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Notizie - «GLI ESPERTI DEL CAST SULLA GUERRA RUSSO-GEORGIANA»

KIARA - Lunedì, 20 Dicembre 2010, 17:42
Oggetto: «GLI ESPERTI DEL CAST SULLA GUERRA RUSSO-GEORGIANA»
Tra gli specialisti francesi della Russia, non c’è un industriale, un ricercatore militare o un giornalista che non considera la squadra moscovita del CAST (Centro per l’Analisi delle strategie e delle tecnologie), inevitabile sulle questioni della difesa. Per questo motivo la traduzione francese del suo recente libro, “I carri d’agosto“, incanterà tutti coloro che non hanno avuto accesso alle versioni russa, inglese e tedesca del libro. Sotto la guida di Ruslan Pukhov, direttore del CAST, Mikhail Barabanov, Anton Lavrov e Vyacheslav Tselouïko raccontano ora per ora la guerra russo-georgiana dell’agosto 2008, esclusivamente in termini di analisi militare. Dal punto di vista legale e diplomatico, non prendere posizione in merito alla responsabilità dei diversi soggetti riguardo allo scoppio del conflitto.

Anche se gli autori sono patrioti russi, e ciò si sente nella piega di qualche frase.

Il termine “grande potenza“, usato per descrivere la Russia farebbe sorridere se i francesi, anche parziali o nostalgico i ciò che li riguarda, non avessero delle lezioni da trarne in materia. Per quanto riguarda gli aggettivi usati per descrivere il presidente georgiano Mikhail Saakashvili. definito “nazionalista, ambizioso, avventuroso…“, lasciano pochi dubbi circa i sentimenti che gli esperti del CAST nutrano. Ma alla luce dei pareri espressi, in particolare da parte dell’Unione europea dopo la guerra, queste osservazioni non sono eccessive. Come ha giustamente sottolineato Yves Boyer, Vice Direttore della Fondazione per la ricerca Strategica, che scrive la prefazione a questo lavoro, “la causa della Georgia sarebbe stata servita meglio se il governo di Tbilisi non fosse stato così vergognosamente legato a qualche corrente neocon statunitense all’interno dell’amministrazione Bush“.

Il conflitto, le cifre fornite dal CAST sulla base di più fonti attendibili che lo testimoniano, è stato preparato da molto tempo prima da parte georgiana.

Quando Mikheil Saakashvili ha preso il potere a Tbilisi, dopo la Rivoluzione delle Rose nel gennaio 2004, il bilancio della difesa georgiano era pari al 0,7% del PIL. Nel 2007, ha raggiunto l’8%. Al tempo stesso, la spesa militare reale era stata moltiplicata per un fattore di 24,5. Massicci acquisti di attrezzature, sostegno finanziario di Washington, assistenza tecnica di Stati Uniti, Israele, Svizzera, francese (truppe di montagna formate a Sachkhere)… Tutto è stato fatto per cinque anni per creare l’esercito georgiano, mantenendo fino allora una milizia ben armata, una moderne forza degna di aderire alla NATO. Invano.

Infatti, se è di moda in Occidente celebrare le perdite subite dall’esercito russo e le lacune che ha mostrato durante queste operazioni, questa guerra dei “cinque giorni” si è conclusa con una catastrofe militare per la Georgia. Mentre il bilancio umano -200 morti, 1.200 feriti, è relativamente leggero. Ma il potenziale da combattimento della Georgia è stato definitivamente indebolito. Decine di carri armati, molti altri blindati, decine di pezzi d’artiglieria e di missili anti-aerei sono stati catturati dalle forze russe. Le basi aeree del paese sono state gravemente danneggiate. Per quanto riguarda la marina georgiana, non suscita più preoccupazioni nei confronti di un possibile acquisto di Porta-elicotteri d’assalto francese da parte della flotta russa: catturata nei suoi porti, annientata, “è stata eliminata come l’esercito.” La Marina militare russa partendo da Novorossiysk e da

Sebastopoli ha operato di fronte alle coste abkhaze e georgiane, senza nemmeno aver bisogno di combattere.

Questa vittoria-lampo, la Russia la deve al dilettantismo del governo georgiano sul piano diplomatico e militare. Tbilisi, sicuro del sostegno di Washington, si è comportata come se fosse certa che la Russia non sarebbe intervenuta, dicono gli autori. La maggior parte delle armi moderne acquistate non era ancora stata fornita alle unità prima dell’inizio dell’offensiva. Le unità entrate nell’Ossezia del Sud non avevano nemmeno un sistema anti-aereo.

Eppure i russi hanno perso sei aerei da combattimento, una cifra elevata per cinque giorni di operazioni contro un avversario modesto. Ma queste perdite sono dovute principalmente al tasso molto elevato di fuoco amico, che ha rappresentano il 50% delle perdite. Mancanza di capacità d’identificazione Friend or Foe (Amico o nemico), di coordinamento interarma efficace, di una ricognizione ben condotti, di mezzi di comunicazione moderni, hanno lasciato di nuovo l’esercito russo col buio davanti a sé, moltiplicando gli episodi di questo tipo. Sordo e cieco. “Sai qual è il nostro sistema di C4ISR? E’ quando attacchiamo quattro radio insieme“, ha confidato un ufficiale superiore russo non privo di umorismo, all’autore di queste righe.

