A chi avrà la pazienza di leggere auguro buona lettura :wink:
Nikolaj Berdjaev
STAVROGIN
Da “Il Pensiero Russo”, 1914
STAVROGIN
Da “Il Pensiero Russo”, 1914
La rappresentazione dei Demoni al Teatro d’Arte nuovamente rivolge la nostra attenzione ad una delle più intriganti figure non solo di Dostoevskij ma di tutta la letteratura mondiale. Il rapporto dello stesso Dostoevskij con Nikolaj Vsevolodovič Stavrogin è sorprendente. Egli è romanticamente innamorato del proprio eroe, prigioniero e rapito da esso. Mai e di nessuno egli fu tanto innamorato, nessuno egli dipinse così romanticamente. Nikolaj Stavrogin è la passione, la tentazione, il peccato di Dostoevskij. Altri egli li disegnò come idee, Stavrogin lo conosce come il male e la morte. E tuttavia lo ama e non lo cederebbe a nessuno, non lo concederebbe a nessuna morale, a nessun annuncio religioso. Nikolaj Stavrogin è un bell’uomo, un aristocratico, orgoglioso, smisuratamente forte, “Ivan Zarevič”, “il principe Harry”, “il falco”; tutti si aspettano da lui qualcosa di inusuale e grandioso, tutte le donne sono innamorate di lui; il suo viso è una maschera meravigliosa, egli è tutto un enigma e un mistero, tutto fatto di opposizioni polari, tutto ruota attorno a lui, come al sole. E questo stesso Stavrogin è una persona spenta, inanimata, inetta a creare e vivere, assolutamente impotente nei sentimenti, priva di un desiderio abbastanza forte per alcuna cosa, incapace di compiere la scelta fra i poli del bene e del male, della luce e della tenebra, incapace di amare una donna, indifferente a tutte le idee, disincantata e isterilita fino alla morte di tutto l’umano, venuta a contatto con una grande dissoluzione, schizzinosa nei confronti di tutto, quasi incapace di un discorso articolato. Sotto la bella, fredda, rigida maschera del volto di Stavrogin sono sepolte passioni spente, forze consumate, grandi idee, smisurate, incontenibili, aspirazioni umane. Nei Demoni non viene data una soluzione diretta e chiara del mistero di Stavrogin. Per risolvere questo mistero occorre penetrare più a fondo e oltre il romanzo stesso in ciò che precede la sua stessa azione chiarificatrice. E il mistero dell’individualità di Stavrogin può essere risolto solo con l’amore, come ogni mistero dell’individualità. Comprendere Stavrogin e i Demoni come una tragedia simbolica è possibile solo attraverso la creazione di un mito, attraverso la scoperta intuitiva del mito di Stavrogin come manifestazione universale. Se leggeremo una morale religiosa sul cadavere di Stavrogin, non avremo capito nulla di lui. Non è possibile rispondere con il catechismo alla tragedia degli eroi di Dostoevskij, alla tragedia di Raskol’nikov, di Myshkin, di Stavrogin, di Versilov, di Ivan Karamazov. Ciò svilisce la grandezza di Dostoevskij, nega tutto ciò che in lui è autenticamente nuovo e originale. Tutte le dottrine positive e le piattaforme del “Diario di uno scrittore” sono tanto misere e piatte in confronto alle rivelazioni delle tragedie di Dostoevskij! Dostoevskij è testimone di un senso positivo nel passaggio attraverso il male, attraverso prove senza fondo e attraverso l’ultima libertà. Attraverso l’esperienza di Stavrogin, di Ivan Karamazov ecc. si svela il nuovo. L’esperienza stessa del male è una via, e la morte su questa via non è una morte eterna. Dopo la tragedia di Stavrogin non vi è ritorno a ciò da cui si è separato sulla via della sua vita e morte. L’azione nel romanzo dei Demoni comincia dopo la morte di Stavrogin. La sua vita autentica è stata nel passato prima dell’inizio dei Demoni. Stavrogin si è spento, si è esaurito, è morto, e dal cadavere è stata tolta la maschera. Nel romanzo in mezzo all’isteria collettiva compare soltanto questa maschera morta, spaventosa ed enigmatica. Stavrogin non c’è già più nei Demoni, e nei Demoni non c’è nulla e nessuno, a parte lo stesso Stavrogin. In questo risiede il senso simbolico della tragedia dei Demoni. Nei Demoni c’è un duplice senso e un duplice contenuto. Da un lato, è un romanzo con una fabula realistica, con