| «FIABE PER LA MIA BAMBINA» di Dmitrij Màmin-Sibirjak | |
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Zarevich
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«FIABE PER LA MIA BAMBINA» di Dmitrij Màmin-Sibirjak
«DMITRIJ MAMIN-SIBIRJAK: SCRITTORE RUSSO»
«ДМИТРИЙ МАМИН-СИБИРЯК, РУССКИЙ ПИСАТЕЛЬ»
Dmitrij Mamin-Sibiriak Дмитрий Мамин-Сибиряк
«FIABE PER LA MIA BAMBINA»
Traduzione dal russo all’italiano di Aurelio Montigelli
Casa Editrice «Progress» Mosca 1982 (Pagine 112)
Издательство «Прогресс» Москва 1982
Dmitrij Màmin-Sibiriàk (Дмитрий Мамин-Сибиряк, 1852–1912). «Sibiriàk» («Сибиряк») cioè «Siberiano» è uno pseudonimo dello scrittore Dmitrij Màmin che ci ha lasciato molti racconti per l’infanzia, decine di romanzi e novelle. È lo scrittore a descrivere la vita degli Urali. Lui trascrisse anche le fiabe che raccontava alla figlia e le raccolse in un volume sotto il titolo di «Fiabe per Aliònushka» («Алёнушкины Сказки»). Aliònushka (Алёнушка) è il diminutivo del nome femminile Aliona o Elena o Lena. La figlia di Dmitrij Màmin-Sibiriàk si chiamava Aliona. I personaggi delle fiabe di Dmitrij Màmin-Sibiriàk sono i soliti di tante favole popolari. L’orso goffo e impiccione, il lupo eternamente affamato, la lepre timida e paurosa, il passerotto furbo e astuto. Sono animali che pensano e parlano come gli uomini sempre conservando i caratteri originali. L’orso è buffo e balordo, il lupo è ovviamente cattivo, il passero vivace e birichino. Forse questi personaggi è più facile capirli dai loro soprannomi. Ecco Zanzarone lungo nasino è una zanzara giovane ed inesperta.
Nelle fiabe di Dmitrij Màmin-Sibiriàk anche le piante parlano. Nella fiaba «È ora di dormire» i viziati fiori coltivati si inorgogliscono della propria bellezza tanto da sembrare dei ricconi lussuosamente abbigliati. Le simpatie dello scrittore vanno tutte ai modesti fiori di campo. Nella fiaba «Favola dell’ultima mosca» ci racconta la storia di una mosca stupidella la quale era convinta che in casa le finestre fossero state fatte perché lei potesse entrare ed uscire a suo piacimento. Che la tavola è apparecchiata per lei e sempre per lei si prendesse la marmellata dalla dispensa. Cosa ci può essere in comune tra un pesce e un uccello? Lo scrittore risponde a questa domanda con la «Favola di Passerottino, Laschetto e dell’allegro Jàscia spazzacamino». È un bellissimo raccolto. Di solito queste fiabe vengono lette dai genitori o dai nonni ai loro bambini e nipotini che non sanno ancora leggere. Tutti i bambini russi conoscono queste fiabe e le amano molto. Allora, la raccolta «Fiabe per Aliònushka» («Алёнушкины Сказки») si compone di nove fiabe: «Prima di Incominciare» («Присказка») Così comincia il libro:
«Ninna nanna, ninna o o o…
La piccola ha un occhietto che dorme già, ma l’altro è spalancato, un orecchio dorme e l’altro ascolta.
Dormi, piccina, dormi che papà ti racconta una favola. Sono già tutti riuniti: Vassilij il gatto siberiano, Cagnone di campagna, Topolino rigetto, Grillo canterino, Stornello e Galletto attaccabrighe. Dormi, piccina, che la favola incomincia. Dalla finestra occhieggia alta la luna, un leprotto passa nei suoi alti stivali di feltro, si accendono nella notte gli occhi di un lupo e l’orso si succhia con gusto la zampa. Arriva in volo l’anziano passerotto e bussa con impazienza alla finestra: «Si incomincia? Sono già tutti riuniti, tutti pronti ad ascoltare le fiabe della mia bambina?». Un occhietto dorme, l’altro guarda, un orecchio dorme, l’altro ascolta.
Ninna nanna, ninna o o o…»
«FIABE DI DMITRIJ MAMIN-SIBIRJAK»
«СКАЗКИ ДМИТРИЯ МАМИНА-СИБИРЯКА»
01.«Fiaba di Leprotto Ardimentoso» («Сказка про храброго Зайца»)
02.«Raccontino su Moscerino» («Сказочка про Козявочку»)
03.«Fiaba di Zanzar Zanzarin-Naso acuto e di Orso codino ricciuto» («Сказка про Комарà Комарòвича - длинный нос и про мохнатого Мишу - короткий хвост»)
04.«L’Onomastico di Ivan» («Ванькины именины»)
05.«Favola di Passerottino, Laschetto e dell’allegro Jàscia spazzacamino» («Сказка про Воробья Воробеича, Ерша Ершовича и веселого трубочиста Яшу»)
06.«Favola dell’ultima mosca» («Сказка о том, как жила-была последняя Муха»)
07.«Favoletta di Corvo nero e di Canarino, uccellino giallino» («Сказочка про Воронушку - чёрную головушку и жёлтую птичку Канарейку»)
08.«Il più intelligente» («Умнее всех»)
09.«Storia di Latticello, Fiocchi d’avena e Murletto gattone grigione» («Притча о Молочке, овсяной Кашке и сером котишке Мурке»)
«È ora di dormire» («Пора спать»)
Così finisce il libro: «Ninna nanna, ninna o o o…»
Un occhietto dorme, l’altro guarda. Un orecchio dorme e l’altro ascolta. Intorno al suo lettino asesso c’erano proprio tutti: Leprotto ardimentoso, Orso, Gallo litigioso, Passerottino, Corvo, Baschetto e Moscerino. C’erano proprio tutti.
- Papà, io voglio bene a tutti – mormorò Alionushka. – persino agli scarafaggi neri ….
Si chiuse l’altro occhio e si addormentò l’altro orecchio. Intorno al lettino di Alionushka c’era l’erba verde, sorridevano i fiori, tanti fiorellini, azzurri, rosa, gialli, blu, rossi. Sul lettino era curva una verde betulla che le sussurrava qualcosa dolcemente. Splendeva il sole in cielo, la sabbia era calda e dorata e l’onda del mare le faceva segno con la mano:
- Dormi, Alionushka! Ninna nanna, ninna o o o …»
Non so se ora i genitori leggono ai bambini queste fiabe di Dmitrij Mamin-Sibiriak. Forse di sì o forse di no. Ma io vedo nelle librerie i libri di Dmitrij Mamin-Sibiriak. Noi tutti siamo educati su queste fiabe. Vorrei ripetere che le favole di Dmitrij Mamin-Sibiriak si leggessero ai bambini dai genitori o dai nonni. È una tradizione. Sono le fiabe per i piccoli bambini che non sanno ancora leggere. Ma esiste la traduzione dal russo all’italiano fatta da Aurelio Montingelli per la Casa Editrice di Mosca «Progress». Due Case editrici «Progress» e «Ràduga» negli anni ‘70 e ‘80 erano specializzate nei libri degli scrittori russi nelle lingue straniere. E così io ho un libro con le fiabe di Mamin-Sibiriak, in italiano, pubblicato nel 1982 da «Progress» Mosca. Il libro si chiama «Fiabe per la mia bambina». Non so perché il titolo originale «Fiabe per Alionushka» era stato cambiato.
«FIABE PER LA MIA BAMBINA» DI DMITRIJ MAMIN-SIBIRJAK
Andrej Cernysciov (Андрей Чернышов)
È già buio. Cade la neve e come bambagia copre i vetri della finestra. La bimba è raggomitolata sotto le coperte. Però non ha voglia di dormire e non si addormenterà se prima papà non le avrà raccontato una fiaba. Il padre è Dmitrij Màmin-Sibirjàk, ormai noto scrittore. E seduto alla scrivania chino su un manoscritto. Si alza, si avvicina al lettino della figlia, s’accomoda in una poltrona e incomincia a raccontare. Tutta attenta la bimba ascolta la storia del tacchino stupidello convinto però di essere il piti intelligente di tutti e quella dei giocattoli andati al compleanno della padroncina. Sono fiabe meravigliose, una più avvincente dell’altra. Un occhietto già dorme… Dormi, piccola, sogni d’oro, piccina mia… La bimba si addormenta con la manina sotto il capo. La neve continua a cadere. Così trascorrevano insieme le lunghe sere invernali, padre e figlia. La piccola era orfana di madre morta ormai da tanto tempo. Il padre l’adorava e faceva di tutto perché fosse felice. Fissava la figlia dormiente e con la memoria riandava agli anni della sua infanzia, trascorsi in un paesino industriale degli Urali. Dmitrij Mamin-Sibirjak nacque tanti anni fa, nel 1852. Allora in fabbrica c’erano ancora i servi della gleba, lavoravano dall’alba al tramonto, ma vivevano nella miseria piu nera. I loro signori invece vivevano nel lusso e nell’abbondanza. Alle prime luci dell’alba, andando in fabbrica, gli operai incontravano le trojke che dopo la consueta festa da ballo riportavano a casa i ricchi signori. Dmitrij Mamin-Sibirjak era cresciuto in una famiglia di povera gente, ove si teneva conto di ogni copeca. Ma il bisogno non aveva appannato il cuore dei genitori che, buoni e comprensivi, erano circondati dall’affetto degli amici. Il bambino accoglieva con gioia gli operai che venivano a trovare il padre. Conoscevano tante favole, tante storie affascinanti! Egli avrebbe per sempre ricordato le gesta di Marzak, l’intrepido brigante che, dal suo rifugio nella foresta, attaccava i ricchi e ne distribuiva le ricchezze ai poveri sempre sfuggendo alla caccia della polizia zarista. Il bambino assorbiva ogni parola sognando di poter diventare un giorno anch’egli giusto e valoroso come Marzak. La foresta che secondo le leggende era servita di rifugio a Marzak, incominciava a pochi passi da casa. Gli scoiattoli saltavano di ramo in ramo. Al limitare di una radura si poteva scorgere una lepre in attesa e, nel folto del bosco, ci si poteva imbattere in qualche orso. Il futuro scrittore aveva imparato a conoscere tutti i sentieri della foresta. Aveva camminato lungo le sponde del fiume Ciussovàja, aveva amato la catena dei monti coperti di abeti e di betulle. Sembrava che le montagne non avessero mai fine e fin dall’infanzia lo scrittore associò alla natura l’immagine della libertà e degli spazi selvaggi e sconfinati. I genitori avevano donato al figlio l’amore per la lettura. Egli aveva letto i riletto Pushkin e Gogol, Turghenev e Nekrassov. Molto presto si manifestò in luì la passione per la letteratura. A sedici anni teneva già un diario. Gli anni trascorsero e Dmitrij Mamin-Sibirjak divenne il primo scrittore a descrivere la vita degli Urali. In decine di romanzi e novelle, in centinaia di racconti egli narrò la storia della gente semplice in lotta contro l’oppressione e l’ingiustizia.
Dmitrij Mamin-Sibirjak ci ha lasciato molti racconti per l’infanzia. Egli voleva insegnare ai ragazzi a comprendere la bellezza della natura, le ricchezze della terra, ad amare e rispettare l’uomo che lavora. «Scrivere per l’infanzia è una grande felicità» - egli soleva dire. Egli trascrisse anche le fiabe che raccontava alla figlia e le raccolse in volume sotto il titolo di «Fiabe per la mia bambina». In queste fiabe possiamo cogliere i colori luminosi di una giornata di sole, la struggente bellezza della natura russa. Anche voi, come fu un giorno per la figlia dello scrittore, vedrete i boschi e le montagne, i mari lontani e i deserti remoti. I personaggi delle fiabe di Dmitrij Mamin-Sibirjak sono i soliti di tante favole popolari: l’orso goffo e impiccione, il lupo eternamente affamato, la lepre timida e paurosa, il passerotto furbo e astuto. Sono animali che pensano e parlano come gli uomini sempre conservando i caratteri d’origine. L’orso è buffo e balordo, il lupo è ovviamente cattivo, il passero vivace e birichino. Forse questi personaggi è più facile capirli dai loro soprannomi. Ecco Zanzarone lungo nasone. Una zanzara ricca di esperienza e di anni. Invece Zanzarino lungo nasino è una zanzara giovane ed inesperta. Nelle sue favole gli oggetti pure prendono vita. I balocchi partecipano in una festa e addirittura se le danno di santa ragione. Anche le piante parlano, nella fiaba «E ora di dormire» i viziati fiori coltivati si inorgogliscono della propria bellezza tanto da sembrare dei ricconi lussuosamente abbigliati. Le simpatie dello scrittore però vanno tutte ai modesti fiori di campo. Dmitrij Mamin-Sibirjak prende a cuore certi suoi personaggi, di altri invece parla con bonaria ironia. Con rispetto parla dell’uomo laborioso, biasima il pigro c il fannullone. Lo scrittore non sopporta coloro che si montano la testa, che pensano che il mondo sia stato fatto apposta per loro. Nella «Favola dell’ultima Mosca» egli ci racconta la storia di una mosca stupidella la quale era convinta che in casa le finestre fossero state fatte perché lei potesse entrare ed uscire a suo piacimento, che la tavola fosse apparecchiata per lei e sempre per lei si prendesse la marmellata dalla dispensa. Certo, a pensarlo cosi può essere soltanto una том a con poco cervello. Cosa ci può essere in comune tra un pesce e un uccello? Lo scrittore risponde a questa domanda con la «Favola di Passerottino, Laschetto e dell'allegro Jascia in spazzacamino». Benché Laschetto viva nell’acqua e Passerottino voli nell’aria entrambi hanno bisogno di cibo, vanno alla ricerca di un buon bocconcino, soffrono il freddo d’inverno e in estate devono affrontare non poche difficoltà…
Quando si sta insieme si diventa tutti più forti. Grande e grosso è l'orso, eppure persino le zanzare, quando si méttono insieme, possono dargli una dura lezione («Fiaba di Zanzar zanzarin-naso acuto e dì Orso codino ricciuto»). Tra tutti i suoi libri Dmitrij Mamin-Sibirjak preferiva proprio «Fiabe per la mia bambina». «E il mio libro preferito perché l’ho scritto col cuore e perciò sopravvivrà a tutti gli altri».
Andrej Cernysciov (Андрей Чернышов)
Ultima modifica di Zarevich il 20 Gen 2019 10:50, modificato 10 volte in totale
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Dmitrij Mamin-Sibiriak «FIABE PER LA MIA BAMBINA» Traduzione dal russo all’italiano di Aurelio Montigelli Casa Editrice «Progress» Mosca 1982 (Pagine 112) |
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«FIABE PER LA MIA BAMBINA» di Dmitrij Màmin-Sibirjak
«DMITRIJ MAMIN-SIBIRJAK: SCRITTORE RUSSO»
«ДМИТРИЙ МАМИН-СИБИРЯК, РУССКИЙ ПИСАТЕЛЬ»
FIABA 1:
«FIABA DI LEPROTTO ARDIMENTOSO» «СКАЗКА ПРО ХРАБРОГО ЗАЙЦА»
Era nato nel bosco ed aveva paura di tutto. Scricchiolava un ramoscello, prendeva il volo un uccellino, cadeva da un albero una falda di neve e il povero Leprotto si sentiva serrare il cuore dallo spavento.
Leprotto visse con la paura addosso un giorno, due, una settimana, un anno intero; dopo un anno si ritrovò grande e grosso e all'improvviso gli venne a noia avere sempre paura.
- Non ho paura di nessuno! - gridò a tutto il bosco. – Non ho nemmeno un briciolo di paura e basta!
Si riunirono le lepri cariche di anni, accorsero i piccoli ìeprottini, si trascinarono stancamente le nonne lepri per sentire Leprotto baldanzoso dalle orecchie lunghe, dagli occhi obliqui e dalla coda corta corta. Ascoltavano e non riuscivano a credere i propri orecchi. Non era mai accaduto che una lepre non avesse paura di nessuno.
- Ehi, tu, occhi obliqui! Nemmeno del lupo hai paura?
- Del lupo, della volpe e persino dell'orso! Non ho paura di nessuno al mondo!
Era veramente una cosa ridicola. Ridacchiarono le lepri giovani coprendosi il muso con le zampette, risero bonariamente le lepri di una certa età, ghignarono anche le vecchie lepri che nella loro vita erano riuscite a sfuggire dalle zampe della volpe ed avevano conosciuto le zanne del lupo. Era veramente un leprotto ridicolo, oh, come era buffo! All'improvviso furono presi dall'allegria. Incominciarono a saltellare, a fare capriole, si misero a rincorrersi... sembrava che fossero usciti tutti di senno.
- E inutile dilungarsi tanto - urlò Leprotto cui il coraggio
aveva dato alla testa - se il lupo mi capita sottomano sarò io a divorarlo!...
- Oh, che Leprotto ridicolo! Oh, che stupidello! ...
Tutti quanti vedevano che era ridicolo e stupidello e ridevano a crepapelle.
Le lepri si sgolavano a parlare del lupo e il lupo intanto era già li.
Aveva a lungo vagato per il bosco per i suoi affari, gli era venuto appetito e appena ebbe pensato: "Non ci starebbe male una lepre a colazione!", subito, vicino vicino aveva sentito le lepri parlare di lui. Si era fermato di botto, aveva annusato l'aria e si era messo a strisciare piano piano.
Arrivato a due passi dalle lepri tutte giulive, aveva sentito che si prendevano gioco di lui e, più di tutti, Leprotto vanaglorioso dagli orecchi lunghi, gli occhi obliqui e dalla coda corta corta.
"Eh, aspetta un po' che adesso mangio proprio te" - decise il lupo e aguzzò gli occhi per vedere chi fosse il coraggioso. Le lepri non si erano accorte di nulla e si divertivano a più non posso. Alla fine Leprotto vanitoso sali su un ceppo e si accomodò sulle zampe posteriori per meglio arringare i presenti:
- Ehi, voi, lepri paurose! Statemi a sentire e guardatemi. Adesso vi faccio vedere una cosa. Io... io... io...
Gli parve di aver inghiottito la lingua.
Dall'alto aveva infatti scorto il lupo ancora nascosto alla vista degli altri.
Poi accadde una cosa straordinaria.
