Zarevich
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«Yu-Yu» di Aleksandr Kuprìn
АЛЕКСАНДР КУПРИН «Ю-Ю» ALEKSANDR KUPRIN «YU-YU»
— Se vuoi stare a sentire, ascolta con attenzione. D'accordo? E adesso, cara bambina, lascia in pace la tovaglia e non fare le treccine con le frange...
Si chiamava Yu-Yu e all'inizio non era altro che un morbido batuffolo con due occhietti vispi e un nasino roseo. Sonnecchiava al sole sul davanzale, leccava il latte nel piattino, socchiudendo gli occhi e facendo le fusa, con la zampetta dava la caccia alle mosche sulla finestra, si rotolava sul pavimento giocando con qualche carta, con un gomitolo di filo, con la propria coda... E un giorno, senza accorgersene, al posto del solito batuffolo nero, bianco e rossiccio scorgemmo una gatta grande e grossa, dalle movenze fiere ed eleganti, una autentica bellezza, oggetto di invidia e di ammirazione.
Era diventata una micia capace di dare dei punti a qualsiasi altra sua consorella. Un manto castano scuro con macchie fiammeggianti, una candida rigogliosa pettorina, baffi un quarto di gomito, un pelame lungo e lucente, le zampe posteriori simili a due pantaloni sbuffanti, una coda come un'istrice!
— Nìka, togliti Bòbik dalle ginocchia! Non pensare che le orecchia del tuo cuccioletto siano come i mantici di un organetto. E se qualcuno facesse la stessa cosa a te? Smettila, se no, non vado più avanti...
Dunque. Ma la cosa più bella in lei era il carattere. E tu facci caso, Nika. Vìviamo accanto a molti animali e di loro sappiamo ben poco. Non ce ne interessiamo. Prendiamo, per esempio, tutti i cani che noi conosciamo. Ognuno ha delle abitudini, un carattere. La stessa cosa è per le gatte, i cavalli, gli uccelli.
Ma, hai mai visto qualcuno con l'argento vivo addosso come te? E adesso perché premi la palpebra con il dito mignolo? Così ti sembra che la lampada si sdoppia, prima ne vedi una e poi due. Non toccare mai gli occhi con le mani...
E non credere a chi ti parla male degli animali. Ti diranno: l'asino è stupido. Quando di qualcuno si vuoi dire che non brilla per l'intelligenza ed è peraltro testardo e infingardo, delicatamente lo si definisce un asino. Ricorda invece che l'asino oltre che intelligente è un animale obbediente, affezionato, laborioso. È quando lo si vuoi caricare al di là delle sue forze oppure lo si scambia per un cavallo da corsa che l'asino si arresta e dice: "Fa quello che vuoi, ma questo è troppo per me". E veramente lo si può picchiare quanto si vuole, non si sposterà di un passo.
11 cavallo è tutta un'altra cosa. È impaziente, nervoso e non dimentica i torti subiti. In compenso ce la mette tutta, fa più di quanto possa, sino a morire di zelo...
Oppure dicono: stupido come un'oca... Quando non c'è volatile più intelligente al mondo! L'oca riconosce i padroni dalla camminata. Per esempio, il padrone torna a casa a notte tarda. Attraversa la strada, apre la porta, attraversa il cortile e le oche se ne stanno zitte. Ma appena uno estraneo si azzarda a penetrare nel cortile le oche incominciano a starnazzare all'impazzata.
E che... Nika, smettila di masticare la carta, toglila di bocca! E che genitori affettuosi sono, se tu sapessi! Covano le uova a turno. Il maschio è addirittura più coscienzioso della femmina. Se questa nei momenti di libertà, come è consuetudine tra le femmine, esagera a chiacchierare con le compagne vicino all'abbeveratoio, allora il suo signore e sovrano esce, la prende per il collo con il becco e con gentile fermezza la riporta al nido e al suo dovere materno. Così stanno le cose!
E come è comico vedere tutta la famiglia a passeggio. In testa c'è lui, padrone e tutore. Per l'orgoglio e l'importanza il becco è puntato al cielo. Guarda dall'alto in basso tutti gli altri volatili. Guai al cagnolino inesperto o alla bambina incosciente, come te, per esempio, che non gli cede il passo: striscerà al suolo, sibilando come una bottiglia di gassosa, spalancherà il duro becco e il giorno dopo Nika camminerà con un grosso livido sotto il ginocchio e il cagnolino scuoterà ancora l'orecchio dolorante.
