria storica il vero motivo della separazione fra ortodossi e cattolici. Ma la storia racconta anche dell'esistenza di frequentazioni reciproche intense: almeno fino al XVIII secolo, viaggiatori, mercanti e pellegrini cattolici venivano fraternamente accolti nelle chiese ortodosse, e anche ammessi ai sacramenti, se si trovavano in Paesi dove era presente solo l'ortodossia. E viceversa”.

Una storia meno "memorizzata", questa...
“Ma basta anche solo pensare al periodo sovietico. Negli anni ‘70 la Chiesa russa accoglieva ai sacramenti i cattolici praticanti residenti o di passaggio nel Paese. E poi ci sono i santi. Un certo numero di cristiani battezzati nella Chiesa d'Occidente e che si trovarono a vivere in Russia frequentarono la Chiesa locale, e a volte vissero nei suoi monasteri. Alcuni sono stati proclamati santi dalla Chiesa ortodossa russa. E in molti casi non avevano mai abiurato la Chiesa latina, per quanto si sa”.

Qualche esempio?
“Antonio il Romano, fondatore del primo monastero nella città di Novgorod, nel XII secolo. Era quasi certamente un cristiano d’Occidente, arrivato in Russia come mercante. Gli esempi sono diversi, alcuni eclatanti. Massimo il Greco, un santo della Chiesa ortodossa russa nato in Grecia e vissuto in Italia, fu frate domenicano nel convento di San Marco, a Firenze. Il convento di Girolamo Savonarola, che aveva incontrato durante i suoi studi umanistici e di cui era diventato seguace. Dopo il rogo del Savonarola, San Massimo si ritirò sul Monte Athos, da dove il granduca della Moscovia lo invitò come traduttore. A Mosca lavorò alla correzione dei testi liturgici. E si mise a rimproverare la decadenza di costumi della corte e della Chiesa, con una risolutezza che non può non ricordare il Savonarola. Condannato in due diversi processi, sopportò in tutto quasi trent'anni di reclusione monastica. Dopo la sua morte, fu subito venerato nelle chiese russe, dove presto comparvero le sue icone”.

Una bellissima storia, questa di Massimo il Greco: straniero, studi umanistici, traduttore, monaco e anche un po' sovversivo. Somiglia alla sua, padre Giovanni. A parte l'ordine domenicano, voglio dire. E l'epilogo, certo. Ma non è che per caso mi vuol diventare anche lei un santo russo?
“Ma figuriamoci! Speriamo almeno di evitare i trent'anni di reclusione”. E ci saluta con una risata.

http://espresso.repubblica.it/plus/...kirill-1.250223

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http://radiovera.ru/pravoslavnyiy-s...26-10-2016.html



Ultima modifica di altamarea il 20 Nov 2016 21:32, modificato 2 volte in totale
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Oggetto: Re: «I COSACCHI E I SARDI»
IL COSACCO SARDO.