Leprotto ebbe uno slancio e con un salto, tanta era la paura, andò a finire proprio sull'ampia fronte del lupo, rotolò come una palla sulla sua schiena, si rigirò in aria e come una freccia schizzò vìa ad una velocità tale che sembrò volesse scappare dalla propria pelle.
Corse a lungo il povero Leprotto, corse fino a quando non rimase senza fiato.
Gli sembrava che il lupo continuasse ad inseguirlo e che da un momento all'altro potesse afferrarlo con i suoi denti aguzzi.
Alla fine, quasi esanime, cadde sotto un cespuglio e chiuse gli occhi.
Il lupo in quel momento correva verso tutt'altra parte perché quando Leprotto gli era caduto addosso aveva pensato che qualcuno lo avesse preso a schioppettate.
Ed era fuggito. Tanto più che di lepri ce ne sono tante e quel Leprotto sembrava proprio un matto...
Anche per le altre lepri dovette passare un certo tempo prima che si riavessero. Una si era rifugiata tra i cespugli, un'altra si era nascosta dietro un ceppo, un'altra ancora in un fossatello.
Poi ne ebbero abbastanza di stare nascoste e poco per volta incominciarono a spuntare le più coraggiose.
- Che abilità a spaventare in quel modo il lupo. Se non fosse stato per il nostro Leprotto ci avremmo lasciato la pelliccia...
Ma dove sta il nostro ardito Leprotto?
Si misero alla sua ricerca.
Girarono in lungo e in largo, ma Leprotto non si trovava. Non l'avrà divorato un altro lupo? Ma alla fine lo trovarono in una buca sotto un cespuglio, più morto che vivo dalla paura.
- Bravo! - dissero tutti in coro. - Oh, come sei in gamba!
Far venire la tremarella a quel vecchio lupo. Grazie, sei proprio un amico. E noi pensavamo che ti dassi delle arie.
L'audace Leprotto si riprese immediatamente. Sbucò dal suo rifugio, si dette una scrollatina, socchiuse gli occhi e borbottò:
- Eh, voi fifoni, cosa mai pensavate!
Da quel giorno l'audace Leprotto incominciò a credere pure lui di non aver veramente paura di nessuno. E adesso fa la ninna, ninna o o o...
FIABA 2:
«RACCONTINO SU MOSCERINO» «СКАЗОЧКА ПРО КОЗЯВОЧКУ»
I.
Nessuno vide nascere Moscerino.
Era una giornata di sole, in primavera. Moscerino si guardò intorno e disse:
- Com'è bello!
Moscerino allargò le ali, si pulì le sottili zampine l'una contro l'altra, dette un'altra occhiata e disse:
- Com'è bello! ... Che sole tiepido, che cielo azzurro, che erba verde. È una bellezza ed è tutto mio!
Si dette un'altra pulitina alle zampine e prese il volo. Svolazzava di qua e di ìà e godeva di tutto quanto vedeva. In basso l'erba era così verde e in mezzo all'erba si nascondeva un fiorellino vermiglio.
- Moscerino, Moscerino, vieni qui da me! - gridò il fiorellino.
Moscerino scese a terra, si arrampicò sul fiorellino e incominciò a bere il dolce nettare.
- Come sei buono, fiorellino! - disse Moscerino pulendosi il musetto con le zampine.
- Buono si, sono buono, però non so camminare - esclamò con tono piagnucoloso il fiorellino.
- Comunque è una bella cosa - affermò Moscerino - ed è tutto mio.
Non aveva finito di parlare che, con un forte ronzio, arrivò in volo un grosso calabrone scendendo direttamente sul fiorellino.
- Rrr... Chi è venuto dal mio fiorellino? Rrr.... Chi ha bevuto il mio dolce nettare? Rrr... Ah, sei tu, Moscerino della malora. Vattene via prima che ti punga a dovere!
- Come vi permettete? - esclamò sommessamente Moscerino. - Questa è tutta roba mia...
- Rrr ... Appartiene tutto a me invece!
Moscerino se la dovette dare a gambe per sfuggire alla collera del calabrone. Si sedette sull'erba, si leccò le zampine appiccicose di nettare e si arrabbiò:
- Che brutalone quel calabrone! Sorprendente addirittura!
E voleva persino pungermi ... quando ogni cosa mi appartiene: il sole, l'erba, i fiorellini.
- Scusate, ma siete in errore, appartiene a me! — esclamò con voce compunta un vermiciattolo che strisciava lungo un filo d'erba. Moscerino si rese conto che il vermiciattolo non era in grado di volare e rispose con coraggio e dignità:
- Chiedo venia, ma siete voi a sbagliare ... Non vi impedisco di strisciare, però su questo punto non transigo!
- Va bene, va bene... Però, non toccate la mia erbetta, sapete, è una cosa che proprio non sopporto ... C'è tanta gente che vola ... e voi siete incostanti e leggeri, mentre noi vermi siamo tipi di grande serietà. Ad essere sinceri qui tutto appartiene a me. Adesso striscio su questa foglia e me la mangio, poi andrò da qualche altro fiorellino e mi mangerò anche quello. Arnvederci!
II
In poche ore Moscerino venne a sapere praticamente tutto: che oltre il sole, il cielo azzurro e l'erba verde ci sono pure i calabroni stizzosi, i vermi seri seri e che molti fiori hanno spine pungenti. Moscerino fu preso dalla costernazione, addirittura si senti offeso. Ma come, era sicuro che tutto gli appartenesse, che ogni cosa fosse stata creata proprio per lui ed invece anche gli altri avevano la stessa convinzione. Ah no, no e poi no!
Moscerino riprese il volo e vide uno specchio d'acqua.
- Almeno questo è mio! - esclamò con un gridolino di gioia.
L'acqua è mia! Come si sta bene qui, c'è l'erba, ci sono i fiori.
Gli andarono incontro altri moscerini.
- Ciao, fratellino!
- Salve, carini! Veramente mi era venuta a noia la solitudine. Cosa fate qua?
- Stiamo giocando, fratellino ... Vieni con noi. È cosi divertente. Sei nato da poco?
- Proprio oggi ... II calabrone per poco non mi ha punto, poi ho visto il vermiciattolo ... Pensavo che tutto fosse mio e invece mi hanno detto che apparteneva tutto a loro.
Gli altri moscerini calmarono il nostro eroe e lo invitarono a giocare con loro. I moscerini giocavano sull'acqua volando in cerchio, ronzando, sussurrando. Al nostro Moscerino il cuore batteva forte forte per la gioia e in breve dimenticò il cupo calabrone e il serio vermiciattolo.
- Oh, come si sta bene! - balbettava in preda all'eccitazione.
- È tutto mio, il sole, l'erba, l'acqua. Perché gli altri si irritano cosi? Proprio non lo capisco. E tutto mio, però io non do fastidio a nessuno: volate, ronzate, state allegri. Ve lo permetto con piacere...
Moscerino giocò a lungo, poi si fermò un momento a riposare. Ne aveva proprio bisogno. Guardava gli altri moscerini darsi alla pazza gioia quando, all'improvviso, in mezzo a loro piombò un passerotto.
Ahi, ahi! - gridarono i moscerini e si dettero alla fuga.
Quando iì passerotto riprese il volo una decina di moscerini era scomparsa.
- Oh, che brigante! - si accalorarono i vecchi moscerini.
- Ne ha mangiato una decina!
Altro che calabrone! Moscerino capi cosa fosse la paura e, insieme ai moscerini più giovani, si nascose nel folto dell'erba che circondava lo stagno. Ma i guai non erano finiti perché un pesce si mangiò due moscerini e un altro paio di essi finirono in bocca ad una ranocchia.
- Ma qui che succede! - esclamò stupefatto Moscerino.
- E una cosa che proprio non va ... Così non si può vivere. Ah, che tipi orribili!
Però di moscerini ce ne erano tanti, poi arrivarono quelli appena nati. Arrivarono e ronzarono.
- È tutto nostro ... è tutto nostro ...
- No, non è tutto nostro - gridò loro Moscerino. - Ci sono i calabroni stizziti, i vermiciattoli seri, i cattivi passerotti, i pesci e le ranocchie. State attenti, fratellini!
- Calò intanto la notte e tutti i moscerini si nascosero nel giuncheto dove c'era un buon tepore. Si accesero le stelle in cielo, s'alzò la luna a specchiarsi nell'acqua.
- Che bellezza!
- "La mia luna, le mie stelle" - pensò Moscerino, ma non lo disse a nessuno. Avevano potuto togliergli anche quello.
III.
- Cosi trascorse l'estate.
- Ci furono molti divertimenti ed anche tanti brutti incontri. Un paio di volte rischiò di finire nel becco di un uccelletto, se la dovette vedere con una ranocchia che si era fatta pericolosamen¬te vicina. Non sono pochi i nemici dei moscerini. C'erano state però anche delle gioie. Un giorno aveva incontrato una moscerina molto simpatica e le aveva detto:
- Come sei carina, non vorresti vivere con me?
- Da allora erano stati sempre insieme, dove volava lei volava lui. Non si accorsero neppure del trascorrere dell'estate. Incominciarono le piogge, le notti si fecero sempre più fredde. Insieme nascosero le uova nel folto dell'erba, poi Moscerino disse:
- Ah, come sono stanco!
Nessuno lo vide morire.
- In effetti non era morto, sì era soltanto addormentato in vista dell'inverno per svegliarsi a nuova vita in primavera.
Ultima modifica di Zarevich il 20 Gen 2019 10:52, modificato 7 volte in totale
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«DMITRIJ MAMIN-SIBIRJAK: SCRITTORE RUSSO»
«ДМИТРИЙ МАМИН-СИБИРЯК, РУССКИЙ ПИСАТЕЛЬ»
FIABA 3:
«FIABA DI ZANZAR ZANZARIN – NASO ACUTO E DI ORSO CODINO RICCIUTO»
«СКАЗКА ПРО КОМАРА КОМАРОВИЧА - ДЛИННЫЙ НОС И ПРО МОХНАТОГО МИШУ - КОРОТКИЙ ХВОСТ»
I.
Era proprio mezzogiorno quando tutte le zanzare si erano andate a rifugiare nella palude per il troppo caldo. Zanzar zanzarin-naso acuto si era addormentato all'ombra di una grande foglia, ma nel sonno senti un grido disperato:
- Ohi, ohi, aiutoooo!
Zanzar zanzarin saltò fuori con un urlo:
- Che succede? Perché gridate?
Ma le zanzare erano troppo occupate a ronzare e parlare per rispondere. Non si capiva un bel niente.
— Oh, amici! Un orso è venuto nella nostra palude per dormire. Si è sdraiato e ha schiacciato cinquecento zanzare, ha tirato un sospirone e ne ha inghiottito un altro centinaio. Che guaio, che guaio! A stento a stento siamo riusciti a scappare, se no di noi avrebbe fatto poltiglia...
Zanzar zanzarin andò in collera, se la prese con l'orso e con quelle stupide di zanzare che piagnucolavano atterrite.
- Smettetela! - ordinò con un urlo. - Adesso vado io e sbatto fuori l'orso... Senza tanto strepito. Voi, invece, vi sgolate senza costrutto...
Quando si levò in volo Zanzar zanzarin era veramente fuori di sé per la rabbia. In effetti un orso se ne stava sdraiato nella palude. Era andato a cacciarsi nell'erba più folta, là dove le zanzare abitavano da chissà quanto tempo, e tirava su col naso emettendo un fischio come se suonasse la tromba. Che bestiaccia incosciente! Era andato in casa d'altri, aveva ammazzato tante zanzare innocenti ed ora dormiva come se nulla fosse!
- Ehi, tu, cosa sei venuto a fare qui? - urlò Zanzar zanzarin con voce terrificante, tanto che si spaventò egli stesso. L'orso apri un occhio: non c'era nessuno; apri l'altro e vide appena appena una zanzara che volava intorno al suo naso.
- E tu che vuoi, amico? - brontolò l'orso già con una punta di stizza. - Non faccio in tempo ad accomodarmi come si deve che un mascalzone viene a ronzarmi sotto il naso.
- Dico a te, è meglio che te ne vada con le buone!
L'orso apri tutti e due gli occhi, sbuffò e se la prese a male.
- Ma insomma che vuoi, animaletto fastidioso?
- Tornatene da dove sei venuto, non sono in vena di scherzare... Altrimenti ti mangio con tutta la pelliccia.
All'orso venne da ridere. Si girò sull'altro fianco, si copri il muso con la zampa e si rimise a russare.
II.
Zanzar zanzarin ritornò dai suoi compagni e annunciò a tutta la palude:
- Gli ho messo una paura addosso! ... Certamente non si farà vedere una prossima volta. Le zanzare rimasero stupefatte.
- Ma adesso l'orso dov'è?
- Non Io so proprio... Gli è venuta una gran fifa quando gli ho detto che l'avrei divorato se non se ne fosse andato. Non sono tipo da scherzare, proprio cosi gli ho detto: ti mangio! Che non gli sia venuto un colpo per la paura quando l'ho lasciato per venire da voi... Comunque l'ha voluto lui!
Le zanzare si misero ronzare tutte insieme discutendo accanitamente sul da farsi con quell'orso ignorante. Nella palude non c'era mai stato una confusione simile. Dopo aver ronzato a volontà decisero di scacciare l'orso dalla palude.
- Che se ne torni nel bosco, a casa sua, che vada là adormire. La palude appartiene a noi. Ci abitavano già i nostri padri e i nostri nonni. Ci fu soltanto.una vecchina, la saggia Zanzarotta, a proporre di lasciare l'orso in pace; facesse pure la sua dormita tanto che se ne sarebbe andato da solo al risveglio. Però le dettero tutti cosi addosso che la poveretta fece appena in tempo a ritirarsi in buon ordine.
- Andiamo, amici! - urlava più di tutti Zanzar zanzarin. - Gliela faremo vedere noi... avanti!
Le zanzare si levarono in volo dietro Zanzar zanzarin. Volavano e ronzavano con tanta forza da averne esse stesse paura. Arrivarono sul posto e videro che Torso se ne stava sdraiato immobile.
- Eh, cosa vi avevo detto io? Il povero tapino è morto dallo spavento! - esclamò gongolante Zanzar zanzarin.- Ne ho quasi dispiacere, vedete che bestione ...
- Ma dorme, amici! - ronzò con la sua vocina una piccola zanzaretta che, arrivata a portata del naso dell'orso per poco non era stata aspirata dal mantice delle sue enormi narici.
- Ah, l'incosciente, il barbaro - proruppero tutte insieme le zanzare con un clamore assordante. - Ha ammazzato cinquecen¬to zanzare, cento ne ha ingoiate e dorme come se non fosse successo niente...
L'orso continuava a dormire fischiando col naso.
- Ma no, fa finta di dormire! - urlò Zanzar zanzarin volando verso l'orso. - Adesso gli faccio vedere io... Ehi, tu, smettila di far finta di dormire!
Zanzar zanzarin arrivò sull'orso e conficcò il suo nasino aguzzo nel grosso nasone nero dell'orso. L'orso sobbalzò e si dette una manata sul muso, ma Zanzarin era già volato via.
- Ah, non ti è piaciuto? - ronzò Zanzar zanzarin. - Vattene via che il peggio deve ancora venire... Adesso non sono più solo, con me c'è mio nonno Zanzarone lungo nasone e mio fratello minore Zanzarino lungo nasino. Vattene finché sei in tempo...
- Ed io non me ne vado! - tuonò l'orso sedendosi sulle zampe posteriori.
- Vi schiaccerò tutti quanti...
- Ohi, ohi, ti vanti a sproposito...
E Zanzar zanzarin arrivò in picchiata pungendolo all'occhio. L'orso urlò di dolore, si batte il muso con la zampa, ma invano, anzi, per poco non si cavava un occhio con gli unghioni. Zanzar zanzarin gli volava intorno ad un orecchio ronzando:
- Ti mangerò, ti mangerò...
III.
Una rabbia terribile sconvolse l'orso il quale strappò una betulla con le radici e incominciò a picchiare contro le zanzare. Dava colpi alla disperata, con tutta la forza, ma non ne ammazzò nemmeno una. Tirò su allora un grosso masso e lo lanciò contro di loro, ma senza risultato.
- Te la sei presa, eh? - ronzava Zanzar zanzarin.- Comunque ti divorerò lo stesso...
L'orso combattè una battaglia memorabile, breve o lunga che fosse, comunque il chiasso fu enorme. Da lontano si potevano sentire le disperate urla dell'orso. Quanti alberi sradicò, quanti massi scaraventò in aria! Avrebbe voluto afferrare per primo Zanzar zanzarin che gli stava sempre addosso, volandogli a filo d'orecchio. Ma dandosi delle gran zampate l'orso riuscì soltanto a graffiarsi il muso a sangue.
Alla fine l'orso rimase senza fiato. Si accasciò e pensò bene di rotolarsi sull'erba per schiacciare tutta quell'armata di zanzare. Rotolò in lungo e in largo, ma senza concludere niente, e alla fine fu più stanco di prima. Allora nascose il muso nel muschio. Peggio che mai! Le zanzare lo attaccarono alla coda. A quel punto l'orso si imbestialì completamente.
- Fermi, fermi, adesso vi faccio vedere io! ... - urlò con un singhiozzo che si senti ad un mìglio di distanza.—Vi faccio vedere uno scherzetto... io... io...
Le zanzare si fecero da parte per vedere cosa sarebbe successo. L'orso intanto si arrampicava come un acrobata su un albero fino a quando non si fu sistemato su un grosso ramo.
- Ed ora vi faccio a pezzettini!
Le zanzare scoppiarono in una risata e tutte insieme si lanciarono all'attacco. Ronzavano, gli giravano intorno, lo pungevano da tutte le parti. L'orso si difese come potè, per sbaglio ingoiò un centinaio di zanzare, gli venne un colpo di tosse, perse l'equilibrio e precipitò a terra come un sacco di patate. Si sollevò, si strofinò le costole ammaccate e borbottò:
- Ve l'ho fatta, eh? Avete visto come sono bravo a saltare dagli alberi?
Le zanzare risero ancor più convulsamente, mentre Zanzar zanzarin gli ronzava all'orecchio:
- Io ti divorerò, ti divorerò...
L'orso era arrivato allo stremo delle forze, senza fiato, ma aveva vergogna ad abbandonare la palude. Se ne stava seduto e sbatteva le palpebre.
A salvarlo da quella penosa situazione fu una ranocchia che, sbucata fuori dalla palude, gli dette un consiglio:
- Perché vi state tanto a preoccupare. Non vale la pena di prestare attenzione a queste zanzare da nulla!