I figli, eli color verde-paglierino, come la bambagia di una corolla in fiore, seguono il padre, in fila, stringendosi l'uno all'altro, stridendo piano, il collo nudo, le zampette incerte; non credi che un giorno si faranno grandi come il padre e la madre. La madre chiude la sfilata. E’ impossibile descriverla a dovere: è tutta trionfa e beata! "Che tutto il mondo veda con meraviglia che marito e che figli stupendi ho avuto in sorte. Come moglie, come madre non spetterebbe a me dirlo, però la verità è la verità, sono i migliori del mondo". E via, ondeggiando, a passo d'oca, per l'appunto...
Ricorda un'altra cosa, Nika, meno di tutti vanno a finire sotto le automobili proprio le oche e i bassotti, cosi somiglianti a dei coccodrilli, e guarda che è difficile dire chi è il più goffo tra loro.
Oppure prendiamo il cavallo. Cosa si dice del cavallo? Che è stupido, che è dotato soltanto di bellezza, sa correre ed ha memoria per i luoghi. A parte questo è stupido come una campana e per di più miope, capriccioso, diffidente, poco legato all'uomo. Ma raccontano queste cose assurde le persone che mantengono i cavalli in stalle tenebrose, che ignorano la gioia di allevare un puledrino, che non sanno quanto un cavallo sappia essere grato a chi lo lava, lo striglia, a chi lo porta dal maniscalco, a chi gli dà l'acqua e la biada. Gente simile sa fare una cosa sola: montare in sella e sempre con la paura di ricevere un calcio, un morso o di essere sbalzati di groppa. A costoro non verrà mai in mente di rinfrescare al cavallo la bocca, di scegliere una strada più comoda, di abbeverare l'animale a tempo debito e nel modo dovuto, di coprirlo durante le soste con una coperta o col proprio mantello... Perché il cavallo dovrebbe avere rispetto per una persona simile? È quello che ti chiedo io.
Interroga invece un qualsiasi autentico cavaliere e ti risponderà che non c'è animale più intelligente, più buono, più nobile del cavallo, a condizione però che capiti in mano a gente buona e comprensiva.
Per gli arabi il cavallo è uno di famiglia. All'attenzione del cavallo, come alla bambinaia più fedele, vengono affidati i bambini. Puoi stare tranquilla, Nika, che un cavallo simile schiaccerà gli scorpioni e prenderà a calci qualsiasi animale selvaggio. E se qualche mocciosetto sgattaiolerà a quattro zampe verso i cespugli spinosi, dove ci sono i serpenti, il cavallo lo afferrerà delicatamente per la camiciola e lo riporterà nella tenda: "Stattene qui, buono e tranquillo".
E capita che i cavalli muoiano per nostalgia dei padroni e che piangano vere e proprie lacrime.
I cosacchi di Zaporòzhje cosi cantavano di un cavallo e del suo padrone caduto in battaglia. Il corpo suo giace nel campo.
La cavalla intorno a lui scalpita e le mosche con la coda scaccia negli occhi lo rimira e in volto soffia il suo respiro.
Che ne dici? Chi ha ragione? I cavalieri della domenica o quelli autentici?
Ah, ma tu non hai dimenticato che sì parlava della gatta? Bene, allora ritorniamo a lei.
Peccato, però, perché vorrei raccontarti tante altre cose, di come sono intelligenti e amanti della pulizia i tanto calunniati porcelli, dei corvi che conoscono almeno cinque modi per ingannare un cane alla catena e strappargli l'osso, di come i cammelli... Ho capito, lasciamo stare i cammelli e parliamo della gatta.
Yu-Yu dormiva in casa dove voleva: sui divani, i tappeti, le sedie, il pianoforte, sugli spartiti. Le piaceva sdraiarsi sui giornali coperta dai fogli superiori. Nell'inchiostro da stampa c'è qualcosa di appetitoso per l'olfatto felino, a parte il fatto che la carta conserva bene il calore.
Quando la casa incominciava a svegliarsi, la sua prima visita era obbligatoriamente per me e sempre dopo aver sentito, con il suo udito sensibile, il fresco vocino del bimbo dalla stanza accanto.