variegati personaggi in scena, con un contenuto oggettivo della vita russa. La spinta esterna per la stesura dei Demoni fu l’affare di Nechaev. Da questo lato nei Demoni ci sono molti difetti, molte inesattezze, che rasentano il libello. Il movimento rivoluzionario della fine degli anni Sessanta non fu cos’ come viene rappresentato nei Demoni. In questo romanzo realistico ci sono anche dei difetti artistici. Ciò che apparve a Dostoevskij riguardo alla rivoluzione russa e il rivoluzionario russo, riguardo alle profondità religiose, nascosto dietro alla facciata esteriore di un movimento politico-sociale, fu più che altro una profezia di ciò che sarebbe stato, che si sarebbe verificato nella vita russa, piuttosto che una attendibile riproduzione di ciò che era stato. Gli Shatov e i Kirillov con i loro definitivi, estremi tormenti religiosi apparvero da noi solo nel XX secolo, quando si scoprì la natura non politica dei rivoluzionari russi, per i quali la rivoluzione non era una costruzione sociale, ma una salvezza universale. Dostoevskij anticipò Nietzsche e molte cose scoperte solo ora. Ma io non propongo di osservare i Demoni da questo lato, tra l’altro abbastanza chiaro. I Demoni sono anche una simbolica tragedia universale. E in questa simbolica tragedia c’è solo un personaggio attivo: Nikolaj Stavrogin e le sue emanazioni. Come la tragedia interiore dell’animo di Stavrogin voglio indagare i Demoni, perché fino ad oggi non è stata sufficientemente indagata. In realtà tutto nei Demoni non è altro che il destino di Stavrogin, la storia dell’anima di una persona, delle sue infinite aspirazioni, delle sue creazioni e della sua morte. Il tema dei Demoni come tragedia universale è un tema su come una enorme personalità, la persona di Nikolaj Stavrogin, si sia tutta dissanguata, esaurita nell’isteria da essa creata e ed emanata.
Incontriamo Nikolaj Stavrogin quando egli già non possiede più alcuna forza spirituale creativa. Egli non è già più capace di nulla. Tutta la sua vita è nel passato, Stavrogin è una persona creativa e geniale. Tutte le idee più recenti e radicali sono nate in lui: ire del popolo russo portatore di Dio, l’idea dell’Uomo-Dio, l’idea della rivoluzione sociale e del formicaio umano. Le grandi idee sono uscite da lui, hanno dato alla luce altre persone, in altre persone sono passate. Dall’animo di Stavrogin sono usciti Shatov e P. Verchovenskij e Kirillov e tutti i personaggi dei Demoni. Nell’animo di Stavrogin sono nati e da lui sono emanati non solo i potatori di idee, ma anche tutti questi Lebjadkin, Lutughiny, tutte le basse gerarchie dei Demoni, gli spiriti elementari. Dall’erotismo dell’animo di Stavrogin sono nate anche tutte le donne dei Demoni. Da lui si dipartono tutte le linee. Tutti vivono di ciò che un tempo è stata la vita interiore di Stavrogin. Tutti sono infinitamente in debito con lui, tutti sentono la propria origine da lui, tutti da lui attendono qualcosa di grande e smisurato, sia nelle idee che nell’amore. Tutti sono innamorati di Stavrogin, uomini e donne. P. Verchovenskij e Shatov non meno di Liza e della Zoppa, tutti sono affascinati da lui, tutti lo adorano come un feticcio e nello stesso tempo lo odiano, lo offendono, non possono perdonare a Stavrogin il suo odio schifiltoso nei confronti delle sue stesse creazioni. Le idee e i sentimenti di Stavrogin si sono staccati da lui e si sono democratizzati , volgarizzati. E le sue stesse idee e sentimenti diffusisi provocano in lui disgusto e repulsione. Nikolaj Stavrogin è innanzitutto un aristocratico, un aristocratico dello spirito e un signore russo. A dostoevskij era estraneo l’aristocratismo e solo attraverso il suo innamoramento per Stavrogin egli ha compreso e artisticamente riprodotto questo spirito. Questo stesso aristocratico si ripete in Versilov, per molti versi simile a Stavrogin. Lo sconfinato aristocratico di Stavrogin lo rende insocievole, asociale. Egli è un individualista radicale, le sue idee universali sono solo la tragedia del suo spirito, del suo destino, del destino dell’uomo.