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Desidero condividere un'altra storia "speciale" di un Uomo semplice ma con una passione molto forte e pregnante, un uomo che porta nel suo cuore l'Amore per la sua Terra la Russia e le sue tradizioni del Mondo Cosacco che vive e respira cosi' ardentemente e che desidera difendere e ancor piu' far conoscere al resto del mondo e far si che siano riconosciute come bene immateriale dell'Umanita' da parte dell'Unesco, come avviene in tante parti del mondo per le particolari peculiarita' che trasmettono, come e' avvenuto nella stessa Sardegna per il "canto a Tenores" argomento che mi riservo di trattare con particolari approfondimenti prossimamente sempre qui sulla mia amata "Arca Russa" l'amore per il canto che contraddistingue sia il popolo Russo-Cosacco che i Sardi, un altro aspetto che ci unisce in maniera stupefacente e straordinaria.
Racconto la storia di questo uomo che si mette in gioco scegliendo di allontanarsi dalla sua Terra ed affrontando per amore della Cultura Cosacca un periodo di grandi difficolta' ma anche di positivita' negli incontri, poiche' sceglie di star lontano dalla sua amata Russia e dai suoi affetti e fratelli Cosacchi, in un periodo difficile per la Terra Russa, periodo di cambiamento e di forti tensioni, dove il mondo Cosacco non era riconosciuto se non per le sue canzoni preservate dai cori dei Cosacchi del Kuban solo per citare il piu' popolare e conosciuto in Italia ma ve ne sono tanti e tutti ammirevoli per intensita' e bellezza, nell'epoca dei fatti che coinvolgono il Cosacco di cui scrivo i Cosacchi non avevano quel riconoscimento identitaario che fortunatamente viene loro ora riconosciuto per la Cultura e la vita della Nazione Russa dato dalla lungimiranza e il rispetto attribuito loro dal Presidente Putin che con il suo impegno preserva onorevolmente l’identità culturale della Russia. Posto qui la storia del Signor Sergey Piga Petrenko Cosacco accolto nella comunita' Sarda dove strenuamente ha cercato di difendere la sua specificita' Cosacca fondando un associazione iscritta nel registro delle associazioni delle Associazioni in Sardegna per il riconoscimento dell'identita' Cosacca dott, Piga Petrenko Sergej, in realtà da tempo cittadino italiano residente in Sardegna, delegato dal Centro Russo di Scienza e Cultura a Roma quale rappresentante presso L’UNESCO del "Movimento per il riconoscimento dello spazio culturale dei cosacchi come patrimonio immateriale dell’umanità".

La sua scelta di restare in Sardegna come testimoniano le notizie pubblicate negli articoli dei quotidiani regionali non e' stato il suo un percorso facile ma con l'aiuto di una famiglia di Perfugas che lo ha adottato ha consentito al Signor Petrenko Sergey che accanto al suo cognome Russo ora porta il cognome sardo Piga di restare in Sardegna e di ottenere quest'anno infine la cittadinanza Italiana.

http://ricerca.gelocal.it/lanuovasa...C4PO_SC401.html

Ora il Signor Petrenko visto le mutate condizioni del Paese e' tornato in Russia dalla sua famiglia, sicuramente portera' per sempre un poco dell' Isola di Sardegna nel suo cuore, come la Sardegna non scordera' mai il Cosacco ora un poco Sardo pur sempre un "figlio" lontano da tenere stretto nel cuore.

http://lanuovasardegna.gelocal.it/s...iano-1.13269348

perfugas-il-cosacco-diventa-italiano-la-storia-di-sergey-petrenko.html

Meraviglia che proprio a Perfugas si sara' sentito un poco accanto alle tradizioni della sua terra, vuoi per la generosita' dimostrata nell'accoglienza ma anche per la religiosita' nei riti cristiani professati nella comunita', sopratutto nell'intercessione presso la chiesa dedicata a San Giorgio santo profondamente legato alla Terra Russa come a quella di Perfugas, tant'e' che il santo a cavallo che uccide il drago e libera la giovinetta e' il simbolo a cui e' legato il paese di Perfugas ove e' presente un bellissimo antico retablo il piu' grande della Sardegna dedicato al Santo guerriero (18 tavole).

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Oggetto: Re: «I COSACCHI E I SARDI»
Ascoltate come canta il Cosacco Valerij Staryghin alla Festa dei Cosacchi a Mosca 1 ottobre 2016
https://www.youtube.com/watch?v=bgyJK0xuieU

 
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Oggetto: Re: «I COSACCHI E I SARDI»
Grazie Zarevich per aver inserito il bel canto Cosacco in questa sezione dedicato a quanto sento siano simili in spirito il sentire Sardo a quello Cosacco/Russo, a prima vista sembrerebbe di non avere alcuna attinenza a chi osserva distrattamente, ma se ci si sofferma attentamente porto alla vostra attenzione come anche i Sardi amino cantare in coro come i Cosacchi, tanto che il Generale La Marmora grande studioso della Sardegna e conoscitore della Crimea Russa (guidò contingente piemontese nella guerra di Crimea e fu ministro della guerra durante la seconda guerra di indipendenza.) esprime nei suoi scritti quanto "in certi accenti siano i cori Sardi sorprendentemente affini ai cori Russi", anche se il canto Sardo e' piu' aspro e sincopato, il Coro Sardo canta a Cerchio.