Col musetto e le zampette Yu-Yu apriva la porta socchiusa, entrava e saltava sul letto, mi spingeva col naso rosato la mano o la guancia e diceva concisamente: «Murrm».
In tutta la sua vita non l'ho mai sentita miagolare; emetteva soltanto questo suo suono, alquanto musicale: «Murrm». Ma era un suono dalle molteplici sfumature, con le quali poteva esprimere tenerezza e allarme, una richiesta, un rifiuto, riconoscenza, insofferenza o rimprovero. Un breve «murrm» significava sempre: «seguimi».
Saltava sul pavimento e senza voltarsi si dirigeva verso la porta. Non dubitava affatto del mio spirito di obbedienza.
Le davo retta. Mi vestivo in fretta, uscivo nel corridoio oscuro. Lanciando sprazzi di luce con i crisoliti verde-giallo dei suoi occhi Yu-Yu mi aspettava accanto alla porta che portava nella stanza ove di regola dormiva con la mamma un ometto di quattro anni. Aprivo la porta, un «murrm» riconoscente appena accennato, un rapido movimento del suo corpo agile e flessuoso, un zigzag con la coda e Yu-Yu scivolava dentro.
E qui si svolgeva la cerimonia mattutina dei saluti. Sulle prime con un salto sul letto della mamma e un «Murrm»!
Buongiorno, padrona!" si compiva un dovere quasi ufficiale. Un colpetto di naso sulla mano e sulla guancia e tutto era finito. Ritorna sul pavimento e con un salto oltre la rete è già nel lettino. Da ambedue le parti l'incontro è molto tenero. «Murrm, murrm! Salve, amico mio! Hai dormito bene?»
— Yu-Yùscenka! Yùscenka! La mia cara Yùscenka!
E la voce dall'altro letto:
— Kòlja, cento volte ti ho detto di non baciare la gatta. I
gatti sono portatori di microbi...
Yu-Yu non si abbassa mai a chiedere qualcosa. (Per i servigi resi ringrazia di cuore ma brevemente.) Però ha studiato alla perfezione i passi e l'ora dell'arrivo del garzone del macellaio. Se è fuori aspetta la carne sulla soglia, se è in casa va in cucina incontro alla carne. Con incredibile destrezza apre da sola la porta della cucina. Qui non c'è una maniglia rotonda, come nella camera del bimbo, ma una maniglia di rame, lunga. Yu-Yu prende la rincorsa, salta e si aggrappa all'estremità della maniglia con le due zampe anteriori, con quelle posteriori si appoggia alla parete. Due o tre spinte con tutto il corpo flessuoso e la maniglia cede e la porta si dischiude. Il resto è facile.
Capita a volte che il garzone se ne stia a lungo a trafficare con la carne, a tagliare e a pesare. Per l'impazienza allora Yu-Yu con gli unghielli si aggrappa al piano del tavolo e incomincia a dondolarsi avanti e indietro come al circo un artista alla sbarra. Ma in silenzio.
Il ragazzo è un infingardo roseo e allegro. Ama con passione tutti gli animali ed è veramente innamorato di Yu-Yu. Ma Yu-Yu non gli consente nemmeno di toccarla. Uno sguardo altero e un salto, via. È una gatta piena di orgoglio. Per lei il ragazzo è soltanto una persona che le porta la carne quotidiana. Tutto ciò che va oltre la sua casa, la sua protezione e la sua benevolenza non merita altro che uno sguardo di freddezza regale. Noi siamo accettati con condiscendenza.
A me piaceva obbedire ai suoi ordini. Per esempio, sto lavorando nell'orto strappando pensieroso i rampolli superflui dei meloni, non è cosa da poco. C'è afa, il sole estivo scotta e la terra è calda. Silenziosa si avvicina Yu-Yu.
«Murrini»
Vuoi dire: «Venite, voglio bere».
Mi raddrizzo a fatica. Yu-Yu si è già incamminata. E non si volgerà nemmeno una volta. Avrò forse il coraggio di rifiutare o di non affrettarmi? Dall'orto mi guida nel cortile, poi in cucina e attraverso il corridoio, nella mia camera. Con gentilezza apro dinanzi a lei tutte le porte, cedendole il passo rispettosamente. In camera mia salta senza fatica sul lavandino ove è stata allacciata l'acqua corrente, trova con destrezza sugli angoli di marmo tre punti di appoggio per tre zampe, la quarta le serve da bilanciere; mi guarda al di sopra dell'orecchio e dice:
«Murrm. Aprite l'acqua»
Faccio scendere dal rubinetto un argenteo sottile filo d'acqua. Allungando con grazia il collo Yu-Yu lecca velocemente l'acqua con la sua linguetta rosea.