- Avete ragione, non ne vale proprio la pena. È meglio che me ne vada nella mia tana. Se vogliono, vengano là che io...
E l'orso voltò le terga lasciando la palude quasi di corsa. E Zanzar zanzarin gli volava sempre dietro gridando:
- Amici, fermatelo! L'orso se la da a gambe. Fermatelo! ...
Ma le zanzare decisero che non ne valeva la pena. Se ne
andasse pure dalla palude, lo scopo era raggiunto!
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«DMITRIJ MAMIN-SIBIRJAK: SCRITTORE RUSSO»
«ДМИТРИЙ МАМИН-СИБИРЯК, РУССКИЙ ПИСАТЕЛЬ»
FIABA 4:
«L’ONOMASTICO DI IVAN» «ВАНЬКИНЫ ИМЕНИНЫ»
Avanti col tamburo, ta-ta-ra-tà! Ed ora le trombette, tu-tu-ru-tù! Facciamo una bella musica, oggi è l'onomastico di Ivan! Cari ospiti, siate tutti i benvenuti. Di qua, di qua! Ta-ta-ra-tà! Tu-tu-ru-tù !
Ivan andava su e giù in camiciola rossa e mormorava:
- Benvenuti, amici ... Ci son tante cose buone. Una zuppa di trucioli appena colti, polpettine di sabbia di primissima qualità, pasticcini di carta colorata e poi, che té! Della migliore acqua bollita. Benvenuti! Ed ora, musica! Ta-ta-ra-tà! Tu-tu-ru-tù!
In breve la stanza fu piena di ospiti. La prima ad entrare fu la Trottola panciuta.
- Zsi, zsi... zsi... dov'è il festeggiato? Zsi... zsi... mi piace tanto passare una serata in allegria e in una buona compagnia...
Vennero due bambole, una, dagli occhi azzurri, Anna, aveva il nasino un po' rovinato, l'altra, dagli occhi neri, Katja, le mancava soltanto un braccino. Fecero un’entrata molto dignitosa e si accomodarono con grazia su un minuscolo divano.
- Vediamo un po' che rinfresco ci sarà - disse Anna. — Ivan si vanta un po' troppo. Come musica non c'è male, ma ho i miei dubbi sulla qualità del rinfresco.
- Anna, non ti va mai bene niente - la rimproverò Katja.
- E tu, invece, vuoi sempre discutere.
Le bambole per l'appunto discussero un po' ed erano quasi sul punto di litigare, quando, saltellando su una gamba sola, entrò il vecchio Clown e ristabilì tra loro la pace:
- Sarà proprio una bella festa, signorina! Ci divertiremo un mondo. Certo, mi manca una gamba, ma guardate cosa riesce a fare Trottola con una gamba sola. Salute, Trottola...
- Zsi... Salve! Mi sembra che tu abbia un occhio un po' ammaccato!
- Sciocchezze... Sono caduto dal divano. Capita anche di peggio.
- Eccome, capitano di quelle cose! A volte a tutta velocità sbatto la testa contro il muro!
- Meno male che è vuota...
- Però fa male lo stesso... Se vuoi saperlo fa la prova tu stesso.
Per tutta risposta Clown dette un colpo coi piatti e si allontanò. Era una persona alquanto leggera.
Arrivò Petruska, seguito da tutto un gruppo di invitati: la moglie Matrjona Ivanovna, Karl il dottore tedesco e Zingaro, il quale a swa volta si era trascinato dietro un cavallino a tre zampe.
- Ivan, fa gli onori di casa! - esclamò allegramente Petruska dandosi un buffetto sul naso. - Gli invitati sono uno meglio dell'altro. Basta guardare mia moglie! Le piace molto il té, come l'acqua ad un’ anitra.
- Ci sarà il te, signor Petruska - rispose Ivan. – Siamo contenti dì accogliere chiunque. Accomodatevi, Matrjona Ivanov¬na. Dottor Karl, prego...
Vennero anche Orso e Leprotto, Capretto grigio e Paperina chiacchierina, Galletto e Lupo.
Per ultimi arrivarono Pantofolina e Scopetta. A sedere però non c'era posto per tutti e Scopetta disse:
- Non fa niente, me ne starò in un angolino...
Pantofolina non disse niente e in silenzio andò a rifugiarsi
sotto il divano. Era una Pantofolina come si deve benché un po' sciupata, addirittura in punta c'era un buchetto. Però sotto il divano nessuno avrebbe visto niente.
- Musica! - comandò Ivan.
Attaccò a suonare il tamburo: ta-ta-ra-tà! Fecero eco le trombette: tu-tu-ru-tù!
E tutti gli invitati d'improvviso furono presi dall'allegria.
II
La festa era incominciata proprio bene. Il tamburo suovana per conto suo e cosi pure le trombette, girava vorticosamente Trottola, risuonavano i piatti di Clown, Petruska gridava a squarciagola. Era veramente un bel divertimento!
- Avanti, amici, divertitevi! - esortava di tanto in tanto Ivan accarezzandosi i capelli biondi.
Anna e Katja ridevano con le loro vocette sottili, con la solita goffagine Orso ballava con Scopetta, Capretto grigio si accompagnava a Paperina, Clown faceva capriole dimostrando tutta la sua arte, quando il dottor Karl chiese a Matrjona Ivanovna:
- Matrjona Ivanovna, state bene, non vi fa male il pan¬ cino?
- Ma che vi viene in mente?...
- Su, fatemi vedere la lingua.
- Smettetela, per favore...
- Sono qua... - disse con la vocetta sottile Cucchiaino d'argento, quello con cui mangi la tua pappa.
Finora Cucchiaino se ne era stato tranquillo sul tavolo, ma appena aveva sentito parlare di lingue subito era saltato su ad offrire i suoi servizi; perché il medico col suo aiuto esamina la gola della figlioletta...
- Ma vi dico di no... - squitti Matrjona Ivanovna, agitando curiosamente le mani, come un mulino a vento.
- Se le cose stanno cosi, bene, io non impongo a nessuno la mia opera - disse Cucchiaino offeso.
Pensava addirittura di arrabbiarsi sul serio, ma in quel momento accorse Trottola con una giravolta e si misero a ballare. Trottola ronzava, Cucchiaino emetteva un suono argenti¬no... Anche Pantofolina non riusci a starsene ferma e usci da sotto il divano per sussurrare a Scopetta:
- Ti voglio tanto bene...
Scopetta socchiuse gli occhi per la contentezza perché le piaceva tanto quando le volevano bene.
Lei era sempre così modesta, non si dava mai delle arie, come fanno spesso gli altri, per esempio Matrjona Ivanovna o Anna e Katja. Queste care bamboline ridevano sempre dei difetti altrui: Clown ha una gamba sola, Petruska ha il naso lungo, il dottor Karl è calvo, Zingaro sembra un tizzone e ancora peggio dicevano del padrone di casa:
- E un po' cafoncello - diceva Katja.
- Inoltre si da tante di quelle arie - aggiungeva Anna.
Dopo essersi divertiti a sazietà si accomodarono a tavola e
incominciò un vero e proprio banchetto, come è di regola nei compleanni. Ci furono però alcuni equivoci. Per errore Orso per poco non fece di Leprotto un boccone solo, avendolo scambiato per una polpetta; Trottola stava quasi per litigare con Zingaro per via di Cucchiaino perché Zingaro infatti se l'era già messo in tasca; Petruska ebbe una lite con la moglie per delle sciocchezze.
- Matrjona Ivanovna, calmatevi - esortava il dottor Karl. - Petruska è un brav'uomo. Forse avete mal di testa? Ho delle ottime polverine...
- Lasciatela in pace, dottore - diceva Petruska. È proprio una donna impossibile... però le voglio bene lo stesso. Matrjona, facciamo la pace, dammi un bacio...
- Urrah! - gridò Ivan. - Cosi va meglio, molto meglio che litigare. Non sopporto quando la gente litiga. Ecco guardate!
A questo punto successe una cosa improvvisa, terribile da vedere e orribile da dirsi.
Suonava iì tamburo: ta-ta~ra-tà! Suonavano le trombette: tu-tu-ru-tù! Risuonavano i piatti di Clown, con la sua vocetta argentina rideva Cucchiaino, ronzava Trottola, Leprotto, tutto allegro, gridava: bo-bo-bo!... Cagnolino di porcellana abbaiava, Gattino di gomma miagolava dolcemente, mentre Orso batteva il tempo con la zampa con tanta forza da far tremare il pavimento. Il più allegro era Capretto grigio, prima di tutto perché danzava meglio degli altri e poi perché scuoteva cosi comicamente la sua barbetta lanciando il suo bee, bee, bee!
III
Ma come era successo? Adesso è difficile ricostruire tutto con ordine perché fra tutti soltanto Pantofolìna ricordava come erano andate realmente le cose. Era molto saggia ed era riuscita a nascondersi in tempo sotto il divano.
Ecco come era andata. Prima erano venuti i cubetti a fare gli auguri. No, questo non c'entra. I cubetti sì erano venuti, ma la colpa era stata di Katja dagli occhi neri. Era stata proprio lei! Alla fine del pranzo con tono intrigante aveva sussurrato ad Anna:
- Che ne dici, Anna, chi è il più bello fra tutti?
Una domanda a prima vista innocente, invece Matrjona Ivanovna se la prese a male e disse a Katja:
- Volete forse dire che il mio Petruska sia un mostro?
- Non lo pensa nessuno, Matrjona Ivanovna - tentò di scusarsi Katja, ma era troppo tardi.
- Certo, ha un naso piuttosto lungo - continuò Matrjona Ivanovna. - Però lo si vede solo a guardarlo di profilo. Sì, ha la brutta abitudine di strillare, è litigioso, ma è pur sempre una brava persona. Per quanto poi riguarda l'intelligenza...
Le bambole incominciarono a discutere con tanto ardore da attirare l'attenzione generale. Si intromise ovviamente Petruska che strillò:
- Dice bene Matrjona Ivanovna... E ovvio che il più bello sono io!
Tutti gli altri uomini si offesero. Che presuntuoso questo Petruska. Non si può nemmeno starlo a sentire.
Clown, che non era un campione di eloquenza, preferì starsene zitto, al contrario del dottor Karl che invece esclamò a voce alta:
- Allora vuoi dire che siamo tutti dei mostri? Congratulazio¬ni, signori!
Si levò un clamore indescrivibile. Zingaro gridava qualcosa nella sua lingua, Orso ruggiva, Lupo ululava, gridava Capretto, Trottola ronzava, si erano offesi tutti quanti.
- Signori, finitela! - tentava di calmarli Ivan. - Non fate caso alle parole di Petruska. Avrà voluto scherzare.
Ma era fatica sprecata. II dottor Karl era agitatissimo. Batteva ogni tanto il pugno sul tavolo e gridava:
- Signori, che ospitalità! Ci hanno invitati solo per dirci che eravamo dei mostri...
- Signore e signori! - tentava di farsi sentire Ivan al di sopra degli urli. - Se le cose stanno proprio cosi, devo dirvi che qui l'unico mostro sono io... Contenti adesso? Poi, cosa successe dopo? Ah, adesso ricordo. Il dottor Karl ormai aveva perso la trebisonda e avanzava verso Petruska minacciandolo con il dito e ripetendo:
- Se l'educazione non me lo impedisse e non sapessi comportarmi in società, vi direi, caro Petruska, che siete veramente un imbecille. Conoscendo il carattere litigioso di Petruska Ivan pensò di intromettersi tra i due, ma cosi facendo urtò nel lungo naso di Petruska il quale pensò che a colpirlo fosse stato il dottore. E qui scoppiò una vera e propria rissa. Petruska agguantò il dottore, Zingaro che se ne stava in disparte si mise senza ragione a picchiare Clown, con un ruggito Orso si lanciò su Lupo, Trottola picchiava Capretto con la sua testa vuota. Era una mischia con i fiocchi. Le bambole si misero a strillare con le loro vocette sottili e pensarono bene di svenire.
- Oh, vengo meno! - gridò Matrjona Ivanovna cadendo dal divano.
- Signori, ma che succede! - gridava Ivan. - Signori, in fin dei conti si tratta del mio compleanno. Non sta bene! Non è cortese!...
Si trattava ormai di una rissa in piena regola tanto che non si riusciva a capire chi picchiava e chi veniva picchiato. Dopo aver cercato invano di dividere i contendenti Ivan si mise a picchiare pure lui tutti coloro che gli capitavano sotto mano e, dato che era il più forte, gli ospiti se la videro brutta.
- Aiuto!!! Aiuto, fratelli! - urlava più di tutti Petruska colpendo il dottore più forte che poteva. - Petruska è morto ammazzato... Aiuto!
Dalla mischia si era salvata soltanto Pantofolina che per tempo era riuscita a nascondersi sotto il divano. Aveva chiuso gli occhi per la paura quando senti Leprotto che si riparava dentro di lei.
- Ma tu dove ti ficchi? - borbottò Pantofolina.
- Sta zitta, se no le prendiamo tutti e due - la supplicò Leprotto spiando dal buco che c'era sulla punta di Pantofolaia - Che brigante è Petruska! Sta pestando tutti gli altri e grida a più non posso. Veramente un ospite a modo... Sono scappato per un pelo da Lupo. A pensarci, tremo tutto... Paperina sta già a gambe all'aria. È morta poverina...
- Come sei stupidino, Leprotto. Tutte le bambole sono svenute e Paperina lo stesso. La rissa durò a lungo, fino a quando Ivan non cacciò tutti quanti, ad eccezione delle bambole. Da parecchio Matrjona Ivanovna si era seccata di starsene sdraiata e perciò spalancò un occhio chiedendo:
- Signori, dove sono? Dottore, guardi un po' se sono viva.
Nessuno le rispose e Matrjona Ivanovna aprì anche l'altro occhio. Nella stanza non c'era nessuno, Ivan stava nel mezzo osservando stupefatto il campo di battaglia. Si ripresero Anna e Katja e si stupirono pure loro.
- Che cosa terribile! - disse Katja. - Veramente un ottimo padrone dì casa, non c'è che dire!
Le bambole concordi se la presero con Ivan che non sapeva veramente cosa rispondere. In effetti era stato picchiato e lui pure aveva picchiato gli altri, ma per qual motivo? Non lo sapeva.
- Non riesco proprio a capire come sia accaduto – diceva sconsolato. - Mi dispiace tanto perché voglio bene a tutti io.
- Invece lo capiamo noi - esclamarono da sotto il divano Pantofolina e Leprotto. - Noi abbiamo visto tutto!
- Allora siete voi i colpevoli - li accusò Matrjona Ivanov¬na. - Certo, che siete voi... Prima avete aizzato la gente e poi vi siete nascosti.
- Sono loro, sono loro - gridarono all'unisono Anna e Katja.
- A, è così che stanno le cose! - si rallegrò Ivan. - Allora via di qua, briganti... Andate a trovare la gente solo per mettere zizzania.
Pantofolina e Leprotto fecero appena in tempo a salvarsi gettandosi per la finestra.
- Che gente c'è al mondo! Vi faccio vedere io! - minacciò Matrjona Ivanovna con la mano. — Qui c'è Paperina che può confermare.
- Sì, sì... - disse Paperina. - Li ho visti con i miei occhi mentre si nascondevano sotto il divano. Paperina era sempre d'accordo con tutto e con tutti.
- Bisogna far tornare gli ospiti... - aggiunse Katja. - Possiamo ancora divertirci...
Gli ospiti tornarono volentieri. Chi aveva un occhio pesto, chi zoppicava. I danni maggiori Petruska li aveva subiti al lungo naso.
- Ah, che briganti - ripeterono tutti quanti ingiuriando Pantofolina e Leprotto. - Chi l'avrebbe mai detto?
- Ah, come sono stanco! Ho le braccia piene di lividi! - silamentava Ivan. — Però io non serbo rancore, su, musica! Di nuovo attaccò il tamburo: ta-ta-ra-tà! Squillarono le trombe: tu-tu-ru-tù!... Petruska urlò a squarciagola:
- Urrah per Ivan!
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«FIABE PER LA MIA BAMBINA» di Dmitrij Màmin-Sibirjak
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FIABA 5:
«FAVOLA DI PASSEROTTINO, LASCHETTO E DELL’ALLEGRO JASCIA SPAZZACAMINO»
«СКАЗКА ПРО ВОРОБЬЯ ВОРОБЕИЧА, ЕРША ЕРШОВИЧА И ТРУБОЧИСТА ЯШУ»
Passerottino e Laschetto erano grandi amici. In estate ogni giorno Passerottino volava al fiume e gridava:
- Ehi, amico, salve! Come va?
- Non c'è male! - rispondeva Laschetto. - Vieni a startene un pochino da me.
In fondo al fiume si sta veramente bene. L'acqua è tranquilla e ci sono tante buone alghe saporite. Ti offrirò caviale di ranocchio, vermiciattoli, mosche d'acqua.
- Grazie tante! Con vero piacere verrei da te, però ho paura dell'acqua. Meglio che tu venga da me sul tetto. Ti offrirò tante belle bacche, ho tutto un giardino a disposizione, poi troveremo una crosta di pane, un po' di avena, dello zucchero, una zanzara ancora viva. A te lo zucchero piace?
- Com'è?
- Tutto bianco...
- Come i sassolini del fiume?
- In un certo senso, però quando lo prendi in bocca senti quanto è dolce. I sassolini invece non si possono mangiare. Voliamo insieme sul tetto?
- No, non so volare e poi fuori dall'acqua non riesco a respirare. Mettiamoci a nuotare tutti e due insieme. Ti faccio vedere...
Passerottino aveva provato ad entrare nel fiume, era arrivato con l'acqua ai ginocchi e si era ritirato spaventato. Si poteva annegare! Passerottino beveva l'acqua limpida del fiume, nei giorni più caldi faceva il bagno vicino alla riva, si puliva le penne e ritornava al suo tetto. Comunque stavano bene insieme e chiacchieravano del più e del meno.
- Ma non ti viene noia a startene sempre a mollo? - spesso si stupiva Passerottino. - L'acqua è bagnata, puoi prendere un raffreddore.
Laschetto si meravigliava a sentire queste parole:
- E a te non viene noia a volare? Al sole fa caldo, si rimane senza fiato. Da me invece c'è sempre un bel fresco. Si può nuotare quanto si vuole. Non per nulla in estate vengono tutti quanti a fare il bagno da me. Da te invece, sul tetto, chi ci viene?