Il repertorio Sardo e' notevole molto profondo e serio il canto religioso come allegro e irriverente e giocoso il canto delle feste o delle occasioni particolari come fidanzamenti e matrimoni e particolari ricorrenze come anche canti potenti di protesta.

Il canto religioso.

Naschìd’est in sa capanna

Naschìd’ est in sa capanna
poberitta de Betlem
in sa notte pìus manna
de su chelu s'altu Re!

“Gloria! Gloria!” cantan’ in chelu
lughidos anghelos pro s' altu Re ;
"Paghe vittoria!" s' as bonu zelu ,
anima povera, cantan pro Te.

E in giru a sa domitta
de anghelos si falat
una truma beneitta
chi olende s'allumat.

E benian sos pastores
Incantados crè no crè
e a cussos isplendores
appuntan lestros su pè.

E narat dognunu in coro:
“Bambineddu, innoghe sò,
non ti atto pratta et oro
ma cust’ anima ti dò.”

E’ nato nella capanna

E’ nato nella capanna,
poverella di Betlem,
nella notte più grande
il sommo Re del Cielo!

Gloria!Gloria!Cantan nel Cielo,
sfolgoranti angeli per il sommo Re,
“Pace e vittoria” a quelli di buona volontà,
anima povera, cantan per Te.

E intorno alla casetta
Una moltitudine benedetta di Angeli
Vola illuminandola.


E venivano i pastori
Incantati ed increduli
E di fronte a quello splendore,
affrettavano il passo.

E diceva ognuno in coro:
“Bambinetto sono qui,
non ti offro argento e oro,
ma ti dono quest’anima.
incantati ed increduli,
e di fronte a quello splendore





CAND'ES NADU GESUS

Un canto natalizio tratto dal folclore e dalla tradizione popolare sarda.
Il canto popolare sardo ha un carattere particolare, arcaico, inconfondibile.
Questo brano interpreta felicemente la nascita del Salvatore nella grotta illuminata da uno stuolo lucente di Angeli in volo. Il ritornello riassume tutto il senso del canto: "o Gesù noi siamo poveri, non possiamo offrirti grandi doni; accetta il nostro amore coi quale vorremmo donarti le rocce e i graniti dei nostri monti trasformati in oro.

CAND'EST NADU GESU

Cando est nadu Gesu in sa gruta,
est faladu dae chelu un'istolu
de anghelos lughentes a bolu
ei sa gruta nde parzeit alluta.

E canteint cun suavidade:
“In chelu a Deus gloria
e in terra vitoria
a d'ogni omine de bona voluntade”.

Sos pastores ancora lassende
in pasturas sas bamas tranchiglias,
acudiant a sas meraviglias
e incantados ruiant adorende.

E naraiant in coro issoro:
“Nois semus poveritos,
ma rocas e granitos
ti diamus cherrer dare fatos d'oro”.

E benzeint sos tres res da' oriente
infilados infatu a s'istella,
de sa gruta formeint capella
aterrados preghende umilmente.

E nelzeint: "A Tie istrinamus,
custos donos cun totu su coro,
s'intzensu, sa mirra e-i s'oro,
e cun Tegus in sinu non ch'andamus".






IN SA NOTTE PROFUNDA

In sa notte profunda
cantat su rusignolu
cun sas pius suaves melodias;
su mulmuttu 'e s'undha
de su calmu rizzolu
contat misteriosas allegrias.
Pius che mai bellas
tremulan in su chelu sas istellas.

Gloria in excelsis Deo!
Gloria in excelsis Deo!
Et in terra pax
hominibus bonae voluntatis!
Gloria in excelsis Deo!

Ed ecco in cuss'area
tota paghe e dolzura
s'azzendet riu de viv'isplendore;
un'angelich'ischera
bolad'a basciura
pro saludare su nadu Segnore
l'allevian sos penas
cun curas e soaves cantilenas.

Gloria in excelsis...