In che cosa consiste la tragedia dello spirito di Stavrogin, in che cosa consiste il mistero e l’enigma della sua personalità esclusiva? Come è possibile comprendere l’impotenza di Stavrogin, la sua morte? Stavrogin rimane una irrisolta contraddizione e suscita sentimenti contrastanti. Avvicinare alla risoluzione di questo enigma può soltanto il mito di Stavrogin come personalità creativa universale, che non ha creato nulla, ma che si è dissanguata tutta, si è prosciugata nei demoni da essa emanati. Si tratta della tragedia universale dell’esaurimento a causa dell’eccesso, la tragedia della necrosi e della morte di una individualità umana causa dell’ardire a smisurate, infinite aspirazioni, dimentiche di ogni limite, scelta o strutturazione. “Ho provato dappertutto la mia forza… Su prove per me stesso e per mettermi in mostra, come precedentemente in tutta la ma vita essa si è rivelata sconfinata… Ma a cosa applicare questa forza, ecco cosa non ho mai visto e non vedo nemmeno ora… Io posso ad ogni momento, come sempre anche prima, desiderare di fare una azione buona e ricevo da ciò soddisfazione; nel contempo desidero anche il male e allo stesso modo provo soddisfazione… Ho sperimentato una grande dissolutezza e ho esaurito le mie forze; ma io non amo e non volevo la dissolutezza… Io non potrò mai perdere il senno e mai potrò credere in una idea fino a tal punto come lui (Kirillov). Io non sono nemmeno in grado di occuparmi di una idea fino a quel punto.” Così scriveva Nikolaj Stavrogin riguardo a sé a Dasha. Ma egli scriveva questo quando si era già tutto esaurito, dissanguato, necrotizzato, aveva smesso di esistere, quando non desiderava già più nulla e non si tendeva più a nulla. Gli toccò di dimostrare con la sua vita e la sua morte che desiderare tutto senza scelta e senza limite, elementi a fondamento dell’immagine dell’uomo, e non desiderare nulla, sono la stessa cosa, e che una quantità illimitata di energie non indirizzate a nulla e una perfetta impotenza, anch’esse coincidono.
A quest’uomo creativo e caratterizzato dall’eccesso dei desideri non è stato concesso di creare alcunché, non è stato concesso di vivere, di restare vivo. L’eccesso dei desideri ha portato a una assenza di desideri, l’illimitatezza della personalità a una perdita di personalità, l’squilibrio della forza ha portato alla debolezza, la disorganica pienezza di vita all’assenza di vita e alla morte, un erotismo sfrenato alla impossibilità di amare. Stavrogin ha sperimentato e provato tutto, come le grandi, estreme idee, così una grande ed estrema dissolutezza e spudoratezza. Egli non poteva desiderare fortemente una cosa e ad una cosa abbandonarsi. Corrono oscure voci che egli sia appartenuto ad una società segreta di corruzione degli adolescenti e che il marchese De Sade avesse avuto di che invidiarlo. Il mediocre Shatov, ricevendo da plebeo la grande idea di Stavrogin, con accanimento gli chiede se davvero il portatore di una grande idea avesse potuto compiere tutto ciò. Egli idolatra Stavrogin e lo odia, vuole ucciderlo. Con la stessa spaventosa voluttà dell’eccesso Stavrogin trascina per il naso o morde all’orecchio un uomo del tutto innocente. Egli cerca l’estremo, lo sconfinato come nel bene, così anche nel male. Solamente il sacro gli sembrerebbe troppo poco, in ogni cosa egli ha bisogno di oltrepassare i limiti e i confini fin dentro la tenebra, il male, il demoniaco. Egli non potrebbe e non vorrebbe compire la scelta tra Cristo e l’anticristo, tra il Dio-uomo e l’ Uomo-DIo. Egli affermerebbe sia l’Uno che l’altro ad un empi, egli vorrebbe tutto, tutto il bene e tutto il male, vorrebbe lo sconfinato, l’illimitato, ciò che è senza frontiere. Affermare solo l’anticristo e rifiutare Cristo, anche questa sarebbe una scelta, un limite, un confine. Ma nell’animo di Stavrogin viveva anche la coscienza del Dio-Uomo e Cristo egli non volle rifiutarlo nell’immensità delle proprie aspirazioni. Ma affermare ad un tempo Cristo e l’anticristo significa perdere tutto, diventare povero, non