- E come ci vengono! Io ho un grande amico, Jascia spazzacamino. Viene sempre a trovarmi. È un tipo allegro, canta tante canzoni. Pulisce le canne e canta. Quando ha finito si siede a riposare, trae di tasca un pezzo di pane e mangia, mentre io raccolgo le briciole. Stiamo insieme molto bene, anche a me piace divertirmi.
I nostri due amici si trovavano ad affrontare quasi sempre le stesse difficoltà. In inverno per esempio il povero Passerottino soffriva moltissimo il freddo. E che giorni gelidi capitavano! Sembrava che anche l'anima si congelasse. Passerottino arruffava le penne, nascondeva le zampette e aspettava. Per scampare al freddo c'era solo la possibilità di rifugiarsi nella canna del cammino per riscaldarsi. Ma era una cosa rischiosa.
Un giorno Passerottino per poco non mori proprio per mano del suo migliore amico, lo spazzacamino. Jascia, come al solito, aveva lasciato cadere nella canna la sua grossa boccia di ferro non sapendo che Passerottino se ne stava li a riscaldarsi. Scansata la morte per un pelo, Passerottino era schizzato fuori tutto sporco di nerofumo urlando:
- Ma che stai facendo, Jascia? Per poco non mi ammazzavi!
- E come potevo sapere che te ne stavi li dentro?
- Sta più attento la prossima volta... Se io ti colpissi con una boccia di ferro mica saresti contento!
Pure Laschetto d'inverno non se la cavava tanto bene. Scendeva sul fondo del fiume e in una gora sonnecchiava per giornate intere. Di tanto in tanto quando lo chiamava Passerottino saliva in superficie e si affacciava ad un buco aperto nel ghiaccio. Passerottino andava a bere e chiamava:
- Ehi, Laschetto, come te la passi?
- Si vivacchia... - rispondeva Laschetto con la voce impastata di sonno. - Ho voglia di dormire, comunque va abbastanza male, qui dormono tutti.
- Anche da noi non va meglio, amico. Che fare? Dobbiamo avere pazienza. A volte capita un vento crudele! Altro che sonno, non si riesce a chiudere occhio. Per riscaldarmi un po' non faccio che saltellare su una zampetta. La gente invece guarda e dice: "Guarda, che passerotto allegro!" C'è solo da aspettare il caldo. Ma tu mi senti?
Ma nemmeno d'estate finivano i guai. Una volta un falco insegui Passerottino per un paio di chilometri, ed egli solo all'ultimo momento riuscì a nascondersi tra le erbe del fiume.
- A stento a stento ce l'ho fatta! - esclamò Passerottino, quando riusci a riprendere fiato. - Che brigante, stava proprio per agguantarmi e allora - addio Passerottino!
- E come con il nostro luccio - disse Laschetto per fargli coraggio. - Anch'io tempo fa per poco non gli sono finito in gola. Si è gettato su di me come un lampo. Io nuotavo insieme agli altri pesciolini e pensavo che si trattasse di un ramo d'albero quando ho visto che mi scagliava addosso. Ma cosa ci stiano a fare i lucci al mondo non lo capisco proprio.
- Anch'io... Sai mi sembra che il falco prima doveva essere un luccio e che il luccio fosse un falco. Non c'è che dire, due briganti.
II
Se la passavano cosi, Passerottino e Laschetto, gelavano in inverno ed erano contenti in estate; l'allegro spazzacamino puliva i camini e canticchiava. Ognuno aveva il suo daffare, conosceva gioie e dolori.
Un giorno d'estate lo spazzacamino, finito il suo lavoro, andò al fiume a togliersi di dosso la fuliggine. Camminava fischiettando quando ad un tratto senti un chiasso terribile. Cos'era successo? Sul fiume erano convenuti a raccolta tanti uccelli, oche, anitre, rondinelle, corvi e colombi. Gridavano, strepitavano, ridacchiavano e non si capiva un bel nulla.
- Ehi, ma cosa è successo? - gridò lo spazzacamino.
- Vedi un po' tu cos'è successo - trillò una vivace cinciallegra. - È così ridicolo, così ridicolo! Guarda, cosa fa il nostro Passerottino! Sembra uscito dì senno.
La cinciallegra se ne usci con una risatina argentina, agitò la coda e si levò in volo al di sopra del fiume.
Quando lo spazzacamino arrivò alla riva, Passerottino gli si precipitò addosso. Era veramente terribile: il becco spalancato, gli occhi accesi, le penne irte.
- Ehi, Passerottino, cosa ti succede, perché fai tutto questo chiasso?
- Eh, no! Non finisce così, gliela faccio vedere io! – urlò Passerottino fuori di sé dalla rabbia. - Non sa ancora con chi ha a che fare... Glielo faccio vedere io a quel maledetto Laschetto! Si ricorderà di me, quel brigante!
- Non gli dar retta! - gridò dal fiume Laschetto. – Sono tutte bugie...
- Io dico bugie? - urlò Passerottino. - E chi ha trovato il verme? Io dico bugie! Un verme cosi bello, grasso! L'avevo preso sulla riva dopo aver scavato con tanta fatica. L'avevo preso e me ne tornavo a casa, perché anch'io ho famiglia e devo portarle da mangiare. Avevo appena incominciato a volare sul fiume quando Laschetto, che il luccio lo ingoi, mi grida: "Attento al falco!" Io per
la paura do un grido, il verme precipita in acqua e Laschetto se lo ingoia. Questo significa dire bugie? Tanto più che non c'era nessun falco.
- Era uno scherzo - disse per giustificarsi Laschetto. – Però il verme era veramente saporito.
Intorno a Laschetto si erano radunati tutti i pesci del vicinato che ridevano a crepapelle. Era stato veramente uno scherzo con i fiocchi, quello di Laschetto, che si era preso gioco del suo vecchio amico. E come era stato ridicolo Passerottino, quando aveva voluto scendere in lizza con Laschetto. Scendeva in picchiata, si abbassava a pelo d'acqua senza poter mai afferrare un bel niente.
- Ingozzati con il mio vermiciattolo! - gridava Passerottino. - Io ne troverò un altro. Me la prendo a male perché Laschetto mi ha ingannato e per giunta si burla di me. E dire che io l'ho invitato a venire con me sul tetto... Veramente UP amico, non c'è che dire!
Adesso che ci dica la sua Jascia spazzacamino. Lui è un mio amico e noi addirittura mangiamo insieme, cioè lui mangia e io raccolgo le briciole.
- Calma, amici, qui bisogna capire come sono andate le cose - ammonì lo spazzacamino. - Fatemi prima lavare e poi giudicherò in piena coscienza. Tu, Passerottino, calmati intanto.
- La ragione è dalla mia, non ho da preoccuparmi! - gridava Passerottino. - Voglio solo far vedere a Laschetto che non può farmi impunemente questi scherzetti.
Lo spazzacamino si inginocchiò sulla riva, mise accanto a se il fagottino con la colazione, si lavò le mani e la faccia e meo minciò:
- E adesso iniziamo il processo... Tu, Laschetto, sei un peste e tu, Passerottino, un uccello. Dico bene?
- Sì! sì! - gridarono in corso i pesci e gli uccelli.
- Allora andiamo avanti! Il pesce deve vivere in acqua e l'uccello nell'aria. Dico bene? Allora... il verme invece vive nella terra. Bene, adesso guardate...
Lo spazzacamino apri il suo involtino, depose su una pietra un pezzo di pane di segala, che costituiva tutto il suo pranzo, e continuò:
- Che cos'è questo? E un pezzo di pane. Io me lo sono guadagnato ed io me lo mangio, inoltre ci bevo sopra un po' d'acqua. È cosi? Vuoi dire che io mangio e non faccio male a nessuno. Anche gli uccelli e i pesci vogliono mangiare. Ognuno di voi ha il suo cibo, quindi perché litigare? Passerottino ha scavato e ha trovato il suo verme, quindi se l'è guadagnato e il verme era suo...
- Un momento, un momento... - nella folla dei volatili si levò una vocina sottile sottile.
Gli uccelli si fecero da parte e un fringuello dalle zampette esili si fece avanti.
- Sapete, non è affatto vero.
- Cos'è che non è vero?
- Sì, perché il vermiciattolo l'avevo trovato io. Domandate alle anitre che hanno visto tutto. L'avevo trovato io e Passerottino me l'ha rubato.
Lo spazzacamino si senti a disagio, era veramente un colpo di scena.
- Come? - borbottò. - Vuoi dire che tu, Passerottino, ci hai ingannato tutti quanti?
- Io dico la verità, è lì Fringuello che dice bugie. Si è messo d'accordo con le anitre.
- C'è qualcosa che non quadra, eh, sì! Certo che un vermiciattolo non è così importante, però rubare non sta bene. E chi ruba dice sempre bugie. Dico bene?
- Giusto, giusto! - gridarono in coro tutti quanti.- Però tu dicci chi ha ragione, Laschetto o Passerottino? Tutti e due hanno fatto chiasso, hanno litigato e hanno messo gli altri in subbuglio.
- Chi ha ragione fra loro due? Siete entrambi dei monellacci, tu Laschetto e tu Passerottino, ed io vi punirò per dare l'esempio. E adesso fate subito la pace, immediatamente!
- Giusto, giusto - gridarono di nuovo tutti in coro. – Che facciano la pace...
- E a Fringuello poverino che ha lavorato per trovare il suo vermiciattolo io gli darò tante bricioline - decise lo spazzacami¬no e così saranno tutti contenti.
- Benissimo! - gridarono gli altri.
Lo spazzacamino si volse a prendere il pane, ma questo era scomparso.
Mentre lo spazzacamino parlava Passerottino lo aveva trafugato.
- Ohi, birbante! - si indignarono i pesci e gli uccelli.
E si lanciarono a rincorrere il ladro. Il tozzo di pane era pesante e Passerottino non si era potuto allontanare di molto. Lo raggiunsero proprio al di sopra del fiume. Uccelli piccoli e grandi si gettarono sul ladruncolo.
Ci fu una vera e propria rissa. Volavano i colpi di becco, si spargevano le briciole ed infine il pane cadde in acqua. La battaglia continuò nel fiume tra i pesci e gli uccelli. Fecero a pezzettini il pane e lo divorarono fino a quando non rimase più nemmeno una briciola. Soltanto allora i contendenti ritornarono in sé ed ebbero vergogna. Avevano rincorso il ladro ed avevano divorato la refurtiva.
L'allegro spazzacamino rimasto in riva al fiume se la rideva di gusto. Erano scappati tutti, soltanto Fringuello era rimasto.
- Perché non sei volato con gli altri?
- Ci sarei andato, ma sono troppo piccolo, gli uccelli grandi mi avrebbero preso a beccate.
- Ma, meglio così, Fringuellino. Siamo rimasti tutti e due senza mangiare. Vuoi dire che non abbiamo lavorato abbastanza...
Quando Aljonushka arrivò al fiume e sentì cos'era successo rise di cuore.
- Eh, come sono stupidi tutti quanti, i pesci e gli uccellini. Al posto loro io avrei diviso tutto equamente, il vermiciattolo e il pane, e nessuno avrebbe litigato. Poco tempo fa ho diviso quattro mele. Viene papa e mi dice: "Ecco quattro mele, dividile in parti uguali con me e Lisa". Ed io ho fatto tre porzioni: una mela a papa, una a Lisa e due a me.
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Dmitrij Mamin-Sibirjak «FAVOLA DI PASSEROTTINO, LASCHETTO E DELL’ALLEGRO JASCIA SPAZZACAMINO» |
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Dmitrij Mamin-Sibirjak «FAVOLA DI PASSEROTTINO, LASCHETTO E DELL’ALLEGRO JASCIA SPAZZACAMINO» |
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«FIABE PER LA MIA BAMBINA» di Dmitrij Màmin-Sibirjak
«DMITRIJ MAMIN-SIBIRJAK: SCRITTORE RUSSO»
«ДМИТРИЙ МАМИН-СИБИРЯК, РУССКИЙ ПИСАТЕЛЬ»
FIABA 6:
Vorrei continuare a pubblicare le fiabe dal libro di Dmitrij Mamin-Sibirjak «Fiabe per la mia bambina». La seguente fiaba dalla raccolta si chiama:
«FAVOLA DELL’ULTIMA MOSCA» «СКАЗКА О ТОМ, КАК ЖИЛА-БЫЛА ПОСЛЕДНЯЯ МУХА»
I.
Come si stava bene in estate! Che allegria! È addirittura difficile raccontare tutto con ordine… Le mosche erano tante, migliaia. Volavano, ronzavano, si davano alla pazza gioia. Quando venne alla luce, la piccola Mosca stirò le ali e fu presa dalla gioia. Divenne cosi allegra da non dirsi. Era contenta di tutto e ancor di più le piaceva quando al mattino venivano aperte tutte le finestre e le porte che davano sulla terrazza, cosi poteva andare dove voleva.
“Che brava creatura è l’uomo” — pensava con stupore la piccola Mosca volando da una finestra all’altra. — “Hanno fatto le finestre per noi e apposta per noi le aprono. E una cosa molto buona e per di più divertente…”
Mille volte al giorno volava in giardino, si fermava sull’erba verde, ammirava i delicati fiorellini di lillà, le foglioline dei tigli, i fiori nelle aiuole. Il giardiniere, che le era ancora sconosciuto, se ne era preoccupato in tempo utile. Che brava persona il giardiniere! Lei non era ancora nata e già il giardiniere aveva preparato tutto ciò che poteva servirle. La cosa era tanto più stupefacente perché il giardiniere non sapeva volare e addirittu¬ra, a volte, camminava con fatica, barcollava, mormorava parole incoerenti.
— Da dove vengono queste mosche maledette? — borbottava il buon giardiniere.
Probabilmente diceva così per l’invidia, perché sapeva soltanto zappettare le aiuole, piantare i fiori, innaffiarli, ma non sapeva volare. La piccola Mosca gli ronzava apposta sotto il naso rosso dandogli un tremendo fastidio.
Anche gli altri erano molto buoni, si preoccupavano sempre di far piacere alle mosche. Aljonushka, per esempio, al mattino beveva il latte, mangiava un panino e poi chiedeva a zia Olga lo zucchero e lo faceva soltanto per lasciare alle mosche alcune gocce di latte versato, ma più di tutto, delle briciole di pane e di zucchero. Cosa può esserci di meglio di queste briciole dopo aver volato per tutta la mattina e quando si ha appetito? Inoltre la cuoca era addirittura più buona di Aljonushka. Appositamente per le mosche ogni giorno andava al mercato e portava delle cose stupendamente gustose: carne, pesce, panna, burro. Era veramente la donna più buona della casa. Sapeva perfettamente «osa preferivano le mosche, benché nemmeno lei sapesse volare, come il giardiniere. Una donna di cuore.
E zia Olga? Questa donna meravigliosa sembrava che vivesse soltanto per le mosche. Con le sue mani ogni mattino spalancava le finestre perché le mosche potessero volare con comodo e quando pioveva о faceva freddo le chiudeva perché le mosche noti si bagnassero о prendessero il raffreddore. Quando la zia aveva notato che alle mosche piaceva moltissimo lo zucchero e le bacche si era messa a fare marmellate ogni giorno. Le mosche ovviamente avevano subito capito il motivo di quel lavoro e per riconoscenza andavano addirittura nella bacinella della marmellata. Pure ad Aljonushka piaceva la marmellata, però a lei zia Olga dava soltanto un paio di cucchiaiate proprio per non dispiacere alle mosche.
Visto che le mosche non avrebbero potuto mangiare tutto in una volta sola, la zia Olga conservava la marmellata in barattoli di vetro (perché non la mangiassero i topi ai quali la marmellata non spetta di sicuro) e poi la distribuiva ogni giorno alle mosche, insieme con il tè.
Oh, come sono tutti buoni e gentili! — diceva con ammirazione la piccola Mosca svolazzando da una finestra all’altra.— Non è affatto male che gli uomini non sappiano volare, atinimenti si trasformerebbero in grosse mosche golose e probabilmente mangerebbero tutto loro! Oh, come è bello stare al mondo!
Però gli uomini non sono cosi bonaccioni come ti sembra — fece notare una Mosca anziana alquanto brontolona. — E soltanto la prima impressione. Hai notato la persona che viene chiamata papà?
Oh, sì… E un signore molto strano. Avete assolutamente ragione, mia buona e anziana Mosca… Per quale motivo fuma la pipa quando sa benissimo che io, per esempio, non sopporto affatto il fumo? Mi sembra che lo faccia apposta… Inoltre non la proprio nulla per noi mosche. Una volta ho provato rinchiusilo col quale scrive in continuazione e per poco non sono moria. È una cosa indegna! Con i miei occhi ho visto affogare nell’inchiostro due mosche così carine, ma ancora troppo ingenue. Che visione terribile quando con la penna ne ha tirato fuori una. facendo sulla carta una macchia enorme. E immaginate che ha avuto il coraggio di prendersela con noi! Dov’è la giustizia a questo mondo?
— Penso anch’io che questo papà non abbia alcun senso di giustizia, benché un pregio ce l’abbia… — rispose la Mosca anziana ed esperta. — Dopo pranzo beve la birra, una abitudine tutt’altro in malvagia. Devo riconoscere che anche a me piace la birra sebbene mi faccia girare la testa. Che fare? Si tratta di un binilo vizio!
— Pure a me piace la birra — riconobbe la giovane Mosca arrossendo un poco. — Divento cosi allegra, così allegra, ma il giorno dopo mi fa un po’ male la testa. Può darsi che il papa non faccia niente per le mosche proprio perché non mangia la marmellata e mette lo zucchero soltanto nel tè. Secondo me non ci può attendere nulla di buono da uno che non mangia la marmellata. Non gli resta che fumare la sua pipa.
Le mosche conoscevano gli uomini alla perfezione, ben» he li giudicassero a modo loro.
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«FIABE PER LA MIA BAMBINA» di Dmitrij Màmin-Sibirjak
II
L’estate era afosa e le monche diventavano di giorno in giorno sempre piu numerose. Cadevano nel latte, si spingevano nella minestra, nel calamaio, ronzavano, giravano, si attaccavano a qualsiasi cosa. La nostra piccola Mosca era diventata nel frattempo una mosca adulta e più di una volta aveva scampalo la morte per miracolo. La prima volta rimase invischiata con le zampette nella marmellata e a stento era riuscita a liberarsi; un’altra volta, mezza addormentata, per poco non era finita su una lampada accesa col rischio di bruciarsi le alucce; la terza volta per un soffio non era capitata tra i doppi vetri della finestra. Di avventure ne aveva affrontate parecchie.
— Ma che succede, non si può più vivere con tutte queste mosche! — si lamentava la cuoca. — Sono come impazzite, vanno dappertutto. Bisogna fare qualcosa.