Appat sa pache santa
ogn'anima indurida
chi fiorire bi poa s'amore;
ogni trista pianta
diat fruttos de vida
e ottenzat consolu ogni dolore;
de latte e mele rios
curran dai sos montes e pendios.

Gloria in excelsis...





ANDEMUS A SA GRUTTA

Andemus a sa gruta,
de lughe tot'alluta,
ch'est nadu su Bambinu:
Gesu, Segnore nostru Re divinu.

Est nadu poveritu
e vivet in afannos,
chena recatu ne pannos,
patende famine e fritu.

Ma benit un'istolu,
de Anghelos a bolu
e l' 'istana festende,
cun dulches innos de gloria cantende.
E dai sos lugores
giamados, sos pastores,
ruent imbenujados
a tantas meravizas incantados.




NOTTE DE CHELU

Notte de chelu
Scritta da Pietro Casu, è una delle canzoni natalizie sarde più conosciute.
notte de chelu La canzone natalizia in Lingua Sarda più conosciuta e cantata, soprattutto dai cori polifinici, è Notte de chelu di Pietro Casu.

Egli fu parroco di Berchidda ma anche uno dei personaggi più importanti nella scena culturale sarda del primo Novecento.

Notte de chelu fu scritta insieme ad altre canzoni sacre natalizie per la Novena del 1927 con il contributo di Antonio Sanna che le musicò riprendendo la tradizione sarda:

Il linguaggio del canto è, come spesso accade nei canti natalizi, volutamente semplice e carico di gioia e speranza. Si nota anche l’utilizzo del termine italiano bambino che sardizzato diventa bambinu: una parola che nella Lingua Sarda non esiste. Non si tratta certamente di un errore da parte di Pietro Casu che della Lingua Sarda Logudorese fu un esperto conoscitore, ma di un voluto effetto “semantico” e sonoro.

Infatti, nel suo Vocabolario Sardo Logudorese - Italiano alla voce bambinu c’è scritto:
bambìnu: s.m. bambino.
Si usa solo per il Bambino Gesù.
In custa notte es nadu su Bambinu (Canz. di Natale).

Si tratta quindi un cultismo proprio del linguaggio ecclesiastico utilizzato da Pietro Casu per enfatizzare la figura del Bambin Gesù, per metterne in evidenza la sua specialità e l’atmosfera che emana la sua venuta al mondo.

traduzione: una notte celestiale è questa che abbonda di segni di allegria, perché nella grotta è nato il Bambino affinché ci liberi dall’Inferno. E’ nato il Bambino, venite tutti ad ammirarlo, ad adorarlo, ad amarlo.
Egli infatti ha lasciato il cielo stellato, luminoso ed è venuto a soffrire nella grotta come figlio di povera gente, Lui figlio del Re divino. E’ nato il Bambino, venite tutti ad ammirarlo, ad adorarlo, ad amarlo.
Lo hanno messo sopra la paglia perché non c’era mica una culla (lacu = bartzolu) per farlo riposare, ma gli Angeli lo hanno accolto realizzando un percorso tra le stelle. E’ nato il Bambino, venite tutti ad ammirarlo, ad adorarlo, ad amarlo.
Poi sono giunti i pastori a salutarlo umilmente, e si sono ritrovati in mezzo alla luce del cielo e hanno visto la terra tutta dorata.
E’ nato il Bambino, venite tutti ad ammirarlo, ad adorarlo, ad amarlo.
La Madre non ha nulla da mettergli, ma la luce le ha voluto ricordare: non ha gioielli ed oro, ma tutti i pianeti e il mondo in regalo!
E’ nato il Bambino, venite tutti ad ammirarlo, ad adorarlo, ad amarlo.

Notte de chelu es custa d'ogni sinu
de allegria si sentit bundare,
ca in sa grutta es nadu su Bambinu
dai s'inferru pro nos liberare.
Es nadu, es nadu, es nadu su Bambinu.
Enide, enide tottus a l'ammirare,
enide a l'adorare,
enide a l'adorare, a l'amare.

Iss'a lassadu su chelu lughente
e bennid'est a sa grutta a penare,
che fizigheddu de povera zente
e fit zu fizzu de su Re divinu.
Es nadu, es nadu...