possedere nulla. A causa dell’eccesso si verifica l’esaurimento. Nikolaj Stavrogin è una personalità che ha perso i confini, che a causa della smisurata affermazione di sé ha perso se stessa. E anche quando Stavrogin prova la sua forza attraverso il contenimento di sé, attraverso una particolare ascesi (sopportò lo schiaffo di Shatov, volle annunciare in pubblico il proprio matrimonio con la Zoppa ecc.), egli si dissangua, si esaurisce nell’eccesso di questa prova. La sua ascesi non è una costruzione, non è la cristallizzazione della personalità, in essa c’è della voluttà. La dissolutezza di Stavrogin consiste nel traboccare della personalità oltre i confini nell’eccesso del non-essere. Per lui l’essere è poco, egli ha voluto anche tutto il non-essere: l’attrazione della dissolutezza, il polo negativo, non meno del polo positivo. L’inquietante eccesso del non essere è la seduzione della dissolutezza. In essa c’è il fascino della morte, tanto forte e attraente quanto la vita. La metafisica della dissolutezza, l’abissale profondità della sua tenebra, Dostoevskij l’ha capita come nessun altro scrittore al mondo. La dissolutezza di Stavrogin, la sua inquietante lussuria, nascosta sotto una maschera di indifferenza, tranquillità e freddezza, è un profondo problema metafisico. Questa è una delle espressioni della tragedia dell’esaurimento a causa dell’eccesso. In questa dissolutezza la forza trascolora in una assoluta impotenza, l’impeto orgiastico in un freddo glaciale, nella lussuria si consuma e muore qualsiasi passione. L’erotismo sconfinato di Stavrogin si riversato nel non-essere. Il lato negativo è la definitiva impotenza dei sentimenti. Nikolaj Stavrogin è l’iniziatore di tante cose, di tante linee della vita, di tante idee e manifestazioni. E il decadentismo russo è nato con Stavrogin. Il Decadentismo è l’esaurimento di Stavrogin, la sua maschera. L’enorme, incredibilmente dotata personalità di Stavrogin non è né strutturata né cristallizzata. L’unica sua struttura e cristallizzazione è una inquietante maschera intirizzita, una spettrale impeto apollineo. Sotto questa maschera vi è l’eccesso e la sfrenatezza di passioni e desideri spenti ed esauriti.
La tragedia dei Demoni è una tragedia di possessione, di isteria. In essa Dostoevskij scopre l’isteria metafisica dello spirito russo. Tutti sono posseduti, prede della frenesia, tutti si dibattono e si dimenano. Solo Stavrogin non da in escandescenze, egli è spaventosamente tranquillo, freddo in modo cadaverico, si è congelato, si è placato, si è zittito. In questo c’è tutto il succo dei Demoni: Stavrogin ha partorito tutto questo impetuoso caos, da sé ha liberato tutti i demoni e nella frenesia attorno a sé ha travasato la propria vita interiore ed egli stesso è morto, si è spento. L’eccesso dei desideri di Stavrogin è uscito al di fuori e ha dato origine al pandemonio e al caos. Egli non ha compiuto un atto artistico, non ha trasposto nessuna delle sue aspirazioni in un atto creativo, non ha creato né realizzato nulla. La sua personalità si è sbrigliata, si polverizzata e prosciugata, è appassita nel pandemonio del caos, nel pandemonio delle idee, nel pandemonio delle passioni rivoluzionarie ed erotiche, e semplicemente nell’umana bassezza. La personalità, senza avere creato nulla, si è persa nei demoni da essa emanati. Solo un atto creativo autentico conserva la personalità, non la esaurisce. Una emanazione che esaurisce non crea nulla e uccide la personalità. E la tragedia di Stavrogin, come tragedia universale, può essere collegata con i problemi della creazione e della emanazione. Tutto e tutti nei Demoni sono emanazione di Stavrogin, del suo caos interiore improntato all’eccesso. In questa emanazione sono appassite le forze di Stavrogin e si sono riversate in tutti e in tutto, negli uomini e nelle donne, nelle passioni ideali, nel pandemonio della rivoluzione, nel pandemonio dell’amore e dell’odio. Di Stavrogin invece è rimasta solo una maschera morta. Questa maschera vaga in mezzo al pandemonio creato un tempo