Persino la nostra Mosca incominciava a capire che di mosche ce iterano troppe, specialmente in cucina. Alla sera il soffitto si copriva di una specie di retina viva e ronzante. Quando poi portavano la spesa, le mosche si avventavano a mucchi, si davano gomitate, nascevano liti terribili. I bocconcini migliori andavano alle mosche piu forti e vivaci, alle altre rimanevano gli avanzi. La cuoca aveva ragione.
Un giorno successe una cosa orrenda. Al mattino, la cuoca insieme alla spesa portò un pacco di striscioline di carta molto gustose, per la verità divennero saporite soltanto quando furono messe in alcuni piattini, cosparse di zucchero e imbevute di acqua tiepida.
— Queste leccornie sono per le mosche — disse la cuoca, disponendo i piattini nei posti più in vista.
Le mosche avevano capito immediatamente che i preparativi erano per loro e a sciami si lanciarono sulle nuove pietanze. Anche la nostra Mosca si fece avanti, ma fu spintonata alquanto brutalmente.
— Perché spingete in questo modo, signori? — disse con tono offeso.— Non sono mica così avida da togliere a qualcuno il suo. Non è urbano comportarsi in questo modo.
Poi accadde l’impossibile. Le più ingorde la pagarono per prime. All’inizio vagarono come ubriache, poi caddero esanimi. Al mattino la cuoca raccolse con la scopa un mucchio di mosche morte. Rimasero in vita solo le più ragionevoli e tra queste la nostra Mosca.
— Non vogliamo le striscioline di carta! — gridavano.— Non le vogliamo!
Ma il giorno dopo la cosa si ripeté. Tra le mosche ragionevoli se la cavarono solo le più in gamba. Però la cuoca pensava che ce ne fossero, di mosche ragionevoli, sempre troppe.
— Non si può proprio vivere! — si lamentava.
Allora il signore che veniva chiamato papà portò tre campane di vetro, molto belle, vi versò della birra e le posò su dei piattini Ci cascarono anche le più ragionevoli. Quelle campane di vetro erano delle vere e proprie trappole. Attirate dall’odore della birra, le mosche entravano dall’orlo superiore e poi morivano perché non riuscivano più a trovare la via d’uscita.
— Adesso si che va bene! — approvò la cuoca. Era veramente una donna senza cuore, si rallegrava dinanzi alle disgrazie alti in
Cosa può dirsi di bello di tutto questo? Se gli uomini avessero le ali come le mosche e se si mettessero delle trappole grandi come una casa ci cascherebbero anche loro… La nostra Mosca, fattasi esperta dopo l’amaro esempio delle mosche più ragionevoli, non credette più agli uomini. Soltanto all’apparenza sembrano buoni, ma in effetti altro non facevano che ingannai per tutta la vita le povere mosche fiduciose. A dire la verità, l'nonio è la creatura più infida e malvagia!
Dopo tutti questi malanni le mosche diminuirono di parecchio, ma a questo punto capitò una nuova disgrazia. L’estate era finita, incominciarono le piogge, il vento diventò freddo e pungente, incominciò la brutta stagione.
— Possibile che l’estate sia già passata? — si chiedevano stupite le mosche superstiti.— Ma quando è successo? Non e giusto alla fin fine... Non abbiamo fatto in tempo a dare una occhiata in giro che già è venuto l’autunno.
Era molto peggio delle striscioline di carta avvelenate e delle trappole di vetro. Con la brutta stagione le mosche erano costrette a cercare aiuto proprio dal loro peggiore nemico, dall’uomo. Ohimè! Adesso le finestre erano sempre chiuse e solo di tanto in tanto venivano aperti i finestrini superiori. Persino il sole splendeva soltanto per ingannare le povere mosche fidile io se. Che ne dite di una situazione simile? Il sole splende, enti a allegramente in tutte le finestre come a invitare tutte le mosche in giardino. Sembra che sia tornata l’estate. Fiduciose, le mosche volano attraverso il finestrino, però il sole splende soltanto, non riscalda. Le mosche volano indietro, ma il finestrino è già chiuso. Furono molte le mosche che morirono nelle fredde notti autunnali solo per via del loro carattere fiducioso.
— No, io non credo più a niente — diceva la nostra Mosca.— Se inganna anche il sole non si può avere fiducia piu di nessuno!
Era chiaro che con l’arrivo dell’autunno l’umore di tutte le mosche peggiorò sensibilmente, quasi a tutte si guastò il carattere. Non c’era nemmeno più l’ombra della serenità e della gioia di un tempo. Divennero tutte imbronciate, stanche, malcontente. Alcune arrivarono sino al punto di mordere, cosa che non era mai accaduta prima.
Anche la nostra Mosca peggiorò, tanto che non riusciva più a riconoscere se stessa. Prima, per esempio, si addolorava, quando le altre mosche morivano e adesso, invece, pensava soltanto a se stessa. Si vergognava a dirlo, però pensava:
“Muoiano pure, meglio per me!”
Prima di tutto in casa c’erano pochi angolini tiepidi ove una mosca come si deve potesse passare l’inverno e, in secondo luogo, anche a lei davano fastidio le altre mosche che si intrufolavano dappertutto, le toglievano da sotto il naso i bocconcini migliori e si comportavano senza tante cerimonie. Era arrivato il momento di tirare il fiato.
Sembrava che le altre mosche capissero questi pensieri maligni e morivano a centinaia. Anzi, non morivano, era come se si addormentassero. Di giorno in giorno ne rimanevano sempre meno tanto che non ci fu più bisogno di striscioline di carta avvelenata о di trappole di vetro. Ma tutto ciò non bastava ancora alla nostra Mosca, voleva rimanere assolutamente sola. Immaginate, che bellezza! Cinque camere per una mosca sola!...
III.
E venne finalmente quel giorno meraviglioso. Al mattino la nostra Mosca si svegliò sul tardi. Già da tempo sentiva una strana stanchezza e preferiva starsene tranquilla nel suo angolino, sotto la stufa. Improvvisamente avverti che era successo qualcosa di straordinario. Le bastò volare alla finestra per trovarne la spiegazione. Era caduta la prima neve. La terra era coperta da un candido manto risplendente.
— Ah, è questo dunque l’inverno! È tutto bianco come un pezzo di zucchero.
Poi Mosca notò che le sue compagne erano definitivamente scomparse. Le poverette non avevano sopportato il primo freddo ed erano state colte dal sonno là dove si trovavano. In altri tempi Mosca si sarebbe dispiaciuta, ma adesso pensò:
“Sta benissimo cosi… Ora sono veramente sola… Nessuno mangerà più la mia marmellata, il mio zucchero, le mie briciole. Oh, come è bello!”
Volò per tutte le stanze e si convinse d’essere rimasta completamente sola. Adesso avrebbe potuto fare tutto che avesse voluto. E come era bello il calore che c’era in casa. L’inverno era fuori, in strada, nelle stanze invece faceva caldo, si stava bene, specialmente la sera, quando venivano accese le lampade e le candele. Con la prima lampada, in effetti, ebbe un piccolo incidente perché arrivandoci addosso per poco non bruciò.
“Probabilmente si tratta di una trappola invernale pei mosche — pensò massaggiandosi le zampine ustionate.— Pelò a me non ce la fate! Io capisco come stanno le cose! Vorreste bruciare l’ultima mosca, ma io non ve lo permetto… Anche il fornello della cucina… mica non ho capito subito che si traila di un’altra trappola?”
L’ultima Mosca fu felice però soltanto alcuni giorni e poi le venne una noia, ma una noia cosi tremenda da non poter dire Certo, stava al caldo, non soffriva la fame, però non sapeva che fare. Volava di qua e di là, si riposava, spiluccava, volava di nuovo ed era più annoiata di prima.
— Oh, che noia! — pigolava con la sua vocetta più lamentosa, volando di stanza in stanza.— Ci fosse almeno un’altra mosca, anche la più cattiva, sarebbe sempre una mosca… L’ultima Mosca poteva lamentarsi quanto voleva della sua solitudine, nessuno la poteva comprendere. La situazione la rendeva ancora piu acida e come una pazza infastidiva la gente. Л dii sedeva sul naso, ad altri sull’orecchio, poi volava dinanzi agli occhi avanti e dietro. Sembrava veramente una pazza.
Oh, Dio! Come non potete capire che sono sola al mondo e che mi annoio a morte! — si lamentava con tutti. — Voi non sapete nemmeno volare e quindi non potete sapere cos’è la noia. Che almeno qualcuno di voi giocasse con me… Ma va! Cosa ci può essere di più goffo al mondo dell’uomo? La bestia più brutta che abbia mai visto…
L’ultima Mosca andava a dare fastidio al cane e al gatto, a tutti senza distinzione. Un giorno se la prese particolarmente a male quando zia Olga disse:
Ah, l’ultima mosca… Non la toccate, passi pure tutto l'inverno!
Come? Ma questa è veramente un’offesa. Non la ritengono nemmeno piu una mosca. Le fanno il piacere di poter vivere. “E se non volessi piu stare al mondo, se mi fosse venuto tutto a noia?”
L’ultima Mosca si arrabbiò a tal punto da spaventarsi essa stessa. Volava, ronzava, singhiozzava… Alla fine il Ragno, che se ne stava in un angolo, ebbe pietà di lei:
— Cara Mosca, venite da me… Guardate, che stupenda ragnatela!
— Tante grazie… Ecco un altro amico! So benissimo a cosa serve la tua stupenda ragnatela. Probabilmente una volta eri un uomo e adesso ti mascheri da ragno.
— Ma io voglio soltanto il vostro bene!
Che birbante! Volere il mio bene significa mangiare l’ultima Mosca!
Litigarono come si deve, ma la noia rimase, una accidia che la divorava. Inviperita con tutti, si mise a gridare:
Se non volete capire che io mi annoio, allora me ne starò in un angolo per tutto l’inverno! Vi faccio vedere io! E non uscirò piu!
Scoppiò a piangere per il dolore, ricordando l’allegra vita dell’estate passata. Quante belle mosche gioiose che c’erano! E lei che aveva voluto rimanere sola! Che errore fatale!
L’inverno si trascinava senza fine e l’ultima Mosca incominciò a pensare che l’estate non sarebbe più venuta. Avrebbe voluto morire e singhiozzava amaramente. Probabilmente erano stati gli uomini a inventare l’inverno perché sono gli uomini che inventano tutto ciò che può dare fastidio alle mosche. Forse era stata zia Olga a nascondere l’estate cosi come nascondeva lo zucchero e la marmellata?
L’ultima Mosca era ormai pronta a morire dalla disperazione quando successe una cosa straordinaria. Se ne stava, come al solito, nel suo angolino irritata con tutti, quando senti un ronzio Sulle prime non credette alle proprie orecchie, pensò che qualcuno la prendesse in giro. E poi… Dio mio! Le sfrecciò accanto una mosca, giovanissima. Era appena nata ed era cosi contenta.
— Viene la primavera! La primavera! — ronzava felice.
Come furono contente tutte e due! Si abbracciarono, si baciarono, si leccarono persino le proboscidi. Per alcuni giorni la vecchia Mosca raccontò le sventure che aveva subito durante l’inverno, di come si era annoiata. La giovane Mosca ridacchiava con la sua vocetta sottile senza poter capire cosa fosse la noia.
— La primavera, la primavera! — ripeteva.
Quando zia Olga fece togliere le doppie finestre e Aljonushka si affacciò alla prima finestra aperta, l’ultima Mosca capì finalmente ogni cosa.
— Adesso lo so, so tutto — ronzò volando fuori — siamo noi mosche che facciamo l’estate.
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«FAVOLA DELL’ULTIMA MOSCA» |
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«FIABE PER LA MIA BAMBINA» di Dmitrij Màmin-Sibirjak
«DMITRIJ MAMIN-SIBIRJAK: SCRITTORE RUSSO»
«ДМИТРИЙ МАМИН-СИБИРЯК, РУССКИЙ ПИСАТЕЛЬ»
FIABA 7:
«FAVOLETTA DI CORVO NERO E DI CANARINO, UCCELLINO GIALLINO»
«СКАЗОЧКА ПРО ВОРОНУШКУ – ЧЁРНУЮ ГОЛОВУШКУ И ЖЁЛТУЮ ПТИЧКУ КАНАРЕЙКУ»
Corvo se ne stava su un ramo di betulla e picchiava un ramo con il becco. Dopo aver pulito il naso per benino dette un’occhiata intorno e lanciò un grido:
— Charr… Charr!
Il gatto Vassìlij che faceva un sonnellino sulla staccionata per poco non perse l’equilibrio dallo spavento.
— Ma che ti viene, testa nera? Chi ti ha dato una voce cosi? Che ti ha preso adesso?
— Smettila. Non vedi che non ho tempo da perdere. Altro che scherzi… Charr… Charr… Ho tante cose da fare.
— Poverino, non ce la fa più — ridacchiò Vassilij.
— Sta zitto, pigrone. Te ne stai sempre sdraiato, ad ammaccarti i fianchi e a prendere il sole, quando io da questa mattina non ho avuto un minuto di pace. Sono stato su una decina di tetti, ho sorvolato mezza città, ho esaminato tutti i vicoli e tutti gli angoli. E devo ancora andare in cima al campanile, poi al mercato, nell’orto... Ma perché perdo tempo con te, ho da fare, oh, quanto ho da fare!
Dette un’ultima beccata al ramoscello, apri le ali e stava già per prendere il volo quando senti delle grida terribili. Uno stormo di passeri inseguiva un piccolo uccellino giallo.
— Ferma, ferma, prendetelo! — urlavano i passeri.
— Che succede? — gracchiò Corvo lanciandosi all’inseguimento.
Con una decina di colpi d’ala Corvo raggiunse i passeri. Il piccolo uccellino allo stremo delle forze si era lanciato in un giardinetto dove crescevano cespugli di lillà, ribes e ciliegio selvaggio. L’uccellino voleva nascondersi sotto un cespuglio, quando apparve Corvo.
— E tu chi sei? — gracchiò.
I passeri circondarono il cespuglio come se qualcuno avesse lanciato una manciata di riso.
Erano pieni di rabbia contro l’uccellino giallo e avrebbero voluto prenderlo a beccate.
— Ma cosa vi ha fatto? — chiese Corvo.
— E perché è di color giallo? — pigolarono tutti insieme.
Corvo osservò l’uccellino giallo: in effetti, era proprio giallo. Allora scosse il capo e sentenziò:
— Ah, bricconi che non siete altri… Non vedete che non è un uccello! Forse gli uccelli sono così? Comunque è meglio che ve ne andiate. Adesso devo parlare con questa meraviglia. Finge di essere un uccello.
I passeri si arrabbiarono ancor di più, pigolarono, strepitarono, ma non c’era niente da fare. Dovevano andarsene. Con Corvo si parlava poco, un colpo di becco e via.
Cacciati i passeri, Corvo si mise a interrogare l’uccellino giallo che ansimava impaurito e guardava miseramente con i suoi occhietti neri.
— Allora chi sei?
— Sono Canarino…
— Vedi di non ingannarmi, se no è peggio. Se non fosse stato per me i passeri ti avrebbero beccato a morte.
— E la verità, sono Canarino…
— Da dove vieni?
— Prima stavo in gabbia, in gabbia sono nato, là sono cresciuto. Però avevo sempre il desiderio di volare come gli altri uccelli. La gabbia stava sul davanzale della finestra ed io guardavo sempre gli altri uccelli. Erano cosi allegri. Nella gabbia invece si stava stretti. Un giorno Aljonushka mi ha portato una tazzina d’acqua, ha aperto lo sportellino ed io sono scappato dalla gabbia. Prima ho svolazzato per la stanza, poi sono uscito dal finestrino.
— Ma che facevi in gabbia?
— Io so cantare…
— Allora fammi sentire.
Canarino attaccò a cantare e Corvo curvò il capo da un lato stupefatto.
— E questo sarebbe cantare? Ah, ah! Erano veramente stupidi i tuoi padroni se ti mantenevano per sentire questo canto. Se c’è un uccello vero da mantenere,questo, beh, sarei io. Poco fa mi sono schiarito la voce e Vassilij per poco non è precipitato dalla staccionata. Questo si che è cantare!
— Anch’io conosco Vassilij… È una belva terribile. Quante volte si è avvicinato alla mia gabbia. Gli occhi verdi sembrano due tizzoni accesi, caccia gli artigli…
— Non esageriamo, mica a tutti fa paura. Certo, è un furbone di tre cotte, però non ha niente di orribile. Va bene, ne parleremo dopo. Comunque non riesco a crederci che sei un vero uccello.
— No, no, sono un uccello fino in fondo. Tutti i canarini sono uccelli…
— Bah, va bene, vedremo… E come pensi di vivere?
— Io ho bisogno di ben poco: qualche granellino, un pezzetto di zucchero, un biscottino e basta.
— Eh, che signorino! Senza zucchero vivrai lo stesso, in quanto ai granellini in qualche modo li potrai trovare. E poi mi sei simpatico. Vuoi stare insieme con me? Su una betulla ho un ottimo nido.
— Tante grazie, però i passeri…
— Se abiterai con me, nessuno avrà il coraggio di toccarti nemmeno con un dito. Non dico i passeri, ma neanche Vassilij, lui conosce bene il mio carattere. A me scherzare non piace…
Canarino si senti rinascere e volò insieme al Corvo. Il nido era veramente ottimo. Se ci fosse stato un biscottino con un pezzetto di zucchero…
E cosi si misero a vivere insieme. Benché fosse a volte un po' brontolone, Corvo non era cattivo. L’unico suo difetto ria l’invidia e poi pensava che gli altri l’offendessero.
— Mica quelle stupide galline sono meglio di me? E allora perché a loro danno da mangiare, le proteggono, sono con loro pieni di premura? — si lamentava cosi Corvo con Canarino Oppure prendiamo i colombi. Non sono di alcuna utilità, eppure a loro un pugnetto di avena lo gettano sempre. E dire che sono degli uccelli veramente stupidi. Invece basta che io mi avvicino che subito si mettono a cacciarmi in malo modo. Mica giusto? I poi si mettono a insultarmi: «ehi, tu corvaccio!». Invece tu lui notato che io sono più bello e migliore degli altri? Lo so che non
sta bene lodare se stessi, però mi costringono a farlo. Non è forse cosi?