Subra sa paza l'ana collocadu
ca non b'aiat lacu a reposare,
ma sos Anghelos l'ana acoltegiadu
tra sas istellas fatendhe caminu.

Es nadu, es nadu...

Pustis sun sos pastores acudidos
che poveritos a lu saludare
e tra lughe de chelu si sun bidos
e tottu an bid'oro in su terrinu.

Es nadu, es nadu...

Pannos no at sa Mama a lu estire,
ma sa lughe l'hat chelfid'ammantare:
no at prendhas nè oro a si frunire,
m'a tott'astros e mundhu in destinu.

Es nadu, es nadu...





Celesti Tesoru

Celesti tesoru d'eterna allegria
dormi vida e coru, riposa a ninnia.
Reposa Segnore, dormi fillu amadu
a terra mandadu po su peccadori,
dormi cun amori ti canta Maria.
Cun sensu giucundu avverau s'esti
s'annunziu celesti de paxi a su mundu;
t'amo in su profundu de s'anima mia.
Tui ses chi dilettas montagnas e selvas
is ferocis belvas rendi mansuetas
se de is profetas illustri decoru.
Virtudi divina Deus umanau
de s'omine amau speranza continua,
rosa pellegrina bellu prus de s'oru.
Umilis pastoris chi vigilandu seis
benei ca bides celesti splendidori;
grazias e favoris dona su Messia.
Dormidi Bambinu, dormi caru fillu,
dormi caru fillu, dormi Gesuinu,
dormi in custu sinu de mamma Maria.
Tottus ti ammiranta, tottus ti adoranta,
tottus s'innamoranta, tottus ti suspiranta;
is raius ispiranta paxi e allegria.
In su chelu intonanta innus de allegria
de Rei e Messia titulus ti donanta
is santusu coronanta su Deus insoru.
Soli risplendenti de raius doraus
tottus ti amminaus Reu onnipotenti,
su prius eccellenti de sa gerarchia.
In tui esti amori, in tui esti scienzia,
tui ses Redentori, tui ses sapienzia
summa onnipotenzia t'ammiru e t'adoru.
Paxi o Redentori, paxi domandaus,
paxi t'imploraus, paxi o Redentori,
paxi cun amori ti domanda Maria.
Dormi cun riposu suavi e continu,
Deus unu e trinu de coru piedosu
in chelu ses gosu in terra allegria.
Si mamma ti caldada, su mundu ti onorada,
su chelu ti adorada, s'inferru s'ispantada,
sa grazia t'amantada, cun s'anima mia.




Ultima modifica di altamarea il 09 Dic 2016 20:13, modificato 1 volta in totale
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Oggetto: Re: «I COSACCHI E I SARDI»
Grazie, cara amica! Grazie dei canti sardi! È bene che noi possiamo presentarci le nostre culture, della Russia e dell’Italia, dei Sardi e dei Cosacchi. Sono molto contento che il nostro forum «ARCA RUSSA» nell’oceano dell’internet sia una piccola isola della nostra amicizia, della bontà e della stima.
Ancora un’antica canzone russa. Così i Cosacchi di Kuban’ cantano della nostra Partia, della nostra Madre Russia:

«LA PATRIA» «РОДИНА»
Canta Coro dei Cosacchi di Kuban’
https://www.youtube.com/watch?v=cwHdA5Fiy6w

Вижу чудное приволье, = Vedo come si sta bene, qui
Вижу нивы и поля = Vedo campi di cereali
Это русское раздолье, = È la pacchia russa,
Это Русская Земля! = È la Terra Russa!

Вижу горы-исполины, = Vedo i monti altissimi,
Вижу реки и моря = Vedo i fiumi e i mari
Это русские картины, = Sono i quadri russi,
Это Родина моя! = È la mia Partia!

Слышу песни жаворонка, = Sento i canti dell’allodola,
Слышу трели соловья = Sento trilli d’usignolo
Это русская сторонка, = È la terra russa,
Это Родина моя! = È la mia Partia!