da un soggetto vivo. La maschera del morto-Stavrogin e il pandemonio fuoriuscito da questo, dalle sue forze prosciugate! Si tratta della reincarnazione di Stavrogin in P. Verchovenskij, in Shatov, in Kirillov, anche in Lutugin e in Lebjadkin, e l’incarnazione dei suoi sentimenti in Liza, nella Zoppa, in Dasha, ed è il contenuto dei Demoni. Stavrogin non può unirsi a nessuno, perché tutti sono solo una sua emanazione, il suo stesso caos interiore. Stavrogin non possiede nessun altro, non conosce alcuna via di uscita da sé, ci sono solo cose che escono da lui, solo una emanazione che lo consuma. Egli non ha conservato, non ha raccolto la propria personalità. L’uscita da sé nell’altro, con il quale si corona una autentica unione, si tempra la personalità, la si rafforza. L’impossibilità di uscire da sé in un creativo atto di amore, di conoscenza o di azione, e il consumarsi nelle proprie emanazioni indebolisce la personalità e la polverizza. Il destino di Stavrogin è il disfacimento di una grande personalità creativa, che al posto della creazione di nuova vita e di nuova esistenza, al posto di una uscita rinnovatrice da sé nel mondo, si è consumata nel caos, ha perso se stessa nell’eccesso.La forza non si è spesa nell’atto creativo ma nell’autodistruzione della personalità. E là, dove una enorme personalità è morta e ha sprecato una enorme forza, là è cominciato un pandemonio di forze rilasciate, staccatesi dalla personalità. Il pandemonio al posto della creazione: ecco il tema dei Demoni. Questo pandemonio si compie sulla tomba di Stavrogin. I Demoni, come tragedia simbolica, sono soltanto la fenomenologia dello spirito di Nikolaj Stavrogin. In realtà, obiettivamente, non c’è niente e nessuno a parte Stavrogin. Tutto è lui, tutto è attorno a lui. Egli è un sole che esaurito la propria luce. E attorno a questo sole spento, che non irradia più né luce, né calore, vorticano tutti i demoni. E ancora si aspettano dal sole luce e calore, presentano smisurate pretese al proprio astro, si tendono verso di esso con inesauribile amore, e lo odiano, lo offendono, quando vedono che il sole è spento e raffreddato. Solo Dasha non si aspetta nulla, è d’accordo con il sedere al capezzale del malato morente. La vita di Dasha, una piccola, infinitamente piccola vita, è anche ciò in cui si è trasformato l’eccesso di ambizioni, noncurante dei confini e delle scelte, l’infinità dei desideri. Stavrogin è destinato a Dasha. E c’è una profonda verità, una profonda introspezione nel fatto che Stavrogin si sia potuto legare solo ad una grigia e prosaica, misurata e accurata Dasha, cercare consolazione solo vicino a lei.
Sono molto interessanti queste oscillazioni fra contrapposte valutazioni di Stavrogin da parte di tutte le persone legate a lui. Per tutti la figura di Stavrogin si sdoppia: per la Zoppa egli è ora un principe ed un falco, ora un mercante impostore, che si vergogna di lei. Per P. Verchovenskij egli è ora Ivan Zarevich, riguardo al quale corre la leggenda nel popolo russo che starà a capo di una rivoluzione, ora un dissoluto, impotente signorotto inetto a qualsivoglia cosa; e per Shatov egli è il grande portatore dell’idea del popolo russo portate di Dio, e anche colui che è chiamato ad essere a capo del movimento, ora un signorotto, un contraffattore, un traditore dell’idea; lo stesso duplice atteggiamento caratterizza Liza, che lo ama e lo odia. Il sussiego di Stavrogin affascina tutti - l’aristocratismo nella democrazia è affascinante, e nessuno non può perdonargli questo sussiego. Il sussiego è una caratteristica metafisica di Stavrogin, esso è il suo noumeno. Il suo destino tragico è legato al fatto che egli è un incurabile signore e aristocratico. Il signore e l’aristocratico è affascinante quando scende nella democrazia, ma non può fare nulla in essa, non può assolutamente essere utile, non è capace di “azione”. L’aristocratismo vuole sempre creazione e non “azione”. Solo un signore e un aristocratico potrebbe essere Ivan Zarevich e sollevare dietro a sé un popolo. Ma