Canarino èra sempre d’accordo:
— Eh, si, tu sei un uccello grande e grosso…
È proprio questo il punto. In gabbia invece tengono i pappagalli, mica un pappagallo è meglio di me? Un uccello veramente cretino. Sa solo strillare e borbottare e nessuno riesce a c apire cosa vuol dire. Non è forse cosi?
Certo, anche da noi c’era un pappagallo ed era insopportabile.
Eh, si, ce ne sarebbero di uccelli che non si capisce bene cosa ci stanno a fare al mondo! Gli stornelli, per esempio, vengono come pazzi non si sa da dove, vivono un’estate e poi scompaiono. E le rondini pure, le cinciallegre, gli usignoli, tutta gente inutile! Tra di loro non c’è nemmeno un uccello serio, come si deve! Appena sentono un po’ di freddo subito se la battono e chi si è visto si è visto.
In effetti Corvo e Canarino non riuscivano a capirsi. Canarino non capiva la vita libera e Corvo non capiva la vita in c attività.
Possibile che nessuno vi abbia mai dato almeno un granellino? — si stupiva Canarino. — Un granellino solo?
— Come sei stupido! Altro che granellini. Bisogna stare attenti a che non ammazzino con un bastone о con un sasso. Gli uomini sono molto cattivi.
Canarino non poteva proprio essere d’accordo perché gli uomini gli avevano sempre dato da mangiare. Forse Corvo si sbagliava.
Una volta però Canarino dovette provare la malignità della gente. Un giorno se ne stava su uno steccato, quando al di sopra della testa gli fischiò un sasso. Per la strada passavano degli scolaretti che al vedere Corvo non avevano saputo resistere alla tentazione.
Beh, adesso hai visto? — chiese Corvo, quando ebbero i aggiunto il tetto.— Sono tutti cosi, gli uomini.
Forse hai fatto loro qualcosa di male?
— Niente di niente. Sono cattivi per natura. E mi odiano tutti quanti.
Canarino ebbe compassione del povero Corvo clic nessuno aveva in simpatia. Come si fa a vivere cosi?
Di nemici comunque ce n’erano parecchi. Per esempio, il gatto Vassilij. Con occhi sornioni sorvegliava tutti gli uccelli, fingendosi addormentato. Una volta Canarino vide con i suoi occhi Vassilij agguantare un povero passerotto inesperto. Senti gli ossicini scricchiolare e vide le penne volare. Che orrore! Poi c’erano i falchi! Vola uno, alto nell’aria, e all’improvviso come una pietra cade su un uccellino! Canarino vide un falco afferrale un galletto. Ma Corvo non aveva paura né dei gatti e nemmeno dei falchi. Anzi non aveva nulla in contrario a cibarsi di quali che uccellino. Canarino non ci aveva voluto credere fino a quando non lo vide con i propri occhi. Un giorno tutto uno stormo di passeri si mise a inseguire Corvo, pigolando e facendo un gran baccano.
Canarino, spaventato a morte, si nascose nel nido.
— Daccelo indietro, daccelo indietro! — pigolavano a tutta forza i passeri volando intorno al nido. — E questo un brigati taggio!
Corvo si tuffò nel nido e Canarino vide con terrore che aveva tra gli artigli il corpo esanime e insanguinato di un passerotto.
— Cosa hai fatto?
— Sta zitto! — sibilò Corvo.
Aveva degli occhi terribili, ardenti come dei fuochi. Canal ino chiuse gli occhi dalla paura e per non vedere Corvo banchettale con il corpo del povero passerotto.
«Un giorno о l’altro potrà mangiare anche me» — penso Canarino.
Ma Corvo quando aveva mangiato diventava piu buono. Si puliva il naso, si accomodava meglio su un ramo e sonnecchiavi saporitamente. Canarino aveva capito che Corvo aveva sempre una fame terribile e che non era affatto schizzinoso. Portava a casa un tozzo di pane oppure un brandello di carne mania, rimasugli vari che ricercava tra le immondizie. Anzi, questo era il suo lavoro preferito e Canarino non riusciva proprio a capire che piacere ci trovasse nel frugare tra l’immondizia. Però era difficile farne una colpa; tutti i giorni Corvo divorava una quantità di cibo che avrebbe sfamato una ventina di canarini. Corvo quindi pensava sempre al cibo. Dall’alto di un tetto guardava tutt’intorno cercando qualcosa per sfamarsi. Quando Corvo non aveva voglia di cercare il cibo, allora se la cavava con l’astuzia. Se vedeva che i passerotti avevano trovato qualcosa, si gettava in picchiata. Faceva finta di volare per i fatti suoi e gridava:
— Oh, quante cose ho da fare! Oh, quante cose!
Poi afferrava la preda e… via.
Non sta bene quello che fai. Perché togli agli altri quello
che non è tuo? — gli fece notare con indignazione un giorno Canarino.
Come non sta bene? E che colpa ne ho io, se ho sempre lame?
— Ma anche gli altri hanno fame!
Oli altri possono cavarsela da soli. A voi la gente porta dà mangiare nelle gabbie, noi invece dobbiamo provvedere a noi stessi. E poi tu о un passerotto, mica avete bisogno di molto, qualche granellino e siete sazi per tutto il giorno.
Nessuno si era accorto come era passata l’estate. È come se il sole divenisse più freddo, le giornate si erano accorciate. Incominciarono le piogge, soffiò un vento freddo. Canarino si sentiva molto infelice, specialmente quando pioveva.
Corvo invece non ci faceva nemmeno caso.
— Ebbene? Che importanza ha se piove о non piove? — si stupiva.— Finirà pure di piovere!
Peggio ancora era la notte. Tutto bagnato, Canarino tremava dal freddo indispettendo Corvo.
Che delicatino! Che farai col gelo, quando ci sarà la neve?
Corvo addirittura se la prese a male. Che razza di uccello era questo, se temeva la pioggia, il vento e il freddo? Così non si può stare al mondo. Gli venne di nuovo il dubbio che fosse veramente un uccello. Forse fingeva soltanto di essere un uccello?
— Ma no, sono un uccello, veramente un uccello! - diceva Canarino con le lacrime agli occhi. — Che posso farci se ho freddo?
— Mah! Eppure mi sembra che fingi soltanto d’essere un uccello!
— Ma no, non fingo niente.
A volte Canarino si metteva a pensare al suo destino. Forse avrebbe fatto meglio a rimanere in gabbia. Là non faceva freddo e c’era sempre da mangiare. Addirittura alcune volte era andato sino alla finestra dove c’era la sua cara gabbia. Ma c’erano già due canarini nuovi che lo guardavano con invidia. — Oh, che freddo! — piagnucolò Canarino infreddolito. Fatemi entrare! Un giorno Canarino guardando fuori del nido fu colpito da uno spettacolo desolante. Tutta la terra era coperta da una coltre di neve, come da un sudario. La neve inoltre aveva coperto i chicchi che di solito mangiava. Rimaneva soltanto il sorbo, ma lui non era abituato a mangiare una bacca cosi acidula. Corvo inveì e beccava il sorbo tutto soddisfatto: — Oh, che bacca saporita! Dopo due giorni di digiuno Canarino fu preso dalla disperazione. Cosa avrebbe fatto in seguito, cosi sarebbe mono di fame! Se ne stava cosi tutto addolorato quando scorse gli stessi ragazzini che avevano scagliato una pietra contro Corvo. Adesso stendevano a terra una rete e vi spargevano sopra dei chicchi saporiti di lino. — Allora non sono cattivi, questi ragazzini! — esclamò Сапаrino, guardando la rete. — Corvo, amico mio, i bambini mi hanno portato da mangiare! — Un buon pranzo, non c’è che dire! — brontolò Coi vo. Non ti azzardare a metterci il naso. Hai capito? Appena incomincerai a beccare i chicchi, finirai nella rete. — E poi che succederà? — Finirai di nuovo in gabbia. Canarino si abbandonò alla meditazione. Voleva mangiare, ma non voleva finire in gabbia. Certo, fuori soffriva il freddo e la fame, ma la libertà è molto meglio, specialmente quando non piove. Per qualche giorno Canarino si fece forza, ma la fame è una cattiva consigliera e cosi andò a finire nella rete. — Aiuto, aiuto! — pigolò lamentosamente.— Non lo farò più. E meglio morire di fame che finire di nuovo in gabbia! Adesso gli sembrava che al mondo non ci fosse niente di meglio del nido di Corvo. Certo, faceva freddo, pativa la fame, però viveva in libertà. Poteva volare dove gli piaceva. Scoppiò addirittura a piangere. Adesso verrano i ragazzini e lo metteranno in gabbia. Per fortuna in quel momento passò Corvo e vide che le cose andavano male. — Oh, come sei stupido! — brontolò Corvo. — Te l’avevo detto di non toccare quei chicchi. — Non lo farò più, lo giuro. Corvo era arrivato appena in tempo. Già si avvicinavano correndo i ragazzini per impadronirsi della preda. Corvo però riuscì a spezzare la rete sottile e Canarino fu di nuovo in libertà. I ragazzini corsero a lungo dietro a Corvo lanciando pietre e bastoni e imprecando. — Oh, come si sta bene! — si rallegrò Canarino, quando fu di nuovo al sicuro nel nido. — Meno male che l’hai capito. Adesso sta attento! — brontolò Corvo. E Canarino visse di nuovo con Corvo senza più lamentarsi del freddo e della fame. Un giorno Corvo andò lontano alla ricerca di cibo, passò la notte nei campi e quando tornò a casa vide che Canarino se ne stava con le zampette all’aria. Corvo piegò il capo da un lato, osservò la scena e borbottò: — L’avevo detto io che non era un uccello!
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«FIABE PER LA MIA BAMBINA» di Dmitrij Màmin-Sibirjak
«DMITRIJ MAMIN-SIBIRJAK: SCRITTORE RUSSO»
«ДМИТРИЙ МАМИН-СИБИРЯК, РУССКИЙ ПИСАТЕЛЬ»
FIABA 8:
«IL PIU’ INTELLIGENTE» «УМНЕЕ ВСЕХ»
I.
Come al solito Tacchino si svegliò prima degli altri, quando era ancora buio, svegliò la moglie e attaccò:
— Allora è vero che sono il più intelligente?
Tacchina mezzo insonnolita incominciò a tossire e poi rispose:
— Oh, come sei intelligente! Ec-che, ec-che... lo sanno tutti, no?
— No, no, tu rispondimi a tono. Sono il piu intelligente? Di uccelli intelligenti ce ne sono parecchi, ma uno è sempre il piu intelligente di tutti e questo sono io.
— Il più intelligente... proprio il più intelligente! Ec-che, ec-che...
— Ora si che va bene.
Tacchino persino si irritò un po’ e alzando la voce per farsi sentire anche dagli altri aggiunse:
— Sai, mi sembra di non godere di molto rispetto. Proprio no.
— Ma che dici? E solo una tua impressione... Ec-che, ec-che...— si mise a calmarlo Tacchina mentre si lisciava le penne aggrovigliate durante la notte.— E una impressione. Non ci sono uccelli più intelligenti di te.
— E Papero? Si, lo so... Ammettiamo pure che sta sempre zitto, che parla poco. Però sento che non mi rispetta in silenzio.
— E tu non farci caso. Non ne vale la pena. Ec-che, ec-che... Avrai notato anche tu che Papero è alquanto stupido?
— E chi non ne se ne accorge? E come se avesse scritto in fronte di essere sciocco. Certo Papero è sciocco e non vale la pena prendersela con lui. Però ecco Gallo, proprio Gallo... Cosa strillava contro di me qualche giorno fa? E come strillava, tutti i vicini l’hanno sentito benissimo. Mi ha dato dello stupidone... О qualcosa del genere!
— Che tipo strano che sei! — si meravigliò Tacchina.— Come sé non sapessi perché Gallo grida cosi?
— Beh, dimmelo tu!
— Ec-che, ec-che, ec-che... È molto semplice, lo sanno tutti. Anche tu sei un gallo, ma un gallo speciale, un gallo straniero mentre lui è un gallo comune, ecco perché strilla per l’invidia. Ec-che, ec-che, ec-che... Anche lui vorrebbe essere un gallo come te.
Gli piacerebbe, eh!... Cosa gli viene in mente? Un gallo comune che vuole diventare un gallo d’oltreoceano! C’è da riderei non diventerà mai un tacchino.
Tacchina era molto buona e modesta e le dispiaceva vedere il marito sempre pronto a prendersela con tutti. Come oggi, si è appena alzato e già pensa con chi attaccare lite, addirittura con di fare botte. Un uccello sempre cosi inquieto. Tacchina si dispiaceva quando gli altri si prendevano beffe del marito, quando lo definivano chiacchierone, fatuo e vanesio. Ammettia¬mo pure che in parte avessero ragione, però trovatemi un uccello senza difetti! Eh, si! Non ce ne sono uccelli senza difetti ed anzi ci trovi piacere quando in un altro scorgi un benché minimo difetto.
Ben svegli gli uccelli uscirono nell’aia e subito incominciarono a far chiasso. Le più rumorose erano le galline. Correvano per il cortile, saltavano sul davanzale della cucina e strillavano a perdifiato.
— Cocco-dé, cocco-dé... Oh che fame in pancia c’è! La cuoca ha deciso di farci morire dalla fame.
- Signore, abbiate pazienza! — fece notare Papero ritto su una zampa sola.— Guardate me, anch’io ho appetito, però non strillo, come voi. Perché se io volessi gridare a tutti polmoni allora farei cosi... Go-o, go-o, go-o!
Gli strilli di Papero furono cosi violenti da svegliare anche la cuoca.
Fa bene lui a parlare di pazienza — brontolò Anatra con nella gola che si ritrova, sembra una tromba. Se avessi una gola cosi lunga e un becco cosi duro predicherei pure io la pazienza. Prima mi riempirei lo stomaco e poi agli altri consiglierei di pazientare. Sappiamo noi cos’è la pazienza per un papero...
Gallo fu lieto di esprimere la sua solidarietà con Anatra:
— Fa bene Papero a parlare di pazienza... E chi mi ha strappato ieri dalla coda due delle mie penne migliori? E una cosa ignobile afferrare la gente subito per la coda. Ammettiamo pure che ci sia stato un certo litigio tra noi e che io gli volessi dare qualche beccata in testa, non lo nascondo, questa intenzione c’era. Però che colpa ce n’ha la mia coda. Dico bene, signori?
Gli uccelli affamati, come gli uomini, diventano ingiusti proprio perché hanno fame.
II.
Per orgoglio Tacchino non si lanciava mai sul cibo insieme agli altri, ma aspettava pazientemente che la cuoca scacciasse qualcuno più ingordo degli altri e lo chiamasse a fare colazione. Anche adesso fu la stessa cosa. Tacchino passeggiava in disparte, vicino allo steccato, con l’aria di cercare chissà che cosa.
— Ec-che, ec-che, ec-che... Ah, che voglia di mangiare! si lamentava Tacchina, seguendo passo passo il marito.— Ecco, la cuoca ha già gettato l’avena... oh, sembra anche gli avanzi della pappa di ieri... Ec-che, ec-che, ec-che... Come mi piace la pappa' Mangerei solo pappa per tutta la vita. Pure in sogno io vedo la pappa.
Tacchina si lamentava sempre quand’era affamata e in quell’occasione voleva che Tacchino la consolasse. In mezzo a tutti gli altri uccelli era come una vecchierella: era sempre curva, tossicchiava, camminava con una andatura traballante come se le zampe le fossero state avvitate soltanto il giorno prima.
— Certo, la pappa non è male — fu d’accordo con lei Tacchino.— Un uccello intelligente però non si getta mai sul cibo. Dico bene? Se il padrone non mi darà da mangiare io piuttosto morirò di fame... come dici? Dove troverà un altro Tacchino come me?
— Non c’è nessuno al mondo come te...
— E quello che dico pure io... Poi la pappa, in fondo, è una sciocchezza. Il problema non è nella pappa, ma nella cuoca. Dico bene? Ci sarà la cuoca e ci sarà anche la pappa. A questo mondo tutto dipende soltanto dalla cuoca: l’avena, la pappa, il grantur¬co, le briciole di pane.
Però a dispetto di tutti questi ragionamenti Tacchino incominciava a sentire i morsi della fame. Poi si intristi nel vedere che tutti gli altri avevano già finito di mangiare e la cuoca non usciva a chiamarlo. E se lo avesse dimenticato? Sarebbe stato uno scherzo terribile.
Ma in quel momento successe una cosa che a Tacchino fece dimenticare persino la fame. Una giovane gallinella passeggiava nei pressi del fienile quando all’improvviso lanciò un grido:
— Cocco-dé!
Le altre galline le fecero eco e strillarono tutte insieme: — Cocco-dé, cocco-dé! — Ma ancor piu forte gridò il Gallo:
— Chicchirichì! Chi è là?
Richiamati da quelle strida tutti quanti videro una cosa quanto mai strana. Vicino al fienile in una fossa c’era una cosa grigia, tondeggiante, ricoperta di fitti aghi pungenti.
— Ma è solo una pietra — disse qualcuno.
Si muove invece — spiegò Gallinella.— Anch’io avevo pensato che fosse una pietra, mi sono avvicinata e la cosa si è mossa. E vero. Poi mi è sembrato di vedere degli occhi, ma le pietre non hanno occhi.
— Per la paura una stupida gallina può veder quel che vuole — notò Tacchino.— Forse è ... un...
— Ma è un fungo! — gridò Papero. — Io stesso ho visto funghi come questo, senza aghi però.
Tutti gli altri si misero a ridere della trovata di Papero.
— Più che altro sembra un berretto! — provò qualcuno a indovinare, ma fu deriso al pari di Papero.
— Signori, avete mai visto un berretto con gli occhi?
— Invece di chiacchierare a vuoto, bisogna agire — decise Gallo per tutti.— Ehi, tu, coso con gli occhi, dicci chi sei e alla svelta. Che non sono tipo da scherzare! Hai sentito?
Visto che non ci fu nessuna risposta Gallo si sentì offeso e si lanciò all’attacco. Provò a dare qualche beccata e poi, con imbarazzo, si tirò indietro.
— Secondo me è... una grossa lappola, nulla di più spiego Gallo.— Non è affatto saporito. Se qualcuno vuol provarlo?
Ognuno diceva la sua, tutto quello che gli passava pei la testa, avanzava ipotesi e supposizioni. L’unico a starsene zitto era Tacchino. Chiacchierino pure gli altri, lui ascolterà le loro stupidaggini. Dopo tanto strepito gli abitanti del cortile avrebbe ro continuato ancora per parecchio a fare chiasso. Finalmente qualcuno esclamò:
— Signori, ma che stiamo a fare qui, ci rompiamo la testa inutilmente, quando tra di noi c’è Tacchino? Lui sa tutto...