I gatti bevono di rado, ma molto e a lungo. A volte, per un esperimento scherzoso, apro appena appena il rubinetto facendo scendere delle rade gocce d'acqua.
Yu-Yu è scontenta. Con impazienza, nella sua posizione scomoda, si sposta, volta il capo a guardarmi. Due topazi paglierini mi fissano con forte rimprovero.
«Murrm! Smettete queste sciocchezze!»
E più di una volta picchia col naso sul rubinetto.
Ho vergogna, chiedo scusa e apro il rubinetto come si deve.
Oppure Yu-Yu è seduta sul pavimento dinanzi all'ottomana, ha vicino un foglio di giornale. Entro e mi fermo. Yu-Yu mi guarda con attenzione, immobile, con gli occhi fissi. La osservo. Trascorre cosi un minuto. Nello sguardo di Yu-Yu leggo senza difficoltà:
"Sapete cosa mi serve, ma fate finta di non capire. È inutile perché non vi chiederò niente".
Mi chino a raccogliere il giornale e subito sento un lieve salto. È già sull'ottomana. Lo sguardo è già meno severo. Piego in due il foglio e la copro. Si scorge soltanto la coda morbida che a poco a poco viene ritirata sotto quel tetto di carta. Un paio di fruscii e poi silenzio. Yu-Yu dorme. Esco in punta di piedi.
Con Yu-Yu capitavano delle ore particolari di serena felicità familiare. Era quando scrivevo la notte, lavoro alquanto logorante in cui però, prendendoci l'abitudine, vi si può trovare molta tranquilla letizia.
Il pennino graffia la carta ma all'improvviso non trovi una parola molto necessaria. Ti fermi. Che silenzio! Il petrolio fischia appena appena nella lampada, nelle orecchie sembra di sentire la risacca e la notte sembra divenire ancor più silenziosa. Dormono gli uomini e tutti gli animali, il cavallo, gli uccelli, i bambini, i giocattoli di Kolja nella stanza accanto. Anche i cani non abbaiano, dormono. Gli occhi si illanguidì scono, i pensieri si dissolvono e si disperdono. Dove sono? Nel folto del bosco o in cima ad una alta torre? E sussulti per un morbido colpetto. Yu-Yu salta agilmente sul tavolo. Non capisco quando sia venuta.
Si gira un po' sul tavolo, si rivolta, sceglie per bene il suo posto e si accomoda accanto, alla mia destra, gomitolo soffice e arcuato; le quattro zampe sono nascoste, sporgono appena appena i due vellutati guantini anteriori.
Riprendo a scrivere con passione e lena rinnovate. A volte, senza muovere il capo, getto una rapida occhiata alla gatta che mi siede di tre quarti. Il suo enorme occhio di smeraldo fissa la fiamma, al centro si scorge, sottile come il taglio di una lama, la fessura della pupilla nera. Yu-Yu riesce a cogliere il rapido movimento delle mie ciglia e subito gira verso di me il suo musetto elegante. Le sottili fessure si aprono e diventano due splendenti occhi neri circondati da un sottile orlo ambrato. Va bene, Yu-Yu, continuiamo a scrivere.
Il pennino graffia la carta. Senza fatica scorrono le parole, accurate, lisce. In obbediente varietà nascono le frasi. Il capo però si fa sempre più pesante, la schiena è dolorante, incominciano a tremare le dita della destra. Forse è ora.
Anche Yu-Yu pensa di sì. Ha già trovato un divertimento. Segue attentamente le righe che si allineano sulla carta, con gli occhi tiene dietro alla penna e fa finta che dal pennino io faccia uscire delle piccole mosche nere. E all'improvviso la zampa si abbatte sull'ultima mosca. Il colpo è preciso e veloce e il sangue nero si sparge sulla carta. Andiamo a letto, Yu-Yu. Facciamo dormire sino al mattino anche le mosche.