egli non lo farà mai, non vorrà mai farlo e non avrà nemmeno le forze per farlo. Non lo affascina, non lo ispira alcuna democratizzazione delle proprie idee, gli risulta repellente e fastidioso incontrare le proprie idee negli altri, nel mondo oggettivo nel suo movimento. La realizzazione del proprio amore, del proprio sogno erotico non è desiderabile per lui, è quasi rivoltante. La vita con Dasha è meglio della vita con Liza. Le grandi idee e i sogni sono usciti dal signore e dall’aristocratico Stavrogin non perché egli nel mondo ha compiuto un atto creativo, ma perché egli si è esaurito a motivo del caos interiore. Le idee e i sogni nati da lui si sono personificati e gli hanno chiesto di concretizzare, realizzare quella grandiosità che era nata in lui, e sono delusi e provano odio, quando incontrano un uomo esaurito, spento, inerme, morto. Stavrogin potrebbe tutto: potrebbe essere Ivan Zarevich, e il portatore dell’idea del Messianismo, ma anche l’Uomo-Dio, che vince la morte, potrebbe amare Liza di amore subendo, divino. E non può nulla, non possiede le forze per nulla; L’eccesso delle passioni e delle ambizioni lo ha prosciugato, la sua intrinseca alterigia non gli ha permesso di compiere quell’atto di sacrificio, oltre il quale inizia la vera creazione. Egli è rimasto dentro se stesso e si è perso, non ha trovato un altro e si è prosciugato negli altri. Egli è impotente di fronte ai demoni e agli spiriti da lui scatenati, sia cattivi che buoni. Egli non conosce scongiuri. Come è impotente Stavrogin di fronte alla Zoppa, che risulta più n alto di lui. La Zoppa possiede un acume profondo. Il discorso della Zoppa con Shatov riguardo alla Madre di Dio e alla terra per la sua bellezza celeste e la profondità appartiene a una delle migliori pagine della letteratura mondiale. L’impotenza di Stavrogin di fronte alla Zoppa è l’impotenza intrinseca della nobiltà di fronte alla terra russa, ad una terra fatta di eterna femminilità, in attesa del suo sposo. L’idea della terra russa viveva in Stavrogin, ma egli fu incapace di uscire fuori di sì, di ricongiungersi. Anche Liza attende il proprio sposo, ma lo incontra solo una volta. La figura dello sposo si sdoppia. Stavrogin non è capace di sposarsi, non ha le forze di unirsi, non può rendere fertile la terra. Può raggiungere solo la silenziosa, spenta vita con Dasha nelle tristi montagne svizzere. Egli è destinato lei, questo signore e aristocratico, che non è mai uscito da sé attraverso il sacrificio, Dasha non pretende nulla da lui, non si aspetta nulla, lo accetta da spento. Solo con Dasha egli può parlare ad alta voce di sé. Questa è l’esito spaventoso dell’eccesso in tutto. Ma anche questo esito si è rivelato impossibile. Stavrogin aveva paura del suicidio, temeva di mostrare magnanimità. Ma infine compie un atto di magnanimità e si impicca. La stessa essenziale nobiltà Dostoevskij ce la mostra nella figura di Versilov, ma umanamente addolcita. La tragedia di Stavrogin è la tragedia di un uomo e della sua attività creativa, la tragedia di un uomo strappato dalle radice organiche, di un aristocratico, strappato dalla democratica madre-terra e determinato a camminare per le proprie vie. La tragedia di Stavrogin pone il problema dell’uomo staccatosi dalla vita naturale, dalla vita di origine e dalle tradizioni originarie e pieno di desidero per una riparazione creativa. La via della creatività per Stavrogin, come per Nietzsche è stata la via della negazione di Dio, dell’assassinio di Dio. Nietzsche ha odiato Dio, perché ha visto in Lui un ostacolo per la creatività dell’uomo. Stavrogin, come anche Nietzsche, non possedeva alcuna coscienza religiosa, nella quale ci fosse la rivelazione sulla creatività dell’uomo, la rivelazione sulla divinità dell’attività creativa dell’uomo. La vecchia coscienza religiosa vietava una riparazione creativa. La via per la rivelazione della creazione dell’uomo si realizza attraverso la morte di Stavrogin, attraverso la morte di Nietzsche. Dostoevskij pone un nuovo problema, al tormento