 

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Oggetto: Re: «I COSACCHI E I SARDI»
Grazie Zarevich per la canzone gioiosa della tradizione Cosacca e ancor piu' per aver creato insieme all'amico italiano questa oasi di cultura e di libero pensiero dove le nostre culture si vengono incontro, dove grazie ai tuoi scritti sempre piu' mi addentro nella sorprendente cultura Russa dove trovo sempre spunti di connessione con la mia cultura cosi lontana geograficamente eppur cosi vicina, ora postero' dei canti che cosi fortemente caratterizzano la tradizione Sarda e con mia sorpresa e meraviglia scopro che e' un canto che tanto e' vicino ad un particolare canto Russo/Mongolo dei Monti Monti Altaj, il canto Voci e canti di culture nomadi: l'incontro del canto a tenore sardo con quello armonico khoomij della Russia/Mongolia e della regione Tuva.

Il canto a Tenores:




Canto della regione Russa Tuva



Il canto dei Monti dell'Altaj


Sorprendente vero?
la cosa divertente e che in rete ho trovato chi si pone la domanda: Ma Gengis Khan cantava a Tenore ?

Il popolo dei mongoli e il popolo degli antichi sardi non hanno in comune soltanto un tipo si canto gutturale, ma anche un tipo di lotta sportiva e la grande considerazione nei confronti della donna. Senza contare la tradizione pastorale, l'abilità nel cavalcare cavalli simili, se non uguali, ai cavallini della Giara. Potrebbe essere questa una prova della provenienza del popolo Sardo dalle steppe centroasiatiche? :)



In forte similitudine anche uno strumento che accompagna i canti e balli sardi sa "Trunfa" che ho avuto modo di ascoltare ed apprezzare nella cultura Russa dei nomadi della grande Steppa ascoltate la bellezza dei questi artisti di questo antichissimo strumento:

Sa trunfa sarda:


tradizione Altaj



Questa artista non so di quale regione Russa sia ma esprime tutta la natura della sua Terra Artista di grande maestria.


 
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Oggetto: Re: «I COSACCHI E I SARDI»
La regione della Russia che ispira l'artista Ольга Подлужная Уутай ( Olga Podluzhnaya Uutai) e' La Sacha o Jacuzia (rus. Республика Саха (Якутия), Respublika Sacha (Jakutija) ) è una repubblica della Russia, situata nella Siberia orientale.



Anche in questo vasto territorio Siberiano cantano gutturale, che bellezza il Mondo Russo si colma di Natura e di suoni antichi un connubio tra natura e musica che si esprime nella cultura musicale cosi' unica e particolare. Natura fonte di ispirazione da cui si trae forza ed energia.



Cosi la cultura Russa cosi la cultura Sarda e quella dell'Uomo ovunque si possiede sensibilita' per percepirla e portarla dentro di se e poi esprimerla al Mondo.

Canto a tenore:
Il canto a tenore (in sardo cantu a tenore) è uno stile di canto corale sardo di grande importanza nella tradizione locale, sia perché espressione artistica di matrice originale e autoctona, sia perché espressione sociale del mondo agro-pastorale, strato sociale fortemente caratterizzante l'isola.

Il canto a tenore nel 2005 è stato inserito dall'UNESCO tra i Patrimoni orali e immateriali dell'umanità ed è perciò considerato "Patrimonio intangibile dell'Umanità", data la sua unicità e la sua bellezza.

i ritiene inoltre che il canto a tenore sia nato come l'imitazione delle voci della natura: su bassu imiterebbe il muggito del bue, sa contra il belato della pecora e sa mesu hoche il verso dell'agnello, mentre il solista sa boche impersona l'uomo stesso, colui che è riuscito a dominare la natura.

Il "bassu" e la "contra" utilizzano tecniche di "canto armonico" molto simili alle tuvane "Kargyraa" e "Borbangnadyr". D'altronde anche in Tuva, secondo leggende locali, si cominciò a cantare utilizzando la tecnica Khomei per stabilire un contatto con le entità spirituali che pervadono tutte le cose ed acquisire la loro forza attraverso l'imitazione dei versi di animali.








 
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