Dalla finestra si possono già distinguere le linee confuse del mio frassino preferito. Yu-Yu si accomoda ai miei piedi sulla coperta.
Un giorno si ammalò Kolja, l'amico e il tormentatore di Yu-Yu.
Alla gatta fu proibito l'accesso al malato. Forse, una decisione giusta. Potrebbe far cadere qualcosa, svegliare, spaventare il piccolo. Non si dovette faticare a lungo per allontanarla dalla camera dei bambini. In breve comprese la situazione, però si sistemò, come un cane, sul nudo pavimento, proprio sulla soglia, allungando il suo nasino roseo sotto lo spiraglio della porta. E così rimase tutti quei giorni tristi, fatta eccezione per i pasti e qualche breve passeggiata. Era impossibile allontanarla, inoltre ne avevamo pena. La gente la scavalcava quando entrava e quando usciva, la spingeva con i piedi, le saliva sulla coda o sulle zampette, la scostava con fretta e impazienza. Allora gemeva un poco, cedeva il passo e ritornava al suo posto. Non mi era mai capitato di sentire o di vedere un tale comportamento. Benché i medici siano abituati a non stupirsi mai, il dottor Scevcenko disse una volta con un sorrisetto condiscendente:
"Che gatto comico avete. Fa la guardia. È strano..."
Ah, Nika, per me non c'era niente di comico o di strano. E da allora nutro in cuore una tenera riconoscenza per la memoria di Yu-Yu, grato della sua partecipazione al nostro dolore...
Strana invece fu un'altra cosa. Quando dopo l'ultima grave crisi il male indietreggiò e Kolja entrò in guarigione e gli si permise di mangiare tutto e persino di giocare, Yu-Yu abbandonò il suo posto di guardia. E senza vergogna, a lungo si rifece sul mio letto del sonno perduto. Durante la prima visita a Kolja non dette segno di particolare emozione. Il bimbo la strinse, la strizzò, la coprì di tanti nomignoli affettuosi. Yu-Yu svincolò agilmente dalle sue braccia ancora deboli, esclamò «murrm», saltò a terra e andò via.
Adesso, cara Nika, ti racconterò delle cose alle quali forse non crederai. Coloro ai quali le ho narrate mi hanno ascoltato con un sorriso, un po' incredulo, un po' malizioso, un po' forzatamente condiscendente. Gli amici invece a volte mi hanno detto apertamente: "Ma che fantasia avete, voi scrittori! C'è proprio da invidiarvi, dove si è mai sentito che un gatto voglia parlare al telefono?"
E invece si accingeva proprio a farlo. Senti come è andata.
Kolja si era alzato dal letto smagrito, pallido, le labbra esangui, gli occhi affossati, le braccine appena rosate, quasi trasparenti alla luce. Ma la bontà umana è una forza immensa e inesauribile. In compagnia della mamma si riuscì a mandare Kolja in un ottimo convalescenziario a circa duecento verste da casa. Il convalescenziario poteva collegarsi per telefono con Pietrogrado e, con una certa insistenza, si poteva avere il collegamento con il nostro paesello, con la nostra casa di campagna. La mamma di Kolja si rese subito conto di tutto questo e un giorno con vivissima gioia e addirittura con un certo meraviglioso stupore sentii le voci a me care: prima una voce di donna, un po' stanca e indaffarata e poi quella allegra e vezzosa del bimbo.
Dopo la partenza dei suoi amici piccoli e grandi Yu-Yu aveva attraversato un lungo periodo di allarme e di perplessità. Vagava per le stanze infilando il naso in ogni angolo. Ed emetteva un suono nuovo: «Mik». Per la prima volta durante la nostra lunga conoscenza sentii da lei questa parola. Non so cosa significasse nella lingua felina, quindi mi astengo dall'interpretarla e dirò che risuonava più o meno come: "Che è successo? Dove sono andati a finire?".
E mi guardava con i suoi occhi verde-giallo nei quali leggevo stupore e un impellente interrogativo.
Come dimora aveva scelto di nuovo il pavimento, in un angolo tra la scrivania e il letto. Inutilmente la invitavo sulla morbida poltrona o sul divano; si rifiutava e quando la portavo in braccio, dopo qualche minuto, con gentilezza saltava giù e ritornava nel suo angolo oscuro, duro e freddo.