di Stavrogin e Kirillov non si può dare alcuna vecchia risposta. La tragedia di Stavrogin non è curabile con le vecchie ricette religiose e Dostoevskij lo sentiva profondamente. I sani non possono giudicare delle malattie che si svelano all’animo di Dostoevskij. E solo quelli che seguono non lo spirito di Dostoevskij e nemmeno geniali e autenticamente nuove sue intuizioni, ma solo la superficiale coscienza de la piattaforma del Diario di uno Scrittore, possono pensare che Dostoevskij avesse efficacemente recintato tutto in in maniera religiosa e che l’allontanamento dalla fede ortodossa dei suoi eroi più amati è solo un peccato, un comune peccato, e non la fiammeggiante sete di una nuova rivelazione, per la quale ardeva lo stesso Dostoevskij. Dostoevskij possedeva in senso profondo un rapporto antinomici con il male. Il male è il male, esso deve essere vinto, deve bruciare. Ma il male deve essere vissuto e provato, attraverso il male si scopre qualcosa, qualcosa che è sua volta costituisce una via. La stesa morte di Stavrogin, come ogni morte, non è una morte definitiva ed eterna, è solo una via. Il problema della creatività dell’uomo non è stato e risolto e non si sarebbe potuto risolvere nella vecchia coscienza, dalla quale lo stesso Stavrogin non era ancora uscito. Dove non c’è sbocco per la creatività lì inizia il pandemonio e la dissolutezza. Per Dostoevskij il problema stesso della dissolutezza è incommensurabilmente più profonda del problema del peccato. Attraverso la morte si scopre qualcosa, si scopre in misura maggiore di quanto non avvenga attraverso la felicità religiosa. Stavrogin non è solo una manifestazione negativa e la sua morte non è definitiva. C’è stato un destino di Stavrogin prima dei Demoni e ci sarà un destino dopo i Demoni. Dopo la tragica morte ci sarà una nuova nascita, ci sarà la resurrezione. E con il nostro amore per Stavrogin noi collaboriamo a questa resurrezione. Lo stesso Dostoevskij amava troppo Stavrogin per accettare la sua morte. Anche lui ha innalzato preghiere alla sua resurrezione alla sua nuova nascita. Per la coscienza ortodossa Stavrogin è morto senza possibilità di redenzione, è destinato alla morte eterna. Ma questa non è la coscienza di Dostoevskij, dell’autentico Dostoevskij, che conosce la rivelazione. E noi insieme con Dostoevskij aspetteremo la nuova nascita di Nikolaj Stavrogin, come creatore bello, forte, affascinante e geniale. Per noi è impossibile quella fede dove non ci sia salvezza per Stavrogin, non ci sia sbocco per le sue forze verso una attività creatrice. Cristo è venuto a salvare tutto il mondo e non a condannare Stavrogin. Ma nella vecchia coscienza cristiana non si è ancora scoperto il senso della morte di Stavrogin, come momento sulla via verso la nuova vita. E in questa morte c’è il passaggio attraverso il Golgotha. Ma il Golgotha non è l’ultima tappa del cammino. Solo nella nuova rivelazione si scoprirà la possibilità di resurrezione per Stavrogin e il significato sacrificale della morte di colui che è stato incapace di compiere un sacrificio cosciente. E nuovamente sarà ricomposta la sua personalità prosciugata, decaduta, che è difficile non odiare e che non si può non amare. L’eccesso dei desideri e delle ambizioni deve essere ricolmo e realizzato nell’eccesso della vita divina. La vita del mondo ha distrutto ciò che sarebbe potuto essere immenso.
<<1>> L’eccesso non poté ancora realizzarsi. Ma verrà un banchetto messianico, al quale sarà chiamato anche Stavrogin e lì placherà la sua fame sconfinata e la sua sconfinata sete.
L’ autentico eccesso nella vita religiosa lo conobbero i filosofi mistici tedeschi e trasportarono l’eccesso nel sovrareligioso. Angelus Silesius dice:
Iсh wеrfе Miсh аllеin
Ins ungеsсhаffnе Мееr dеn Вlssеn Gоtthеit еin.
E poi: Iсh Мuss nосh ubеr Gоtt in еinе Würstе ziеhеn.
E: Diе übеr-Gоtthеit ist Меin Lеbеn und Меin Liсht.
(Mi getto solo nell’informe mare verso le beatitudini divine
Devo ancora per Dio ritirarmi in un deserto
La sovra-divinità è la mia vita e la mia luce)