Eppure, giustamente, sottolineano gli esperti del CAST, le truppe russe che erano impegnate ai confini dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia, erano tra le più esperte. Tratte dalle forze della regione militare del Caucaso del Nord, avevano anni di esperienza in Cecenia. Vero e proprio laboratorio dell’Armata Rossa, sono stati i primi a passare da una organizzazione divisionale a una struttura a brigata, che doveva dare loro maggiore flessibilità. Ed è qui che sta il problema: destinati a essere l’elite, avevano poco più da offrire che il loro coraggio e una forte potenza di fuoco. La loro forza da combattimento non era quella di un esercito ad alta tecnologia. Era quella di una truppa rustico, in grado di adattarsi rapidamente alle condizioni difficili, operando con la stessa modalità d’azione della “Grande Guerra Patriottica“. Il team del CAST non mostra alcun compiacimento.

Dal punto di vista degli armamenti, in primo luogo i russi hanno combattuto dei georgiani meglio armati.

Una parte significativa del corpo corazzato era costituito da carri armati T-62, una gamma di blindati, si ricordi, sono entrati in servizio cinque anni prima del primo carro francese AMX-30. Le forze aeree, a loro volta, erano attrezzate con equipaggiamenti obsoleti, Sukhoj 24 e 25, Tu-22M3, progettati negli anni ’70 e ’80. Senza capacità di attacchi di precisione, è stato necessario ricorrere a una mazza per schiacciare una mosca: Mosca non ha esitato a impiegare missili superficie-superficie, in grado di trasportare testate nucleari, Tochka-U (codice NATO SS-21 Scarab) e Iskander (SS-26 Stone) contro la base navale di Poti, la base aerea di Marneuli e la città di Gori. Con il risultato inevitabile di diverse vittime civili e danni collaterali. In breve, per colmare le lacune tecniche, si è passati con decisione ricorrendo puntualmente, a livello locale, a una “versione” leggera del Trommelfeuer (tiro di sbarramento, NdT), che gli artiglieri russi hanno sempre amato.

E non è questione di soli materiali. Errori sono stati anche osservati a livello umano, dove se ne attendevano di minori, con i Kontratniki, ovvero i volontari. “Una buona fetta di loro entra nell’esercito per la gamella. Sono compari, a volte dei bambini … Allora quando si dice loro di aumentare il fuoco, non si fanno fretta. I coscritti, i più giovani, più inesperti, troppo, sono in realtà i più mordaci…” sospira un quadro. La professionalizzazione non è necessariamente un “must“, in Russia o altrove.

La guerra oggi è finita ormai da oltre due anni.

Mikheil Saakashvili s’è impegnato a fine novembre a non usare la forza per recuperare i territori perduti dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia. Dal punto di vista georgiano, le conseguenze del fallimento possono essere tratte: la rana non può essere grande come un bue e la NATO s’allontana velocemente.

A livello russo, al contrario, le lezioni del conflitto apparentemente non sembrano essere state tratte. Se il CAST nota il riequippaggiamento delle truppe del Caucaso con materiali di ultima generazione, i carri armati T-90A e BMP-3, si rileva invece che alcuni difetti sono stati esacerbati. L’aviazione russa ha un minor numero di bombardieri, data la graduale eliminazione dei Sukhoj-24. Di conseguenza, dovrà far volare ancora i velivoli che restano, che sono già logori. Mentre si promette, tra una mezza dozzina di anni, un velivolo da combattimento multi-ruolo di quinta generazione, il T-50, sarebbe necessario avere qualcosa di concreto, ossia il Sukhoj-34, la cui entrata in servizio è fatta alla spicciolata. Questo divario di capacità è grave: in caso di una ripresa del conflitto, dicono gli autori, si intende compensare le carenze dell’aviazione con un maggiore uso di missili terra-terra. Con tutti i

rischi che comporta questa escalation.

Dal punto di vista umano, il bilancio è ugualmente drammatico. Di fronte a una profonda crisi demografica, l’esercito russo recluta con sempre più difficoltà. I pochi coscritti e i kontraktniki sono diretti prevalentemente verso le truppe del MVD, il Ministero degli Interni, alle forze convenzionali non restano che i resti, insufficienti quantitativamente e qualitativamente. Ridimensionamento del corpo ufficiali e Praportchiks, i quadri usciti dai ranghi, riducendo il periodo di servizio attivo a dodici mesi, tutti gli ingredienti affinché le unità siano anche meno motivate, meno operative… Per non parlare dell’avvertimento del CAST sui rischi di corruzione indotti in un esercito che si sente abbandonato.

Mancanza di materiali, riduzione costante, sempre più evidenti carenze di capacità, uomini demotivati… Da Londra a Vladivostok, un’armonia sinistra s’insedia, mentre altrove i bilanci della difesa esplodono. Condannate a gestire la penuria, gli eserciti della “vecchia Europa“, non senza ragione derisa da Donald Rumsfeld, non possono più avere il sopravvento, neanche nel caso del più tradizionale dei conflitti.


Lo vediamo in Afghanistan.
Pukhov, Barabanov, Lavrov e Tselouïko lo dimostrano sul teatro del Caucaso.


* Philippe Migault è ricercatore dell’IRIS

*’I Carri di agosto‘, coordinato da Ruslan Pukhov. Edizioni del Center for Analysis of Strategies and Technologies.

L'articolo di Eurasia


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