L'apparecchio telefonico si trovava nel minuscolo ingresso, su un tavolo rotondo, vicino ad uno sgabello di vimini. Non ricordo come fu, ma un giorno durante una conversazione telefonica con il convalescenziario trovai Yu-Yu ai miei piedi; ricordo soltanto che fu proprio all'inizio. Ma in breve la gatta incominciò ad accorrere ad ogni chiamata telefonica ed infine elesse domicilio nell'ingresso.
Capii Yu-Yu molto tardi e soltanto quando durante una mia tenera conversazione con Kolja la gatta mi saltò sulla spalla e tenendosi in equilibrio allungò il suo musetto peloso con le orecchie in attesa.
Io pensai: "I gatti hanno proprio un udito meraviglioso, quanto meno migliore dei cani e di gran lunga superiore a quello dell'uomo". Spesso, quando tornavamo tardi la sera, Yu-Yu, sentendo da lontano i nostri passi, ci veniva incontro tre strade prima di casa. Significa che conosceva molto bene i suoi.
Un'altra cosa. C'era un ragazzino di quattro anni, Georgik, vivacissimo. La prima volta che venne da noi tediò a morte la gatta, la tirò per le orecchie e per la coda, la strizzò in ogni modo, la portò di stanza in stanza stringendola intorno alla pancia, cosa che lei non sopportava affatto. Però, per la sua innata delicatezza, non sfoderò mai le unghie. In compenso ogni volta che poi venne Georgik, due settimane, un mese e anche più dopo, era sufficiente che Yu-Yu sentisse la sua voce squillante sulla soglia che con mugolio lamentoso corresse a nascondersi: in estate saltava attraverso la prima finestra aperta e in inverno si rifugiava sotto il divano o sotto il comò. Indubbiamente aveva buona memoria.
"Non c'è nulla di strano — pensai io — che abbia riconosciuto la voce di Kolja e si sia affrettata a guardare dove fosse nascosto il suo amichetto del cuore".
Avevo il desiderio di controllare la mia supposizione. La sera stessa scrissi una lettera descrivendo accuratamente la condotta della gatta e pregai Kolja perché la prossima volta che avesse parlato con me al telefono si ricordasse di pronunciare al microfono le tenere paroline che in casa diceva a Yu-Yu. Io avrei portato il ricevitore all'orecchio della gatta.
In breve ricevetti la risposta. Kolja si diceva commosso per il ricordo che Yu-Yu serbava di lui, le mandava tanti saluti. Avrebbe parlato al telefono due giorni dopo; il terzo giorno, dopo aver fatto i bagagli, sarebbero tornati a casa.
E veramente, il giorno dopo al telefono mi annunciarono che mi chiamavano dal convalescenziario. Yu-Yu mi stava accanto ed io la presi sulle ginocchia. Risuonò la voce fresca ed allegra di Kolja. Quante nuove impressioni e conoscenze! Quante domande, richieste e disposizioni! Riuscii appena appena a ricordare la mia preghiera:
— Caro Kolja, adesso porto all'orecchio di Yu-Yu il telefono. Digli le tue solite paroline dolci.
— Quali paroline? Non conosco nessuna parolina, — disse seccata la vocetta infantile.
— Kolja, Yu-Yu ti sente. Digli qualcosa di carino. Ti prego.
— Ma io non so che dire. Non ricordo. E tu mi compri una gabbietta per gli uccelli come quelle che qui appendono alle finestre?
— Su, Kolja, fa il bravo bambino, hai promesso di parlare con Yu-Yu.
Ma io non so parlare come i gatti. Ho dimenticato.
Ad un tratto nel ricevitore si senti uno scatto e risuonò la voce aspra della telefonista:
- Non dite stupidaggini. Mettete a posto il telefono. Ci sono altri clienti che aspettano.
— Un altro scatto e il ronzio al telefono tacque.
— L'esperimento con Yu-Yu non riuscì. Peccato. Sarebbe stato interessante vedere la nostra intelligente gattina rispondere con il suo tenero «murrm» alle dolci parole a lei destinate.
— Questa è tutta la storia di Yu-Yu.
— Poco tempo fa Yu-Yu è morta di vecchiaia e adesso abbiamo un gatto brontolone, dal pancione vellutato. Ma di lui, cara Nika, parleremo un'altra volta.
Traduzione dal russo all'italiano di Aurelio Montingelli
____________ Zarevich
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