— Certo che so tutto — rispose Tacchino allargando la coda e gonfiando la rossa caruncola del naso.
— Se lo sai, diccelo anche a noi.
— E se non ve lo voglio dire?
Allora gli altri si misero a convincere Tacchino:
— Ma come, tu che sei l’uccello piu intelligente! Su, diccelo. Che ti costa dircelo?
Tacchino si fece tirare a lungo la calzetta e alla line annunciò:
— Mah, se proprio insistete, ve lo dico, sia pure... Però prima voi mi dovete dire chi pensate che io sia?
— Ma se lo sanno tutti che tu sei l’uccello più intelligente! risposero in coro. — Non per niente si dice: intelligente come un tacchino.
— Quindi mi rispettate?
— Certo, tutti noi ti rispettiamo!
Tacchino si fece pregare ancora un poco, poi, tutto gongolante, gonfiò la caruncola, tre volte girò intorno allo strano animaletto e annunciò:
— Si tratta di... ma proprio lo volete sapere?
— Si, si. Diccelo, per favore, e alla svelta.
— E ... un non-so-che strisciante.
Stavano tutti per prorompere in una colossale risata (piando si udì un risolino e una vocina sottile disse: — Questo si che è veramente l’uccello piu intelligente, hi, hi.
Di sotto agli aculei appari un musetto nero con due occhietti sturi scuri, aspirò l’aria e disse:
— Buon giorno, signori! Ma come non avete riconosciuto Riccio, il Riccio cenericcio? Però che Tacchino ridicolo avete! Scusatemi, non saprei come dire, ma non è un po’ scioccherello?
III.
I presenti si ammutolirono per la tremenda offesa scagliata contro Tacchino. Certo, Tacchino aveva detto una sciocchezza, però ciò non voleva dire che Riccio avesse il diritto di offenderlo. E poi è veramente una scortesia andare in casa altrui e offendere il padrone. Dite che volete, Tacchino era pur sempre una persona importante, rappresentativa e non poteva essere messa sullo stesso piano di un poveraccio come Riccio.
Fu cosi che di colpo tutti si schierarono dalla parte di Facchino e fecero un chiasso indiavolato.
— Probabilmente Riccio pensa che anche tutti gli altri siano degli stupidi! — strepitò Gallo sbattendo le ali.
— Ci ha offeso tutti quanti!
— Se qui c’è uno stupido, questo può essere soltanto lui, Riccio — dichiarò Papero allungando il collo.
— Io l’ho capito subito...
— Ma come fanno i funghi ad essere stupidi? — domandò di rimando Riccio.
— Signori, perché stiamo a perdere tempo in chiacchiere! — gridò Gallo.— E inutile, tanto non si capisce un’acca. Non perdiamo tempo. Se, per esempio, voi, Papero, lo afferrate da una parte con il vostro becco duro e forte ed io con Tacchino dall’altra, allora vedremo chi è intelligente e chi no. II senno mica lo si nasconde sotto degli stupidi aculei!
— Beh, io sono d’accordo — dichiarò Papero.— Anzi sarà meglio se io l’afferro per gli aculei e voi, Gallo, gli diate qualche buona becchettata proprio sul muso. Che ne dite, signori? Adesso staremo a vedere chi è l’intelligente in mezzo a noi.
Tacchino se ne stava in silenzio. Sulle prime era rimasto sconvolto dalla sfrontatezza di Riccio e non aveva saputo < osa rispondere. Poi gli era venuta una collera cosi spaventosa con te si era impaurito egli stesso. Avrebbe voluto lanciarsi sii quel prepotente maleducato e farlo a pezzettini perché tutti vedessero ancora una volta che Tacchino era un uccello serio e severo Addirittura aveva fatto qualche passo avanti, si era gonfiato tulio e aveva fatto per lanciarsi, quando gli altri, tutti insieme, si ciano messi a gridare improperi contro Riccio. Tacchino aspettava pazientemente in silenzio che le acque si calmassero.
Quando Gallo propose di strattonare Riccio come si deve, Tacchino frenò il suo zelante entusiasmo:
— Permettetemi, signori, forse possiamo comporre il dissidio con mezzi pacifici. Si, mi sembra che ci sia un piccolo equivoco. Date la faccenda in mano mia.
— Va bene, aspettiamo pure — acconsenti malvolentieri Gallo che voleva menar le mani senza indugio.— Comunque mi sa e he sia un tentativo inutile.
— Non vi preoccupate, me ne occupo io — rispose con calma Tacchino.—Voi state a sentire le mie parole.
Gli uccelli si raggrupparono in attesa intorno a Riccio Tacchino gli girò intorno, si schiari la voce e disse:
— Ascoltatemi, signor Riccio. Cerchiamo di spiegarci, perché a me non piacciono i dissidi domestici.
«Dio mio, come è intelligente, come è intelligente»! - penso Tacchina, ascoltando il marito circonfusa di muto entusiasmo
— Prima di tutto fate attenzione che vi trovate in casa di gente bennata ed educata — continuò Tacchino. - E questo vuol dire qualcosa... eccome... Molti si riterrebbero onorati di finire nel nostro cortile, ma ahimè, ben pochi ci riescono.
— E vero, è vero! — si senti un coro di voci.
— Ma ciò rimane tra di noi, non è questo l’essenziale.
Tacchino fece una pausa per darsi maggiore importanza <• continuò:
— L’essenziale è che... Veramente avete potuto pensare con te noi non conosciamo i ricci? Non ho il minimo dubbio che Papero, scambiandovi per un fungo, voleva soltanto scherzare, lo stesso si dica per Gallo e per gli altri. Non è forse cosi, signori?
— Giusto, proprio cosi! — gridarono tutti insieme a voce cosi alta che Riccio nascose il suo musetto nero.
«Oh, come è intelligente!» — pensò Tacchina che aveva capito dove volesse andare a parare il marito.
— Come vedete, signor Riccio, siamo tutti dei buontempo¬ni — aggiunse Tacchino.— Non parlo poi di me... Si, e perché non scherzare? Mi sembra inoltre che anche voi, signor Riccio, abbiate un carattere allegro.
— Ma si, avete indovinato — riconobbe Riccio, scoprendo di nuovo il muso. — Ho un carattere cosi allegro che addirittura non riesco a dormire la notte. Molti non lo sopportano, ma io mi annoio a dormire.
— Beh, vedete... Certamente andrete d’accordo con Gallo il quale la notte canta a squarciagola.
AH’improvviso si sentirono tutti allegri come se veramente ci voleva solo Riccio a farli felici e contenti. Il Tacchino assaporava il suo trionfo per essersela cavata cosi bene dalla situazione imbarazzante in cui Riccio l’aveva cacciato, definendolo uno sciocco e ridendogli in faccia.
— A proposito, signor Riccio — aggiunse Tacchino, facendo¬gli l’occhietto — riconoscete d’aver voluto scherzare quando, poco fa, avete detto che... ero un uccello non molto intelligente.
— Ma certo che scherzavo! — lo rassicurò Riccio. -E colpa del mio carattere faceto.
— Certo, certo, ne ero convinto anch’io. Avete sentito, signori? — chiese Tacchino.
— Abbiamo sentito. Chi avrebbe mai potuto dubitarne!
Tacchino si curvò all’orecchio di Riccio e gli bisbigliò:
— Visto che le cose stanno cosi, vi comunico un terribile segreto... si... A una sola condizione: a nessuno nemmeno una parola. In verità, mi sento imbarazzato a parlare di me stesso, ma che fare se io... sono l’uccello piu intelligente! La cosa addirittura mir intimidisce, però la lampada non la si nasconde sotto il moggio. Per favore, a nessuno nemmeno una parola!
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FIABA 9:
«STORIA DI LATTICELLO, FIOCCHI D’AVENA E MURLETTO GATTONE GRIGIONE»
«ПРИТЧА О МОЛОЧКЕ, ОВСЯНОЙ КАШКЕ И СЕРОМ КОТИШКЕ МУРКЕ»
I.
Dite che volete, ma questa è una storia straordinaria. Prima di tutto perché si ripeteva tutti i giorni. Bastava mettere sul fornello il pentolino del latte e la pignatta con i fiocchi d’avena che subito incominciava... Sulle prime se ne stanno li come niente fosse, ma dopo incomincia uno strano colloquio:
— Io sono Latticello.
— E io Fiocchi d’avena!
All’inizio il discorso va avanti in sordina, come un sussurro, ma col tempo Fiocchi d’avena e Latticello incominciano piano piano a scaldarsi.
— Io sono Latticello!
— E io Fiocchi d’avena!
Fiocchi d’avena borbottava come una vecchia nella sua pignatta chiusa da un coperchio di terracotta. Ma quando incominciava ad arrabbiarsi, formava delle bolle che poi scoppiavano e diceva:
— Comunque io sono Fiocchi d’avena... puuch!
Latticello si sentiva profondamente offeso da questa vanteria. Quando mai si è visto che dei fiocchi d’avena si comportano cosi! Latticello si surriscaldava per la collera, schiumava e tentava di venir fuori dal suo pentolino. Se la cuoca non stava attenta. Latticello si spargeva sul fornello ardente.
— Oh, questo latte! — si lamentava ogni volta la cuoca.— Appena volti le spalle lui scappa.
— E che ci posso fare se ho un carattere collerico! — si giustificava Latticello.— Nemmeno a me piace quando mi arrabbio. Però qui c’è sempre Fiocchi d’avena a vantarsi: «Io sono Fiocchi d’avena, io sono Fiocchi d’avena!» Borbotta in continuazione nella sua pignatta ed io non lo sopporto.
A volte le cose si spingevano sino al punto che anche Fiocchi d’avena traboccava via dalla sua pignatta nonostante il coperchio. Si spargeva sul fornello e continuava a borbottare:
— Sono Fiocchi d’avena, sono Fiocchi d’avena! sciii!
In verità capitava abbastanza di rado, però succedeva, e la cuoca disperata diceva ogni volta:
Oh, questi fiocchi d’avena! Perché non se ne stanno calmi e tranquilli nella pignatta?
II.
A dir il vero la cuoca aveva di che preoccuparsi. Per esempio, quante preoccupazioni le dava il solo Murletto! Tenete conto che ei a un bellissimo gatto e che la cuoca gli voleva molto bene. Ogni giorno iniziava con Murletto che seguiva la cuoca passo passo, miagolando con voce cosi lamentosa da spezzare persino un cuore di pietra.
— Ma questo è un pozzo senza fondo! — si stupiva la cuoca scacciando il gatto.— Ricorda solo tutto il fegato che hai mangiato ieri!
Ma è stato ieri! — si stupiva a sua volta Murletto.— Oggi è oggi e voglio mangiare di nuovo... Miao!
— Va a caccia di topi e mangia, fannullone!
Si fa presto a parlare! Prova tu a prendere almeno un topo! — si giustificava Murletto.— Tra l’altro io ce la metto tutta. Per esempio, la settimana scorsa chi ha acchiappato quel topolino? E come mi sono fatto questo graffio sul naso? Era un topo cosi enorme che addirittura si è avventato sul mio povero naso. E facile dire: va a caccia di topi!
Più tardi, sazio di fegato, Murletto si acciambellava vicino alla stufa, nel posticino più caldo, chiudeva gli occhi e sonnecchiava saporitamente.
— Vedi come sei sazio! — si meravigliava la cuoca.— Socchiudi persino gli occhi, scansafatiche! Dagli soltanto la carne!
— Non sono mica un monaco da non mangiare carne — si scusava Murletto, aprendo un occhietto solo. — E poi, anche il pesce mi piace. Anzi, il pesce lo mangio molto volentieri. Addirittura non so ancora cos’è meglio: il fegato о il pesce. E solo per gentilezza che mangio sia l’uno che l’altro. Se fossi un uomo, indubbiamente sarei о pescatore о fattorino, come quello che ci porta a casa il fegato. Sazierei a volontà tutti i galli del mondo e ovviamente non me ne starei a digiuno.
Dopo aver mangiato, Murletto si occupava di tante altre cose, cosi, per puro divertimento. Per esempio, perche non sedei e un paio d’ore alla finestra dove pende la gabbia dello stornello I addirittura piacevole osservare come svolazza uno stupido uccellino.
— Ti conosco, vecchio imbroglione! — gli gridava dall'alto lo Stornello.— È inutile che mi stai a guardare.
— E se volessi fare amicizia con te?
— Conosco la tua amicizia. Chi ha divorato di recente quel povero passerotto? Uh, come sei malvagio!
— Tutt’altro! Anzi, tutti quanti mi vogliono bene. Perche non vieni da me che ti racconto una favoletta?
— Imbroglione che non sei altro! Lo so bene come finiscono le tue favolette. Ho visto come la raccontavi a quel pollasi io fritto che hai rubato in cucina.
— Di che vuoi, io non parlo per me. A proposito de l pollastro invece l’ho mangiato veramente, però riconoscerai e licerà già fritto in padella!
III.
Ogni mattina Murletto si sistemava vicino alla cucina e ascoltava pazientemente come litigavano Latticello e Fiocchi d’avena. Non riusciva proprio a capire cosa avessero da spanile e faceva gli occhietti.
— Io sono Latticello.
— E io Fiocchi d’avena! Fiocchi d’avena, d’avena!
— No, non vi capisco proprio — diceva Murletto.— Pei quale- motivo state a litigare? Se io mi mettessi a dire: io sono il gatto, il gatto, il gatto... si offenderebbe forse qualcuno? Non ci capisco proprio niente. Benché debba riconoscere che il latte mi piace, spec ialmente quando non si arrabbia.
Una volta Latticello e Fiocchi d’avena si riscaldarono a tal punto da traboccare per metà sul fornello, emanando un odore terribile. Accorse la cuoca, agitando le mani.
- E adesso che faccio? — si lamentava togliendo tutti e due dal fornello.— Non ci si può lasciarli nemmeno per un minuto.
Dopo aver tolto dal fornello Latticello e Fiocchi d’avena, la cuoca se ne andò al mercato. Murletto colse subito l’occasione. Si accomodò vicino al latte, ci soffiò sopra e mormorò:
— Latticello, Latticello, per favore, non ti arrabbiare!
Latticello incominciò a calmarsi. Murletto gli girò intorno, soffiò di nuovo, allungò i baffi e disse con voce carezzevole:
— Ecco che vi dico, signori. Non sta bene fare lite. Prendetemi come giudice ed io subito rimetterò la pace tra di voi.
Lo Scarafaggio nero, che se ne stava in una fessura, per poco non si soffocò dalle risate: «Proprio un giudice come si deve! Ah, ah! Vecchio imbroglione, le pensa tutte lui!» Latticello e Fiocchi d’avena però erano contenti che finalmente qualcuno mettesse a posto le cose perché nemmeno loro sapevano il motivo di tanto rancore.
— Bene, bene, adesso vediamo un po’ — diceva Murletto. — Giudicherò con piena equità. Iniziamo da Latticello.
Girò un paio di volte intorno al pentolino dove se ne stava Latticello. Lo provò con una zampa, ci soffiò sopra e incominciò a leccare.
— Aiuto! — urlò lo Scarafaggio.— Berrà tutto il latte, poi se la prenderanno con me!
Quando la cuoca tornò dal mercato e fece per prendere il latte, s’accorse che il pentolino era vuoto. Murletto dormiva beato vicino alla stufa, come se niente fosse.
— Ah, birbante, sei stato tu! — lo rimbrottò la cuoca, prendendolo per un orecchio. — Chi ha bevuto tutto il latte?
Ma benché provasse dolore Murletto fece finta di non capire assolutamente niente e di non saper parlare. Quando si ritrovò fuori la porta, si dette una scrollatola, si lisciò la pollice ia in disordine, distese la coda e borbottò:
— Se fossi la cuoca, tutti i gatti non farebbero altro die bete il latte dal mattino alla sera. Comunque non me la prendo con lei. Che fare, se lei queste cose non le capisce?
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Zarevich
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«FIABE PER LA MIA BAMBINA» di Dmitrij Màmin-Sibirjak
«DMITRIJ MAMIN-SIBIRJAK: SCRITTORE RUSSO»
«ДМИТРИЙ МАМИН-СИБИРЯК, РУССКИЙ ПИСАТЕЛЬ»
FIABA 10:
«È ORA DI DORMIRE» «ПОРА СПАТЬ»
I.
Mia figlia chiude un ocсhietto e poi anche un orecchio...
— Papà, sei qua?
— Si, sono qui, figliuola.
— Lo sai, papà... vorrei diventare zarina.
E si addormenta sorridendo nel sonno.
Oh, quanti fiori! E sorridono pure loro. Hanno circondato il lettino, bisbigliano tra di loro e ridono con delle vocini sottili. Fiorellini scarlatti, azzurri, gialli, cerulei, rosa, rossi e bianchi. Come se sulla terra fosse caduto l’arcobaleno, andando poi in frantumi e formando una miriade di fuochi multicolori e di allegri occhi infantili.
La bambina vuole diventare zarina! — tintinnavano le campanule, ondeggiando al vento sulle loro sottili zampine verdi.
— Oh, come è ridicola! — mormoravano i timidi nontiscordardimé.
— Signori, questa è una questione da discutere seriamente — s’intromise Dente di leone.— Io, quanto meno, non me l’aspettavo.
— Ma che significa essere una zarina? — chiese l’azzurro Fiordaliso.— Noi che veniamo dai campi, non conosciamo le vostre abitudini cittadine.
— È molto semplice — s’intromise Garofano rosa. — E cosi semplice che non c’è niente da spiegare. La zarina è... è... Fa lo stesso, tanto non capireste. Siete proprio strani... La zarina è un fiore rosa, come me. Ovverosia la bambina vuol diventare un garofano. E chiaro, no?
Si misero a ridere tutti quanti. Soltanto le rose rimasero in silenzio. Chi non sa che la zarina di tutti i fiori è appunto la rosa, delicata, profumata, misteriosa? Ed invece, all’improvviso, un garofano qualsiasi avanza certe pretese! Veramente una cosa incredibile. Alla fine una rosa si incollerì, si fece scarlatta e proruppe:
— Eh, no! Scusate, ma la bambina vuol diventare una rosa. Perché solo la rosa è una zarina e tutti le vogliono bene.
Proprio carino quanto dite! — esclamò irritato Dente di leone. — In questo caso per chi mi prendete?
Dente di leone, non te la prendere, per carità — tentarono di calmarlo le campanule. — La collera guasta il carattere e il colorito. Per esempio, noi ce ne stiamo zitte benché sia chiaro che la bambina voglia diventare campanula.
