«Quell’Italia, ormai perduta, raccontata dal cinema sovietico»
Nel cinema sovietico dei motivi italiani sono comparsi tendenzialmente in tre film: «Neverojatnye priključenija ital’jancev v Rossii» (diffuso in Italia con il titolo «Una matta, matta, matta corsa in Russia», sebbene la reale traduzione sia «Le incredibili avventure degli italiani in Russia»), girato da Eldar Rjazanov nel 1973, «Oči černye» e «Avtostop», girati da Nikita Michalkov rispettivamente nel 1987 e 1990.
Nella Russia degli anni successivi al crollo dell’Unione Sovietica, l’Italia come dimensione mitopoietica scompare quasi completamente. Per una serie di motivi. La nuova realtà del capitalismo selvaggio fornisce al cinema russo una quantità infinita di soggetti «autoctoni», ci si rivolge poco all’estero e, anche quando ci si rivolga, il fulcro narrativo è incanalato in nuove dimensioni allogene. In particolare, in quelle anglofone. Penso soprattutto a film ormai di culto come Brat 2 o Vojna, entrambi di Balabanov.
L’ultimo dei due, con una buona misura di umorismo noir, potrebbe essere per l’appunto chiamato anche «Žutkie priključenija angličan v Čečne» («Le orribili avventure di inglesi in Cecenia»). Oltre a questa ragione, che è la principale, bisogna anche ricordare che, dopo «Mani Pulite» e la disgregazione (guidata) del Pentapartito, in Italia comincia un processo di inarrestabile e sonnacchiosa decadenza. La farsa politica del ventennicchio berlusconiano e il monopolio mediatico imposto dal magnate di Arcore sdoganano una cultura tele-cinematografica insulsa, caratterizzata da serial zombizzanti, cinepanettoni, pieraccionate, tremetrate sopra il cielo ed analoghi immortali capolavori.
Una simile italietta non poteva risultare interessante per il nuovo pubblico russo, abissalmente maturato durante gli orrori sociali dello stupro el’ciniano. Non a caso, l’esistenza di una cultura cinematografica italiana è stata nuovamente notata solo nel 2013 con l’uscita de La Grande Bellezza, film apprezzatissimo in Russia.
Ma ritorniamo alla triade dei film sovietici a tema italiano. Si tratta di opere fondamentali non solo per il loro valore artistico, ma anche per il contributo che, ancora e soprattutto oggi, esse potrebbero dare per la rinascita di una (auto)coscienza nazionale, offuscata dal farsesco torpore berlusco-renziano e dal criminale esperimento di ingegneria sociale rispondente al nome di Unione Europea.
«Le incredibili avventure degli italiani in Russia» (preferisco questo titolo a quello ufficiale dell’edizione italiana, troppo ossequioso nei confronti di un particolare filone di commedie statunitensi che non ha nulla a che vedere, né esteticamente né concettualmente, con il lavoro di Rjazanov). Il maggior pregio di questo film, forse il più dinamico di un regista altrimenti distinto da toni narrativi blandi, dolci e lievemente intimistici, consiste nella perfetta vitalità con cui viene ritratto il carattere archetipico italiano.
Un carattere archetipico a cui sono state date molteplici ipostasi (la Santilli, Noschese, Davoli, Cimarosa…), ma che può essere riassunto in una sola formula: un’infantilità allegra, avida ed incosciente. Può sembrare una critica. Non lo è. I protagonisti italiani sono simili a bambini che, alla ricerca di un giocattolo che trovano irresistibile (un tesoro nascosto sotto un leone a Leningrado), partono alla ventura senza la minima ritrosia, senza il minimo timore. Se il tesoro si fosse trovato in Sudan, sarebbero partiti ugualmente, senza nemmeno prendere lo spazzolino da denti. Senza il penoso senso di superiorità verso l’Altro, che spesso maschera nell’italiano di bassa lega un irrisolvibile complesso di inferiorità, ma allo stesso tempo senza la pavidità, il disamore di sé, che avvelenano la Generazione-Mille-Euro su cui si è fondato il potere berluschino e si fonda quello piddino.
Cinicamente immediati e sinceri nei loro desideri (non particolarmente nobili…), ma allo stesso tempo aperti al mondo da una spinta di empatia che fa perdonare loro molto. Coraggiosi, egoisti, sprovveduti, divertenti. Come bambini. O come genovesi che anche a Caffa, circondati dal serpaio cumano e mongolo, non perdono la loro mordace ilarità… I cittadini dell’ex Unione Sovietica hanno imparato ad adorare gli italiani proprio grazie a questo film. E con quale disappunto, con quale delusione, una volta venuti in Italia, hanno scoperto che questi tipi umani ormai non esistono più nel paese, sostituiti da gente divenuta già vecchia e rassegnata a vent’anni sotto le minacce dello spread e di un ristagno culturale e politico senza fine!
Molto spesso ho cercato di spiegare ai miei conoscenti russi, ucraini, bielorussi che non è questo il vero carattere italiano. È semplicemente il risultato di più di vent’anni di politiche (interne ed estere) mirate ad annientare un genio nazionale tendenzialmente insofferente, il cui amore viscerale per la libertà e la creatività non può non scardinare la rigorosa architettura di asservimento finanziario elaborata a Berlino, Washington, Bruxelles, Londra…
I due film di Michalkov costituiscono un riallaccio ideale al film di Rjazanov, poiché ne riprendono il motivo narrativo dell’italiano che intraprende un viaggio in Russia. Tuttavia, sia «Oči černie» che «Avtostop» approfondiscono in un’ottica esistenziale valenze solo appena adombrate nella commedia del 1973: in Russia gli italiani di Michalkov non trovano un tesoro, ma se stessi, il reale senso della loro esistenza. In questo, per certi versi, rendono esplicita la funzione che «Le incredibili avventure» potrebbero svolgere per lo spettatore italiano contemporaneo: trovare di nuovo un cammino che permetta di ritornare alla propria reale natura.
Così l’irresponsabile bambino mai cresciuto Romano (Mastroianni), il protagonista di «Oči černye», in una scena piuttosto kitsch ma ugualmente struggente, ricorda la propria infanzia mentre un carro lo trasporta all’alba per gli sconfinati spazi russi… Così Sandro (Massimo Venturiello), l’arido ed altezzoso protagonista di «Avtostop» (film che nel suo complesso può essere ritenuto una bellissima dedica alla produttività ed alla grandezza industriale italiana), giunto in Russia su commissione della Fiat per testare un’automobile da adattare al mercato locale, comprende la vanità e la sterilità della propria esistenza dopo aver aiutato una donna a partorire nelle innevate, desolate distese russe.
In questo breve articolo non ho cercato di condurre un’analisi critica dei tre film. Si tratta di una scelta cosciente. Lo spazio non lo avrebbe permesso ed esistono già dei lavori a riguardo. Ho voluto piuttosto sottolineare la lezione che questi film possono dare al pubblico italiano di oggi, colmo di inquietudini per il proprio destino storico e in preda ad una crisi di identità nazionale senza precedenti: non si può essere interessanti per gli altri se prima non si ritrova se stessi e il proprio posto in questo mondo. Come mostrano i film di Rjazanov e Michalkov, la Russia, forse, può aiutarci in questo non semplice compito, vitale per la rinascita del nostro Paese.
(di Claudio Napoli, Fort Rus)
Oggetto: Quell’Italia, ormai perduta, raccontata dal cinema sovietico
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