II.
Di fiori ce n’erano tanti e tutti avanzavano le loro ragioni. I più timidi e modesti erano i fiori campestri, denti di leone, viole, nontiscordardimé, campanule, fiordalisi, garofani selvaggi. I fiori di serra come rosa, tulipani, gigli, narcisi, violacciocche si davano un po’ le arie come i bambini ricchi vestiti a feste. Ad Aljonushka invece piacevano di più i fiori campestri con i quali faceva mazzolini e coroncine. Come erano carini!
Aljonushka ci vuole bene — mormoravano le viole. — In primavera siamo le prime a spuntare. Appena se ne va la neve arriviamo noi.
- E anche noi — dicevano i mughetti. — Pure noi siamo fiori di primavera. Siamo così poco esigenti che cresciamo addirittura nei boschi.
Ma che colpa ne abbiamo noi se nei campi abbiamo freddo? — avanzavano le loro ragioni le violacciocche e i giacin¬ti. In questo paese siamo degli ospiti, la nostra patria è lontana e là non fa mai freddo e l’inverno non viene mai. Oh, che malinconia, come vorremmo tornare a casa! Qui, al nord, fa sempre freddo, però Aljonushka vuole bene pure a noi e parecchio anche...
Ma anche qui si sta bene — dissero i fiori dei campi. — Certo, a volte fa freddo, però è così bello... E poi il freddo uccide i nostri più terribili nemici come vermiciattoli e moscerini. Se non ci aiutasse il freddo per noi andrebbe male.
Anche a noi piace il freddo — aggiunsero le rose.
La stessa cosa affermarono le azalee e le camelie, perché quando erano già cresciute potevano ben affrontare i rigori del tempo.
— Signori, e se ognuno si mettesse a raccontare della sua patria d’origine — propose Narciso bianco. — Sarebbe mollo interessante. Tanto più che Aljonushka ci sta a sentire e lei ci vuole bene.
Incominciarono a parlare tutti insieme. Le rose con le lacrime agli occhi ricordarono le dolci colline della Persia, i giacinti la Palestina, le azalee l’America, i gigli l’Egitto. Erano fiori che venivano da ogni parte del mondo ed ognuno aveva tanto da raccontare. In maggioranza i fiori provenivano dalle terre calde del sud ove il sole splende tutto l’anno e dove l’inverno non si affaccia mai. Oh, le terre natie! L’eterna estate! Oli alberi giganteschi, gli uccelli meravigliosi, le farfalle multicolori, cosi somiglianti a dei fiori volanti, e tanti, tanti fiori somiglianti a delle farfalle.
— Al nord siamo solo degli ospiti, qui abbiamo freddo sussurravano i fiori del sud.
I fiori dei campi persino ne avevano compassione. Bisogna avere infatti tanta pazienza, quando soffia il gelido vento del nord, quando cade la fredda pioggia, quando fiocca la neve Benché la neve di primavera si sciolga presto, è pur sempre neve.
— Però voi avete un enorme difetto — spiegò Fiordaliso dopo aver sentito quei racconti. — Non lo metto in dubbio, a volte siete più belli di noi, semplici fiori di campo, lo ammetto volentieri Però, cari ospiti, avete il difetto di essere soltanto alla portata dei ricchi, invece noi siamo per tutti. Noi siamo molto più buoni di voi. Io, per esempio... mi potrete vedere nelle mani di ogni ragazzo di campagna. Quanta felicità noi doniamo ai figli della povera gente! Per avermi nessuno deve pagare dei soldi, basta andare nei campi. Io cresco in mezzo al grano, alla segala, all’avena.
III.
Aljonushka ascoltava tutti quei racconti immersa nello stupore. Oh, come avrebbe voluto vedere quei paesi meravigliosi di cui aveva sentito parlare!
Se fossi una rondinella, spiccherei subito il volo — esclamò alla fine. — Perché non ho anch’io le ali? Oh, come sarebbe bello essere un uccellino!
Aveva appena finito di parlare che le si avvicinò Coccinella, una vera coccinella rossa con tanti puntini neri, il capino corvino e le zampine sottili.
Aljonushka, andiamo! — le disse, muovendo i baffetti.
Ma io non ho le ali, Coccinella! Accomodati sulla mia schiena. Ma come faccio a sedermi se tu sei cosi piccina?
— Sta a vedere...
La bambina spalancò gli occhi meravigliata. Coccinella allargò le ali superiori e divenne il doppio, poi aprì le ali inferiori, leggere come una ragnatela e si fece ancora più grande. Incominciò a crescere a dismisura fino a quando si trasformò in una coccinella cosi grande da poter ospitare comodamente Aljonushka sulla schiena, in mezzo alle sue ali rosse. Ci si stava proprio molto bene.
— Stai comoda? — le chiese Coccinella.
— Assolutamente.
Bene, tieniti forte.
Nel primo istante, quando spiccarono il volo, Aljonushka chiuse gli occhi per la paura. Le sembrò che non fosse lei a volare, ma che invece volasse la terra con le sue città, i boschi, i fiumi e le montagne. Poi le parve di essere diventata piccina piccina, minuscola come la capocchia di uno spillo, leggera come la testina di un dente di leone. Coccinella intanto volava veloce, si sentiva soltanto il sibilo dell’aria tra le ali.
Guarda, cosa c’è giù — le disse Coccinella.
Aljonushka guardò in basso e spalancò le braccine.
Oh, quante rose... rosse, gialle, bianche!
Sembrava che tutta la terra fosse coperta di rose.
— Scendiamo giù, per favore.
Atterrarono e subito Aljonushka ritornò grande come era prima e Coccinella si fece piccina piccina.
La bimba si messe a correre per quel campo di rose e ne raccolse un enorme mazzo. Oh, se avesse potuto portare tutto questo campo di'rose al nord, dove le rose sono soltanto dei cari ospiti!
— E adesso proseguiamo il volo — annunciò Coccinella allargando le ali.
Ridivenne grande grande, mentre Aljonushka si fece piccola piccola.
IV.
Erano di nuovo in volo.
Come era bello! Il cielo era azzurro e in basso c’era il mare, azzurro come il cielo. Stavano volando lungo una ripida costa rocciosa.
— Come, sorvoleremo il mare? — chiese Aljonushka.
— Certo, tu sta calma e tieniti forte.
Sulle prime ebbe paura, poi le passò. E così volarono tra cielo e mare. Il mare era solcato da navi che parevano grandi uccelli. I piccoli pescherecci sembravano moschini. Oh, quanta bellezza! Più avanti si scorgeva la riva, la foce bassa, dorata e sabbiosa di un immenso fiume, una città completamente bianca, come di zucchero filato. E lontano si estendeva il deserto, senza vita, ove si levavano le piramidi. Coccinella si posò sulla riva del fiume dove crescevano i verdi papiri e meravigliosi gigli delicati.
— Come si sta bene qui da voi — attaccò a parlare Aljonushka. — E qui che non c’è mai l’inverno?
— E cos’è l’inverno? — domandarono stupiti i gigli.
— L’inverno è quando cade la neve.
— E cos’è la neve?
I gigli addirittura si misero a ridere. Pensavano che la bambina venuta dal nord volesse prendersi gioco di loro. Pei la verità ogni autunno dalle terre del nord arrivavano enormi stormi di uccelli che pure raccontavano dell’inverno, ma non l’avevano mai visto e ne parlavano per sentito dire. Pure la bambina non poteva crederci che in qualche posto non ci fosse l’inverno. Ma come, allora si può andare senza pelliccia e senza stivaletti?
Ripresero il volo. Aljonushka ormai non si meravigliava più a vedere il mare azzurro, le montagne, il deserto bruciato dal sole ove crescevano i giacinti.
— Ho caldo. Sai, Coccinella, non è poi tanto bello quando c’è sempre l’estate.
— Dipende dalle abitudini, Aljonushka.
Volarono in direzione di altissime montagne dalla cima coperta di neve eterna. Qui non faceva caldo. Oltre i monti incominciavano le foreste impenetrabili. Nel sottobosco era buio perché il sole non riusciva a penetrare attraverso le folte corone degli alberi. Tra i rami saltavano le scimmie. E quanti uccelli, verdi, rossi, gialli, azzurri! Ma ancora più incredibili erano i fiori che crescevano sui fusti degli alberi. C’erano fiori di rosso scarlatto, altri erano multicolori; alcuni somigliavano a delle farfalle, piccole e grandi. Pareva che tutta la foresta brillasse di tanti fuochi multicolori.
— Sono le orchidee — spiegò Coccinella.
La vegetazione era cosi intricata che era impossibile cammi¬nare.
Ripresero il volo e arrivarono ad un immenso fiume che scorreva tra le rive verdeggianti. Coccinella scese su un grande fiore bianco che galleggiava sull’acqua. Aljonushka non aveva mai visto fiori cosi grandi.
— E un fiore sacro — spiegò Coccinella — si chiama loto.
V.
Aljonushka aveva ormai visto tante cose da sentirsi stanca. Voleva tornare a casa, perché a casa si sta sempre meglio.
— Mi piace la neve — esclamò. — Senza la neve si sta male.
Ripresero a volare e piu si alzavano nel cielo, più faceva freddo. In breve in basso apparvero le pianure coperte di neve ove spiccavano soltanto i verdi abeti. Aljonushka si rallegrò un mondo quando vide il primo abete.
— L’abete, l’abete!
— Salve, Aljonushka! — rispose l’Abete.
Era un vero e proprio albero di Natale, Aljonushka lo riconobbe subito. Oh, come era bello! Fece per inchinarsi e dirgli che le piaceva tanto e... precipitò. Oh, che paura! Fece alcune capriole nell’aria e cadde sulla neve morbida. Per la paura chiuse gli occhi senza sapere se fosse morta о viva.
— Come sei capitata qua, piccola? — le chiese una voce.
Aljonushka apri gli occhi e vide un vecchietto ricurvo dai capelli bianchi. Lo riconobbe subito. Era il vecchietto che andava in giro a distribuire ai buoni bambini alberi di Natale, stelle dorate, scatoline piene di giocattolini meravigliosi. Oh, che bravo vecchietto! Lui la prese per mano, la copri con la sua pelliccia e domandò di nuovo:
— Ma come sei capitata qua?
— Sono stata in viaggio con Coccinella. Oh, quante cose ho visto!
— Bene, bene...
— Ma io ti conosco, sei tu che porti ai bambini gli alberi di Natale.
— Certo, adesso facciamo un albero di Natale. E le mostrò un lungo bastone che non somigliava affatto ad un albero.
— Ma questo non è un albero, è soltanto un lungo bastone.
— Sta a vedere.
Il vecchio portò Aljonushka in un villaggetto quasi sepolto dalla neve dalla quale spuntavano soltanto i tetti e i comignoli. Il vecchio era già atteso dai bambini che salticchiavano e gridavano:
— L’abete, l’abete!
Entrarono nella prima isbà. Il vecchio prese un fascio di avena, lo legò ad una estremità del bastone che poi sistemò sul tetto. Immediatamente arrivarono da ogni parte tantissimi uccellini e si misero a beccare.
— E questo il nostro albero di Natale! — pigolavano.
Aljonushka diventò d’improvviso molto allegra. Era la prima volta che vedeva un albero di Natale fatto apposta per gli uccelli.
Oh, che allegria e che buon vecchietto! Un passerotto che si dava da fare piu degli altri la riconobbe subito e gridò:
— Ma è la nostra Aljonushka! Io la conosco bene! Più di una volta mi ha dato da mangiare.
Pure gli altri passeri la riconobbero e incominciarono a pigolare tutti contenti.
Poi arrivò un passero litigioso che subito si mise a spingere gli altri e ad afferrare i chicchi migliori.
Era Passerottino, quello che aveva fatto lite con Laschetto.
Aljonushka lo riconobbe.
— Ciao, Passerottino!
— Oh, sei tu, Aljonushka? Ciao!
Passerottino salticchiava su una zampina sola, fece malizioso l’occhietto e disse al buon vecchietto:
— Ma lo sai che Aljonushka vuol diventare zarina. L’ho sentito poco fa.
— Vuoi diventare zarina, piccola?
— Eccome!
— Ottimo! Non c’è nulla di più semplice perché ogni zarina è una donna ed ogni donna è una zarina. Adesso va a casa e dillo alle altre bambine.
Coccinella tirò un sospiro di sollievo quando partirono, temeva che qualche passero potesse mangiarla. Arrivarono a casa presto presto. E là c’erano tutti i fiori in attesa che per tutto il tempo non avevano altro che discutere su cosa fosse una zarina.
Ninna nanna, ninna о о о...
Un occhietto dorme e l’altro guarda. Un orecchio dorme e l’altro ascolta. Intorno al suo lettino adesso c’erano proprio tutti: Leprotto ardimentoso, Orso, Gallo litigioso, Passerottino, Corvo, Laschetto e Moscerino.
C’erano proprio tutti.
— Papà, io voglio bene a tutti — mormorò Aljonushka, persino agli scarafaggi neri...
Si chiuse l’altro occhio e si addormentò l’altro orecchio. Intorno al lettino di Aljonushka c’era l’erba verde, sorridevano i fiori, tanti fiorellini, azzurri, rosa, gialli, blu, rossi. Sul lettino era curva una verde betulla che le sussurrava qualcosa dolcemente. Splendeva il sole in cielo, la sabbia era calda e dorata e l’onda del mare le faceva segno con la mano:
— Dormi, Aljonushka!
Ninna nanna, ninna о о о...
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«DMITRIJ MAMIN-SIBIRJAK: SCRITTORE RUSSO» «È ORA DI DORMIRE» |
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«FIABE PER LA MIA BAMBINA» di Dmitrij Màmin-Sibirjak
«DMITRIJ MAMIN-SIBIRJAK: SCRITTORE RUSSO»
«ДМИТРИЙ МАМИН-СИБИРЯК, РУССКИЙ ПИСАТЕЛЬ»
Dmitrij Mamin-Sibiriak Дмитрий Мамин-Сибиряк
«LE FIABE PER ALIONUSHKA»
«АЛЁНУШКИНЫ СКАЗКИ»
Casa Editrice «Abris» Mopsca 2018 (Pagine 256)
Издательство «Абрис» Москва 2018
Dmitrij Mamin-Sibiriak (Дмитрий Мамин-Сибиряк), il celebre prosatore e drammaturgo russo, autore delle bellissime fiabe per bambini. Cominciò a scrivere le fiabe per puro caso, per la sua figliola Aliòna o Aliònka o Aliònushka (Алёна, Алёнка или Алёнушка). In fin dei conti nel 1897 fu pubblicato il libro «Le Fiabe per Alionushka» («Алёнушкины Сказки») in cui entrarono le dieci fiabe più interessanti. In queste fiabe parlano una voce umana tutti i personaggi: animali, uccelli, pesci, insetti, piante e persino giocattoli, per esempio Zanzar-Zanzarin-Naso acuto, Orso codino ricciuto, Leprotto ardimentoso, Passerotino, Laschetto… Raccontando delle avventure divertenti degli animali e dei giocattoli, l’autore abilmente e con cognizione di causa unisce il contenuto avvincente delle fiabe e la moralità o i principi morali per far imparare ai suoi piccoli lettori a capire l’onestà, la modestia e la laboriosità. Una bellissima opera per bambini! Buona lettura!
Vorrei ricordare che le fiabe furono tradotte dal russo all’italiano e sono state pubblicate sotto il titolo «Fiabe per la mia bambina» nel 1982 dalla casa editrice russa «Progress» di Mosca nella traduzione di Aurelio Montigelli.
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«DMITRIJ MAMIN-SIBIRJAK: SCRITTORE RUSSO» Dmitrij Mamin-Sibiriak «LE FIABE PER ALIONUSHKA» Casa Editrice «Abris» Mopsca 2018 (Pagine 256) |
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«FIABE PER LA MIA BAMBINA» di Dmitrij Màmin-Sibirjak
Dmitrij Mamin-Sibirjak Дмитрий Мамин-Сибиряк
«LE FIABE DI ALJONUSHKA»
«АЛЁНУШКИНЫ СКАЗКИ»
Casa Editrice «Detskaja literatura» Mosca 2019 (Pagine 29)
Издательство «Детская литература» Москва 2019
Dmitrij Màmin-Sibiryak (Дмитрий Мамин-Сибиряк) ha iniziato a comporre queste storie per sua figlia Aljonushka (Алёнушка). E quando ha deciso di pubblicarli, li ha chiamati «Le Fiabe di Aljonushka» («Алёнушкины сказки»). Le fiabe si sono rivelate meravigliose - sagge e gentili e, a quanto pare, su tutto e tutti nel mondo: sul coraggioso Komàr Komaròvich, e sul felice Kozjavochka, sulla prudente Fly e sullo stupido tacchino ... Sul fatto che la nostra vita non è bianca o nera, lei colorati e meravigliosi, anche quando siamo tristi. E la talentuosa artista moscovita Anna Judina ha illustrato questo libro con disegni succosi e luminosi, insoliti e memorabili. Dormi, Aljonushka, dormi, bella e papà racconterà favole ...
... C'è già una luna alta che guarda fuori dalla finestra; quella lepre obliqua zoppicava sui suoi stivali di feltro; occhi di lupo accesi di luci gialle; orso L'orso gli succhia la zampa. Il vecchio Passero è volato proprio alla finestra, sbatte il naso sul vetro e chiede: quanto presto? Tutti sono qui, tutti sono riuniti e tutti stanno aspettando la fiaba di Aljonushka.
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Dmitrij Mamin-Sibirjak «LE FIABE DI ALJONUSHKA» Casa Editrice «Detskaja literatura» Mosca 2019 (Pagine 29) |
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Zarevich
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«FIABE PER LA MIA BAMBINA» di Dmitrij Màmin-Sibirjak
Ci sono nove fiabe sugli animali di Dmitrij Màmin-Sibirjak. Ma che favole! Che delizia sono queste storie! Leggeteli ai vostri bambini piccoli. Ho copiato personalmente tutte e nove le fiabe dal libro in modo che tu possa leggerle. Il libro è stato tradotto in italiano e pubblicato nel 1982 dalla casa editrice moscovita «Progress». I libri includono bellissime illustrazioni realizzate dall'artista russo Gheorghij Judin. Il libro è stato tradotto dal russo all'italiano dal traduttore Aurelio Montigelli. Il libro ha 111 pagine. Vi consiglio di trovare questo libro per leggere queste meravigliose favole ai vostri bambini.
____________ Zarevich
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